Arezzo - Cortona - Sansepolcro

Se la catechesi passa dalla famiglia

La catechesi dei bambini e dei ragazzi che devono completare l’iniziazione cristiana soffre, oggi, in molte parrocchie, una stagione di fatica e insieme di ripensamento. Se da un lato si ha l’impressione di scarsa efficacia (un’iniziazione che «non inizia»), dall’altro si assiste alla ricerca di nuovi itinerari che, pur non rinunciando agli catechismi Cei, si orientano a un primo annuncio della fede. In quest’ottica si è iniziato a parlare di catechesi familiare, indicando con questo termine varie proposte di coinvolgimento della famiglia nel cammino di fede dei bambini. Anche le modalità cambiano «stile», abbandonando un approccio nozionistico-scolastico a favore della narrazione evangelica e dell’esperienza celebrativa con la comunità parrocchiale. Così si esprimono i Vescovi nella nota pastorale della Cei Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia: «L’iniziazione cristiana dei fanciulli interpella la responsabilità originaria della famiglia nella trasmissione della fede. Il coinvolgimento della famiglia comincia prima dell’età scolare e la parrocchia deve offrire ai genitori gli elementi essenziali che li aiutino a fornire a i figli l'”alfabeto”cristiano. Si dovrà perciò chiedere ai genitori di partecipare a un appropriato cammino di formazione, parallelo a quello dei figli. Inoltre, li si aiuterà nel compito educativo coinvolgendo tutta la comunità, specialmente i catechisti. Le parrocchie oggi dedicano per lo più attenzione ai fanciulli: devono passare a una cura più diretta delle famiglie, per sostenerne la missione». Da queste esortazioni scaturiscono alcune riflessioni che diventano mete, forse non immediatamente perseguibili, ma sicuramente da tenere presenti nelle nostre proposte pastorali. La famiglia dev’essere aiutata a riappropriarsi del proprio ruolo nel comunicare la fede e la parrocchia deve diventare un aiuto, un supporto, un luogo di accoglienza di questa fede. Si tratta di passare dal catechismo come responsabilità della sola parrocchia, all’annuncio della fede come impegno delle famiglie. I cristiani (tutti) devono diventare visibili e presenti nel cammino di fede dei bambini e dei ragazzi. Ai ragazzi di oggi mancano modelli credibili di adulti: la qualità dell’essere educatore di un adulto è strettamente legata alla qualità della sua testimonianza personale. Si tratta di passare dal catechismo come scuola ad una catechesi come esperienza di gruppo e di vita ecclesiale. La domenica deve riprendere il suo significato profondo di giorno del Signore, giorno della comunità, giorno dell’iniziazione alla fede. È evidente la necessità di non finalizzare la catechesi ai sacramenti, ma di inserirla in un cammino permanente di fede che ha nell’Eucaristia domenicale il suo punto di arrivo e di partenza, soprattutto per gli adulti. Ciò chiama in causa inevitabilmente la vocazione missionaria della parrocchia che va incontro a tutti, invece di curare solo «chi viene». In questa visione, i sacramenti diventano punti di partenza, anziché punti di arrivo: se questo è evidente nel battesimo, lo è di meno negli altri sacramenti. La storia insegna che ogni epoca ha avuto un suo modello di vita cristiana. Cristiani non si nasce, ma si diventa (periodo del catecumenato, primi secoli); non si può non essere cristiani (da Costantino alla fine del Medio Evo); cristiani si nasce, bisogna sapere quello che si è e vivere quello che si è (dal concilio di Trento al secolo scorso). Quest’ultimo è il periodo della catechesi intesa come «dottrina»: una classe (il gruppo), un maestro (il catechista), un libro (il testo di catechismo), un metodo (domanda – risposta con vari adeguamenti nel corso degli anni). Questo modello ha senso in un contesto di cristianità diffusa, in una parrocchia dove società civile e mentalità religiosa coincidono. Nel 1970 i Vescovi danno alle comunità cristiane il documento base per il rinnovamento della catechesi. In questo periodo si passa dai catechismi per la dottrina cristiana a i catechismi per la vita cristiana. Scopo del catechismo diventa creare una mentalità di fede; il contenuto centrale è la persona di Gesù; le fonti sono la Bibbia, la liturgia, la tradizione e il creato; il principio metodologico è la fedeltà a Dio e all’uomo; il destinatario è il vero soggetto della catechesi. Nonostante molte energie siano state spese in questo progetto, il risultato attuale ci spinge ad osare il nuovo: nel mutato contesto di un cristianesimo non più diffuso, è illusorio pensare che la sola esposizione della dottrina cristiana generi alla fede: