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Neema, ovvero un’associazione per la Tanzania

Capita spesso che da un incontro quasi casuale scoppi poi una vera amicizia, e che pian piano una forza quasi invisibile ci spinga verso luoghi inaspettati. Sette anni fa, nella parrocchia di Santa Croce alla Ginestra di Montevarchi, è accaduto proprio così dopo l’arrivo di padre Camillo Haule, proveniente dalla Tanzania. Dopo l’incontro in Italia, l’allora parroco don Alessandro Milani e un gruppetto di parrocchiani decidono di partire per la Tanzania dove scoprono, nonostante la povertà, un insieme di volti gioiosi, di colori, profumi, balli e canti che non potranno più ignorare.Da qui nasce la storia dell’associazione Neema, che in kswaili significa in «grazia di Dio» e che dopo sette anni di viaggi, progetti, delusioni e successi nella diocesi di Songea, è diventata una onlus. «In questi anni – spiega l’associazione – abbiamo costruito insieme una relazione tra culture, religioni, persone, stili di vita e di pensiero differenti attraverso uno scambio che ha lo scopo di generare ricchezza. Ricchezza che accogliamo dalla saggezza di tanti piccoli insegnamenti di semplicità e felicità e da quella ospitalità sacra che ci fa sentire così a casa». Subito partono i primi progetti nel villaggio di Mkongo: costruzione di un dispensario medico, allacciamento dell’acqua corrente e dell’elettricità all’asilo, alla scuola domestica, ed allo stesso dispensario, aggiustamento di tutti i pozzi del villaggio, trasformazione della scuola domestica in scuola professionale.Così mentre già si pensa ad una collaborazione con il commercio equo e solidale e a nuovi progetti, pian piano l’idea di aiutare il sud del mondo inizia a cambiare forma, a diventare più matura. «Credevo di partire per fare qualcosa di utile – dice Erica, volontaria – nel senso più concreto del termine, per aiutare qualcuno che viveva una condizione di vita molto più dura della mia. Invece, gli abitanti del villaggio mi hanno rivelato quanto povera e semplicistica fosse questa visione. Il senso del nostro viaggio non si esauriva soltanto nel dispensario che l’associazione aveva aiutato a costruire, nei pozzi riparati, o nella scuola domestica per le ragazze. Questi aspetti, anche se molto importanti, non sono tutto, perché i regali più grandi della nostra partenza e dell’accoglienza dei nostri ospiti sono le vecchie amicizie che si rinnovavano, quelle nuove che nascono, sono il nostro essere insieme là per conoscerci, per confrontarci e per condividere i progetti di lavoro arricchendoci reciprocamente».Andati per dare, ci si ritrova a ricevere. E ricevere, per chi ha tutto, non è sempre facile. «In fondo – spiega Giulia, volontaria dell’associazione – questa terra bellissima dove il tempo si fabbrica e non si consuma, dove nonostante tutte le difficoltà è così forte un senso di serenità, più insegnare noi qualcosa a loro, può avere molto da insegnare alle nostre menti abituate a programmare soluzioni rapide. Può farci riscoprire il valore delle cose piccole e semplici, del tempo che si perde a corrergli dietro, della bellezza della quotidianità. Ed ecco, che quella sensazione di impotenza alla scoperta di non poter cambiare il mondo e non poter salvare un villaggio costruendo un pozzo o un dispensario, piano piano lascia il posto ad una bellissima conquista: riuscire a capire che il progetto è qualcosa di più grande delle costruzioni e dei soldi. Il progetto è l’incontro, è l’abbraccio tra due popoli che cercano di conoscersi scoprendo quanto è importante la diversità. Improvvisamente una partita a pallone, una visita ad una famiglia, un gioco con i bambini, una “festa del latte” diventano un momento in cui cerchiamo di dare quello che siamo, quello che abbiamo dentro, idee, pensieri, curiosità, emozioni, e veniamo letteralmente travolti dalla ricchezza che ci torna indietro e che ci riporta a casa pieni zeppi».Luca Primavera