Due appuntamenti vissuti in Valdambra nelle scorse settimane hanno allacciato eventi lontani nel tempo e tragici destini della storia di questa antica terra. A Badia Agnano la presentazione del volume dedicato alla storia dell’abbazia benedettina poi camaldolese, dalle sue origini sino ai giorni nostri; a San Pancrazio l’inaugurazione del grande monumento, opera di Firenze Poggi, «Il Faro» per ricordare gli eccidi della seconda guerra mondiale.L’abbazia di Santa Maria di Agnano ha trovato riuniti il Vicario Generale, monsignor Giovacchino Dallara e gli estensori del volume «Badia Agnano», don Antonio Bacci e Renato Stopani e naturalmente il parroco. Monsignor Dallara, nella sua presentazione, ha iniziato dall’entrata del parroco, don Agostino Valeri, avvenuta il 25 marzo 1963, porgendo parole di complimento che, come dal medesimo dichiarato, sin dal primo momento tanto ha fatto per completare la struttura architettonica della chiesa romanica, «monca» del transetto di destra che sin dal tempo della secolarizzazione del 1810 era finita in mani private: «Sembrava un sogno e grazie anche all’aiuto di tanti è divenuta realtà». Don Bacci ha spiegato che questa ultima tappa possa far ritenere conclusa la storia architettonica della badia: «Insieme al professor Renato Stopani siamo arrivati a pubblicarne la bellissima storia, potendo così dire che don Agostino ha sconfitto Napoleone perché è riuscito a ricuperare questo pezzo di chiesa. La chiesa è unica, siamo una catena umana e il messaggio passa da uno all’altro: questa è Chiesa, una comunità». Ed è facile ascoltare le voci di queste antiche pietre, mentre ascoltiamo le voci degli autori del libro dedicato all’abbazia dell’anno mille. E guardiamo le poderose mura, l’armonia della forma, il taglio della luce che sembrano richiamare voci antiche che dal passato s’intonano alle nostre.Anche il professor Stopani ha sottolineato come la chiesa sia tornata ad essere quella che era al tempo delle sue origini. «Con la costituzione del Sacro Romano Impero le abbazie divennero imperiali, ben organizzate, ricche e alla fine dell’impero, con il Medio Evo, passano alle famiglie feudatarie, diventando luoghi suntuosi e nasce la “spiritualità della ricchezza”; nei secoli seguenti, con le nuove comunità, anche le costruzioni devono avere un certo rigore che si identifica con la semplicità tipica di Camaldoli. Come questa piccola abbazia, che è un tempio a croce con le sue valenze simboliche». Inoltre ha ricordato che, come riportato nella pubblicazione, durante i lavori di restauro del ricuperato transetto, si sia scoperta la parte di un affresco dedicato a San Rocco. Così si è chuso questo interessante incontro con un uditorio numeroso e partecipe, mentre nella piazza antistante la banda di Monte San Savino si è esibita con un vivace repertorio.Anna Valenti e G.O.F.