essa va comunicata ed alimentata. Tocca alla famiglia «riempire» di senso le grandi parole «religiose». La famiglia è la culla, la matrice della vita spirituale. È qui che si fa la prima esperienza di Dio. Nessuno ha mai visto Dio, ma i bambini lo scoprono nella loro vita prima di tutto attraverso mamma e babbo. Si comunica solo ciò che si vive realmente. Se trasmettiamo ai nostri figli solo il linguaggio della religione, o vaghe descrizioni spirituali senza offrire loro nulla sul piano dell’esperienza, è come se chiedessimo di giocare ad un gioco solo leggendo le istruzioni sulla scatola. L’educazione spirituale nasce nella vita quotidiana. Condividendo con i figli l’amore per la natura, le semplici gioie della vita familiare, la nostra lealtà e il nostro amore incondizionato, l’accoglienza del diverso, la fiducia nella preghiera, noi mostriamo loro il volto di Dio. In ogni spazio familiare, anche nelle situazioni più problematiche, esistono situazioni che possono diventare fatti catechistici, luoghi in cui tutti, genitori e bambini, riscoprono un «grammatica» della fede essenziale per potersi poi aprire all’accoglienza di un cammino cristiano. I percorsi di accompagnamento dei genitori devono, così, essere luogo di sostegno, di annuncio, di collaborazione, di delicatezza di attenzione alla vita con i suoi tempi, con le sue tappe. L’attenzione della nostra Chiesa va proprio in questa direzione, ponendo nuovamente il battesimo al centro dell’impegno pastorale di quest’anno; l’attenzione è posta in modo particolare ai percorsi familiari da attivare prima del battesimo del bambino, per proseguire dopo la celebrazione del sacramento e approdare con continuità ai percorsi parrocchiali di iniziazione cristiana. L’ufficio catechistico, facendo propria la sensibilità della diocesi, propone percorsi formativi che mirano alla riappropriazione, da parte di tutti i soggetti della catechesi, del proprio ruolo, evitando deleghe e rispondendo con una crescente consapevolezza alla vocazione missionaria della parrocchia. Se la catechesi passa dalla famiglia di Silvia Mancini La catechesi dei bambini e dei ragazzi che devono completare l’iniziazione cristiana soffre, oggi, in molte parrocchie, una stagione di fatica e insieme di ripensamento. Se da un lato si ha l’impressione di scarsa efficacia (un’iniziazione che «non inizia»), dall’altro si assiste alla ricerca di nuovi itinerari che, pur non rinunciando agli catechismi Cei, si orientano a un primo annuncio della fede. In quest’ottica si è iniziato a parlare di catechesi familiare, indicando con questo termine varie proposte di coinvolgimento della famiglia nel cammino di fede dei bambini. Anche le modalità cambiano «stile», abbandonando un approccio nozionistico-scolastico a favore della narrazione evangelica e dell’esperienza celebrativa con la comunità parrocchiale. Così si esprimono i Vescovi nella nota pastorale della Cei Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia: «L’iniziazione cristiana dei fanciulli interpella la responsabilità originaria della famiglia nella trasmissione della fede. Il coinvolgimento della famiglia comincia prima dell’età scolare e la parrocchia deve offrire ai genitori gli elementi essenziali che li aiutino a fornire a i figli l'”alfabeto”cristiano. Si dovrà perciò chiedere ai genitori di partecipare a un appropriato cammino di formazione, parallelo a quello dei figli. Inoltre, li si aiuterà nel compito educativo coinvolgendo tutta la comunità, specialmente i catechisti. Le parrocchie oggi dedicano per lo più attenzione ai fanciulli: devono passare a una cura più diretta delle famiglie, per sostenerne la missione». Da queste esortazioni scaturiscono alcune riflessioni che diventano mete, forse non immediatamente perseguibili, ma sicuramente da tenere presenti nelle nostre proposte pastorali. La famiglia dev’essere aiutata a riappropriarsi del proprio ruolo nel comunicare la fede e la parrocchia deve diventare un aiuto, un supporto, un luogo di accoglienza di questa fede. Si tratta di passare dal catechismo come responsabilità della sola parrocchia, all’annuncio della fede come impegno delle famiglie. I cristiani (tutti) devono diventare visibili e presenti nel cammino di fede dei bambini e dei ragazzi. Ai ragazzi di oggi mancano modelli credibili di adulti: la qualità dell’essere educatore di un adulto è strettamente legata alla qualità della sua testimonianza personale. Si tratta di passare dal catechismo come scuola ad una catechesi come esperienza di gruppo e di vita ecclesiale. La domenica deve riprendere il suo significato profondo di giorno del Signore, giorno