Arezzo - Cortona - Sansepolcro

Don Pietro Zazzeri, il sacerdote che era anche giornalista

Per uno che, come me, non ha mai faticato a mettere in fila le parole, collaborare con la redazione di un settimanale locale fu un’esperienza formativa, anche se breve. La mia presenza a La Vita (divenuta poi Toscana Oggi) iniziò nel giugno 1979 con un paginone sullo svolgimento delle elezioni europee di quell’anno; fu Enzo Papi a cooptarmi nella sua veste di caporedattore e frequentare lo stanzone a pianterreno del palazzo vescovile e stabilire un rapporto con il direttore, don Pietro Zazzeri, si rivelò un tutt’uno. Ebbi così la grazia di entrare in amicizia con un giovane settantenne: quest’ossimoro è per me il ritratto più fedele di don Pietro; ci separavano parecchi anni d’età, eppure lo avvertivo giovane, non certo perché egli fosse un bambinone o uno di quegli adulti fasulli che – credendo di educare – giocano a fare gli amici dei ragazzi. Anzi, in lui intravidi subito il carisma della paternità spirituale e sceglierlo come direttore di coscienza fu del tutto spontaneo e tale rimase per me fino alla sua morte nell’agosto 1987.Nel breve lasso di tempo dal giugno ’79 al settembre ’81 ebbi quindi modo di apprezzarlo anche come direttore dell’edizione diocesana del nostro settimanale. In questa veste ne ho un ricordo un po’ di «genere suo», perché era originale e romagnolescamente frizzante anche in questo: si fidava dei collaboratori, capitanati da Enzo, e con noi ragazzi entrava poco nelle questioni che riguardavano la confezione settimanale delle quattro pagine. Da tale punto di vista, don Pietro appariva ai nostri occhi non tanto come il direttore del settimanale, quanto l’uomo dei giornali (intesi come quotidiani).Hegel ai suoi tempi credeva d’essere spiritoso affermando che «la preghiera mattutina dell’uomo moderno è la lettura del giornale»; don Pietro invece iniziava le sue giornate pregando davvero con la recita delle Ore canoniche e poi alle sei del mattino con il suo giro per i reparti ospedalieri per confessare e comunicare i degenti. Poi però faceva la sua immancabile visita all’edicola di piazza, ove ritirava quasi tutti i quotidiani. Quindi la mattinata e il tardo pomeriggio li trascorreva al tavolone della redazione, alternando la lettura (anche di libri), la stesura nella sua inconfondibile grafia di una miriade di appunti, la recita del Breviario, i colloqui con chi andava a trovarlo o a lavorare in sede. Le sue letture diventavano quindi per sua iniziativa l’argomento preferito delle nostre conversazioni, condotte da lui con spirito attento e aperto al confronto. E così, noi ragazzotti che ci divertivamo a giocare a fare i giornalisti, non rimanevamo chiusi nell’orizzonte per forza di cose limitato delle notizie locali, ma ci trovavamo senza troppo pensarci proiettati sul vasto orizzonte della cultura cattolica, della storia recente del Paese, delle vicende della politica mondiale e nazionale. Scoprivamo tutto questo grazie ad un prete quasi ottantenne per nulla rimasto al passato, anzi in perenne dialogo con il presente: era l’uomo dei quotidiani perché egli stesso era quotidiano, appartenente al suo tempo e insegnava anche a noi a non essere uomini della cronaca, ma della storia, di quella che Dio fa con gli uomini e che gli uomini fanno tra loro.Don Pietro era per noi il direttore della redazione soprattutto quando ci arruolava per lo svolgimento nelle parrocchie delle Giornate a favore del settimanale; con la sua 127 bianca (lasciata sempre aperta giorno e notte!) ci scarrozzava per monti e vallate dal sabato sera alla domenica pomeriggio e, mentre faceva la spola con Sansepolcro per gli altri suoi impegni all’ospedale e in duomo, ci lasciava un po’ allo sbaraglio con i vecchi parroci a parlare del settimanale e a batter cassa. Prendemmo gusto a viaggiare con lui anche in certe altre occasioni in cui visitava la zona romagnola in cui era nato e aveva fatto il parroco per tanti anni; avemmo modo così di conoscere praticamente tutta l’allora diocesi di Sansepolcro, i suoi sacerdoti, e perfino i territori e i preti di là dall’Appennino che fino al ’75 ne fecero parte. Dal nostro desiderio di valorizzare l’archivio di redazione nacquero poi la mostra e le celebrazioni anniversarie del settimanale. Don Pietro non lo diceva apertamente, ma era orgoglioso che i suoi giovani avessero messo in piedi tutto quell’ambaradam sulla recente storia locale vissuta da protagonista anche da lui. Don Pietro ci teneva a presentarsi nei vari ambienti circondato da quelli che erano divenuti – assieme a tanti altri – i suoi ragassuoli, perché un giovane sta volentieri in mezzo ai giovani.G. Z