I ragazzi che chiedono di iscriversi al catechismo sono cristiani perché battezzati? Ci sono già molti ragazzi non ancora battezzati? Arrivano stranieri al catechismo? Quale ruolo hanno i genitori nella trasmissione della fede ai figli che hanno fatto battezzare? Con queste domande, don Andrea Fontana ci provocava alla riflessione domenica 24 settembre 2006, nel pomeriggio di formazione e preparazione al Mandato catechistico. In quell’ occasione, don Andrea ci ha invitato a riscoprire il battesimo come fondamento della vita cristiana.Esso ha un fondamento biblico. Basta leggere il Vangelo di Matteo (Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole), gli Atti degli Apostoli (Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare) e la prima Lettera ai Corinti (Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo).Poi c’è un fondamento teologico. Il battesimo non è un qualsiasi rito di purificazione o di identificazioni che agisce in maniera automatica, ma un segno di fede per seguire Cristo nella Chiesa cattolica. Smitizziamo le frasi fatte che applicano al battesimo dei bambini la teologia del battesimo degli adulti («toglie il peccato, ci fa diventare figli di Dio»).Infine ha un fondamento pastorale. Occorre ridare «visibilità» a gesto battesimale nella pastorale ordinaria. La maggior parte dei cristiani non «si ricorda» di essere stato battezzato: si ritiene cristiano «per nascita» e «per stirpe» (Gv 8,39: «Gli risposero: “Il nostro padre è Abramo”. Rispose Gesù: “Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo»).La situazione della fede oggi in Italia vede, insieme a molti fermenti positivi, vissuti in molte diocesi e in esperienze pilota, il diffondersi della perdita dell’identità cristiana, di un nuovo paganesimo che permea la religiosità di molti,del la mancata trasmissione della fede e della vita cristiana, dell’allontanamento dall’Istituzione, dello smarrimento dei significati cristiani nella cultura.L’occasione della richiesta del battesimo da parte dei genitori rappresenta un’occasione propizia per ripartire da capo: proporre il «primo annuncio» per una rinnovata adesione personale a Gesù Cristo, avviare itinerari di fede che vadano oltre il battesimo e accompagnino la famiglia a vivere integralmente il messaggio cristiano. Ma cosa significa «fare il primo annuncio»? Significa accogliere, raccontare Gesù, motivare e aiutare a decidere, destrutturare-ristrutturare, accompagnare. Il battesimo diventa un «nuovo inizio» della fede ritrovata. Sarà possibile così pensare un itinerario di fede per la famiglia in cui la comunità cristiana accompagna la trasmissione della fede nell’età da zero a sei anni.L’equipe dell’Ufficio Catechistico Diocesano, a questo proposito, spera di proporre per il prossimo anno momenti di formazione specifica per attuare gradualmente questa proposta in parrocchia. Con queste premesse, non sarà difficile riproporre ciò che non è stato possibile prima del battesimo: un graduale cammino di iniziazione cristiana per i ragazzi e le loro famiglie e non soltanto un catechismo nozionistico, fatto di un’ora alla settimana in termini scolastici.Don Fontana indicava dodici «passi» per iniziare gradualmente una trasformazione volta a rendere il periodo del catechismo un vero cammino di iniziazione cristiana. Ve li riproponiamo:l 1. Non «iscrizione al catechismo», ma celebrazione di accoglienza per un cammino di fede.l 2. Non «lezioni» di un’ora alla settimana, ma incontri prolungati in un progetto con i ragazzi e gli adulti.l 3. Non un corso di catechesi, ma un percorso di apprendistato cristiano in cui si fa tirocinio (catechesi integrata).l 4. Non preparazione alla Prima Comunione o alla Cresima, ma introduzione alla vita cristiana attraverso l’Eucaristia o la Cresima.l 5. Non catechisti che insegnano, ma catechisti che accompagnano fraternamente la famiglia e provocano incontri con la comunità, testimoniando la propria fede e educando atteggiamenti e comportamenti.l 6. Non sostituirsi ai genitori, ma sostenere i genitori nel trasmettere e vivere la fede in famiglia.l 7. Non i ragazzi accanto alla famiglia, ma i ragazzi insieme con la famiglia (catechesi intergenerazionale).l 8. Non i ragazzi isolati dagli adulti, ma i ragazzi nella comunità degli adulti (la comunità è responsabile della catechesi e l’iniziazione cristiana è introduzione nella vita comunitaria).l 9. Non i catechismi come libri di testo, ma uso dei catechismi in modo corretto, così da far emergere il riferimento e il continuo rimanda alla Bibbia.l 10. Non la morale come buone maniere, ma la fede che ispira il comportamento morale, che nasce dall’incontro e dall’amore verso Gesù.l 11. Non un programma uguale per tutti, ma itinerari differenziati tenendo conto del cammino personale nel gruppo e dell’evoluzione umana e cristiana dei ragazzi.l 12. Non date prestabilite in base all’età o alla classe, ma una proposta di percorso lungo il quale si celebrano tappe graduali culminanti, al momento opportuno, nella celebrazione dei sacramenti, quando il gruppo è pronto.Al termine dell’anno catechistico, proviamo a confrontarci – meglio se con il parroco e con il gruppo dei catechisti – su questi suggerimenti, e magari a «metterne in cantiere» almeno uno da settembre.on si tratta di stravolgere la pastorale parrocchiale, ma di muovere un piccolo passo verso quella «conversione pastorale» auspicata dai Vescovi italiani negli Orientamenti per l’Iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni: «il cammino così delineato e offerto alle comunità ecclesiali esige da esse una conversione pastorale che dia il primato all’evangelizzazione e all’educazione della mentalità di fede. Esso si presenta anche come recupero delle radici più autentiche della tradizione cristiana per coniugarle con le domande dell’uomo di oggi. La sua attuazione richiederà un impegno nuovo, ma potrà costituire, nel servizio ai più piccoli, un’occasione di rinnovamento missionario di tutta la comunità».Silvia Mancini