Il tema della violenza e del perdono è un punto fisso di ogni discussione , anche la più tranquilla tra amici bevendo una birra. E’ inevitabile, poi, che si creino sempre le «fazioni»: quelli della tolleranza zero, quelli del perdono sempre e comunque, quelli del perdono a condizione che, quelli che soffrono in silenzio poiché hanno già perdonato ma sentono l’assenza della persona perduta per la cieca violenza dell’uomo. A quest’ultima categoria appartiene la famiglia Calabresi e proprio Mario Calabresi, giornalista e figlio del commissario Luigi, ucciso il 17 maggio del 1972, racconta di questa esperienza in un libro che corre via in un pomeriggio, tanto ti lega per la semplicità e la chiarezza di giudizio con cui affronta la storia della sua famiglia da quella tragica mattina. «Spararono a mio padre alle 9.15, mentre apriva la portiera della cinquecento blu di mia madre». Quei due colpi di pistola, però, non incisero solo nella storia italiana, ma sconvolsero la vita di molti innocenti. La prima conseguenza di quel gesto e della lunga campagna che aprì la stagione della strategia della tensione spesso ci sfugge: una donna allora giovanissima, Gemma, perse il marito e si trovò, sola e incinta, a crescere tre figli, orfani prima di aver avuto il tempo di conoscere il padre. Questa è la storia di una famiglia italiana ferita dal terrorismo. Una storia fatta di profondo dolore, ma anche di inattesa allegria, in cui la voglia di vivere e l’amore per gli altri sono riusciti a vincere l’odio. Una vicenda privata che appartiene a tutti noi. Nessuno tocchi Caino ma nessuno dimentichi Abele.Per i contatti scrivere aMeeting PointFrancesco Capolupolupo@arezzogiovani.it