della comunità, giorno dell’iniziazione alla fede. È evidente la necessità di non finalizzare la catechesi ai sacramenti, ma di inserirla in un cammino permanente di fede che ha nell’Eucaristia domenicale il suo punto di arrivo e di partenza, soprattutto per gli adulti. Ciò chiama in causa inevitabilmente la vocazione missionaria della parrocchia che va incontro a tutti, invece di curare solo «chi viene». In questa visione, i sacramenti diventano punti di partenza, anziché punti di arrivo: se questo è evidente nel battesimo, lo è di meno negli altri sacramenti. La storia insegna che ogni epoca ha avuto un suo modello di vita cristiana. Cristiani non si nasce, ma si diventa (periodo del catecumenato, primi secoli); non si può non essere cristiani (da Costantino alla fine del Medio Evo); cristiani si nasce, bisogna sapere quello che si è e vivere quello che si è (dal concilio di Trento al secolo scorso). Quest’ultimo è il periodo della catechesi intesa come «dottrina»: una classe (il gruppo), un maestro (il catechista), un libro (il testo di catechismo), un metodo (domanda – risposta con vari adeguamenti nel corso degli anni). Questo modello ha senso in un contesto di cristianità diffusa, in una parrocchia dove società civile e mentalità religiosa coincidono. Nel 1970 i Vescovi danno alle comunità cristiane il documento base per il rinnovamento della catechesi. In questo periodo si passa dai catechismi per la dottrina cristiana a i catechismi per la vita cristiana. Scopo del catechismo diventa creare una mentalità di fede; il contenuto centrale è la persona di Gesù; le fonti sono la Bibbia, la liturgia, la tradizione e il creato; il principio metodologico è la fedeltà a Dio e all’uomo; il destinatario è il vero soggetto della catechesi. Nonostante molte energie siano state spese in questo progetto, il risultato attuale ci spinge ad osare il nuovo: nel mutato contesto di un cristianesimo non più diffuso, è illusorio pensare che la sola esposizione della dottrina cristiana generi alla fede: essa va comunicata ed alimentata. Tocca alla famiglia «riempire» di senso le grandi parole «religiose». La famiglia è la culla, la matrice della vita spirituale. È qui che si fa la prima esperienza di Dio. Nessuno ha mai visto Dio, ma i bambini lo scoprono nella loro vita prima di tutto attraverso mamma e babbo. Si comunica solo ciò che si vive realmente. Se trasmettiamo ai nostri figli solo il linguaggio della religione, o vaghe descrizioni spirituali senza offrire loro nulla sul piano dell’esperienza, è come se chiedessimo di giocare ad un gioco solo leggendo le istruzioni sulla scatola. L’educazione spirituale nasce nella vita quotidiana. Condividendo con i figli l’amore per la natura, le semplici gioie della vita familiare, la nostra lealtà e il nostro amore incondizionato, l’accoglienza del diverso, la fiducia nella preghiera, noi mostriamo loro il volto di Dio. In ogni spazio familiare, anche nelle situazioni più problematiche, esistono situazioni che possono diventare fatti catechistici, luoghi in cui tutti, genitori e bambini, riscoprono un «grammatica» della fede essenziale per potersi poi aprire all’accoglienza di un cammino cristiano. I percorsi di accompagnamento dei genitori devono, così, essere luogo di sostegno, di annuncio, di collaborazione, di delicatezza di attenzione alla vita con i suoi tempi, con le sue tappe. L’attenzione della nostra Chiesa va proprio in questa direzione, ponendo nuovamente il battesimo al centro dell’impegno pastorale di quest’anno; l’attenzione è posta in modo particolare ai percorsi familiari da attivare prima del battesimo del bambino, per proseguire dopo la celebrazione del sacramento e approdare con continuità ai percorsi parrocchiali di iniziazione cristiana. L’ufficio catechistico, facendo propria la sensibilità della diocesi, propone percorsi formativi che mirano alla riappropriazione, da parte di tutti i soggetti della catechesi, del proprio ruolo, evitando deleghe e rispondendo con una crescente consapevolezza alla vocazione missionaria della parrocchia. Se la catechesi passa dalla famiglia di Silvia Mancini La catechesi dei bambini e dei ragazzi che devono completare l’iniziazione cristiana soffre, oggi, in molte parrocchie, una stagione di fatica e insieme di ripensamento. Se da un lato si ha l’impressione di scarsa efficacia (un’iniziazione che «non inizia»), dall’altro si assiste alla ricerca di nuovi itinerari che, pur non rinunciando agli catechismi Cei, si orientano a un primo annuncio della fede. In quest’ottica si è iniziato a parlare di catechesi familiare, indicando con questo termine varie