Arezzo - Cortona - Sansepolcro

La città ricorda don Pietro Zazzeri

Il 6 agosto saranno trascorsi 20 anni che don Pietro Zazzeri è tornato alla «casa del Padre». Ci piace usare questa espressione perché la crediamo vera. Abbiamo chiesto al Vescovo monsignor Giacomo Babini che con don Pietro ha percorso un bel tratto di strada assieme di scrivere un suo ricordo. Dopo la pausa estiva ci saranno le testimonianze di don Gianni Zanchi e di Luisanna Alvisi. Vogliamo invitare tutti alla S.Messa di suffragio che sarà celebrata il 6 agosto alle 18 nella chiesa di San Francesco.

Venti anni fa moriva don Pietro. Allora mi sembrò che fosse ormai diventato anziano. Ora che ho più anni di lui la sensazione è diversa. Era coetaneo di un gruppo straordinario di preti dalla bella formazione umana e spirituale. Penso che lo si dovesse all’impronta nobilmente ecclesiale dell’allora Cardinale di Firenze Elia Dalla Costa, e anche alla disciplina militare del rettore del seminario di quella Chiesa metropolitana, monsignor Tirapani. Chi legge probabilmente ne ha conosciuto qualcuno di questi preti: oltre don Pietro metto nell’elenco Muscinelli, Cangi, Saragoni, Babini (il maggiore dei tre Babini), Renzi, Marinelli, Lazzerini ed altri. Don Pietro del gruppo poteva dirsi l’intellettuale. Come gli altri aveva iniziato il ministero in una piccola parrocchia, Mazzi di Verghereto, ma in più aveva continuato a leggere e studiare e affrontare criticamente l’evolversi della situazione culturale e sociale. Per queste sue disponibilità, da San Zeno di Galeata, dove era stato trasferito nel periodo della seconda grande guerra, fu chiamato a Sansepolcro dove fraternizzò immediatamente con tutti, ma in modo particolare con i rappresentanti delle associazioni laicali. Partecipò quale rappresentante diocesano al corso annuale tenuto a Roma dai Gesuiti sulla realtà sociale e politica. In diocesi era una presenza preziosa nella sede di Toscana Oggi, dove incontrava la redazione della pagina locale del settimanale, i Comitati civici, la Lega di Perseveranza, e tutti coloro che desideravano parlare con una prete accogliente e saggio. Se Celentano fosse stato a Sansepolcro non avrebbe certo potuto cantare che non c’era «nemmeno un prete per chiacchierar».Quando il Vescovo monsignor Abele Conigli affidò la parrocchia della Cattedrale ad una comunità sacerdotale sostituendo il Capitolo dei Canonici, don Pietro rimase canonico e fece parte anche della comunità del duomo assieme a tre sacerdoti più giovani. Probabilmente dovette ricorrere più volte alla sua umiltà e alla sua saggezza per sopportare i giudizi e le pretese dei suoi amici più giovani. Io in seguito, sia nella diocesi di Pitigliano che in quella di Grosseto, ho provato a riproporre le comunità sacerdotali dei parroci, per le quali stravedevo, e sul problema scrissi anhe una Lettera Pastorale. Quando i confratelli erano fuori parrocchia, don Pietro imperterrito pensava a tutto, magari ad un numero impossibile di celebrazioni, senza il minimo segno di disappunto. Quando, durante le frequenti campagne elettorali, le varie segreterie ritardavano a mettersi in moto, don Pietro a nome dei Comitati civici interveniva con manifesti di fuoco. Aveva avuto un babbo operaio e socialista; durante il passaggio del fronte aveva avuto rapporti con i partigiani romagnoli; seguiva con interesse i lavori del Concilio ecumenico. Ma la linea politica di don Pietro è stata sempre netta: la Chiesa è in mezzo alla società ed è madre e maestra per chi crede in Cristo e anche per gli altri che non la rifiutano.Caro don Pietro, la rassegna stampa che ci facevi durante la cena quando noi non avevamo magari avuto il tempo di guardare un giornale, era una provvidenza perché sapevi distinguere gli interventi di sostanza. Quando volesti non solo una piccola stanza ma un appartamentino per te, lo facesti perché non pesassero su di noi i condizionamenti dell’età e forse i disturbi della malattia incipiente. Quando volevi dormire all’ospedale e non permettesti che la Cappella fosse posta negli scantinati tra le lavanderie, è perché avvertivi il dilagare rapido di un cedimento culturale cristiano che gli altri chiamavano semplicisticamente secolarizzazione. Ho pensato più volte che se solo il Signore avesse aspettato a chiamarti ancora poco più di un anno avresti potuto vedere quello che i dissidenti sovietici del Samisdat, non sempre creduti da noi, dicevano da tempo, cioè l’implosione del comunismo contro il quale eri schierato. Quando ho visto alle riunioni romane, non solo i vescovi delle nazioni occidentali, ma anche quelli delle nazioni di oltrecortina, dove fino ad allora erano vissuti clandestini, ho pensato a certi Concili dell’antichità dove alcuni Padri mostravano le mutilazioni dovute alle persecuzioni. So bene che non ci si può fermare perché l’avversario cambia faccia e ritorna più insidioso di prima, ma il tuo ricordo è un invito ad essere pronti e preparati a tutto.Giacomo BabiniVescovo emerito di Grosseto