proposte di coinvolgimento della famiglia nel cammino di fede dei bambini. Anche le modalità cambiano «stile», abbandonando un approccio nozionistico-scolastico a favore della narrazione evangelica e dell’esperienza celebrativa con la comunità parrocchiale. Così si esprimono i Vescovi nella nota pastorale della Cei Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia: «L’iniziazione cristiana dei fanciulli interpella la responsabilità originaria della famiglia nella trasmissione della fede. Il coinvolgimento della famiglia comincia prima dell’età scolare e la parrocchia deve offrire ai genitori gli elementi essenziali che li aiutino a fornire a i figli l'”alfabeto”cristiano. Si dovrà perciò chiedere ai genitori di partecipare a un appropriato cammino di formazione, parallelo a quello dei figli. Inoltre, li si aiuterà nel compito educativo coinvolgendo tutta la comunità, specialmente i catechisti. Le parrocchie oggi dedicano per lo più attenzione ai fanciulli: devono passare a una cura più diretta delle famiglie, per sostenerne la missione». Da queste esortazioni scaturiscono alcune riflessioni che diventano mete, forse non immediatamente perseguibili, ma sicuramente da tenere presenti nelle nostre proposte pastorali. La famiglia dev’essere aiutata a riappropriarsi del proprio ruolo nel comunicare la fede e la parrocchia deve diventare un aiuto, un supporto, un luogo di accoglienza di questa fede. Si tratta di passare dal catechismo come responsabilità della sola parrocchia, all’annuncio della fede come impegno delle famiglie. I cristiani (tutti) devono diventare visibili e presenti nel cammino di fede dei bambini e dei ragazzi. Ai ragazzi di oggi mancano modelli credibili di adulti: la qualità dell’essere educatore di un adulto è strettamente legata alla qualità della sua testimonianza personale. Si tratta di passare dal catechismo come scuola ad una catechesi come esperienza di gruppo e di vita ecclesiale. La domenica deve riprendere il suo significato profondo di giorno del Signore, giorno della comunità, giorno dell’iniziazione alla fede. È evidente la necessità di non finalizzare la catechesi ai sacramenti, ma di inserirla in un cammino permanente di fede che ha nell’Eucaristia domenicale il suo punto di arrivo e di partenza, soprattutto per gli adulti. Ciò chiama in causa inevitabilmente la vocazione missionaria della parrocchia che va incontro a tutti, invece di curare solo «chi viene». In questa visione, i sacramenti diventano punti di partenza, anziché punti di arrivo: se questo è evidente nel battesimo, lo è di meno negli altri sacramenti. La storia insegna che ogni epoca ha avuto un suo modello di vita cristiana. Cristiani non si nasce, ma si diventa (periodo del catecumenato, primi secoli); non si può non essere cristiani (da Costantino alla fine del Medio Evo); cristiani si nasce, bisogna sapere quello che si è e vivere quello che si è (dal concilio di Trento al secolo scorso). Quest’ultimo è il periodo della catechesi intesa come «dottrina»: una classe (il gruppo), un maestro (il catechista), un libro (il testo di catechismo), un metodo (domanda – risposta con vari adeguamenti nel corso degli anni). Questo modello ha senso in un contesto di cristianità diffusa, in una parrocchia dove società civile e mentalità religiosa coincidono. Nel 1970 i Vescovi danno alle comunità cristiane il documento base per il rinnovamento della catechesi. In questo periodo si passa dai catechismi per la dottrina cristiana a i catechismi per la vita cristiana. Scopo del catechismo diventa creare una mentalità di fede; il contenuto centrale è la persona di Gesù; le fonti sono la Bibbia, la liturgia, la tradizione e il creato; il principio metodologico è la fedeltà a Dio e all’uomo; il destinatario è il vero soggetto della catechesi. Nonostante molte energie siano state spese in questo progetto, il risultato attuale ci spinge ad osare il nuovo: nel mutato contesto di un cristianesimo non più diffuso, è illusorio pensare che la sola esposizione della dottrina cristiana generi alla fede: essa va comunicata ed alimentata. Tocca alla famiglia «riempire» di senso le grandi parole «religiose». La famiglia è la culla, la matrice della vita spirituale. È qui che si fa la prima esperienza di Dio. Nessuno ha mai visto Dio, ma i bambini lo scoprono nella loro vita prima di tutto attraverso mamma e babbo. Si comunica solo ciò che si vive realmente. Se trasmettiamo ai nostri figli solo il linguaggio della religione, o vaghe descrizioni spirituali senza offrire loro nulla sul piano dell’esperienza, è come se chiedessimo di giocare ad un gioco solo leggendo le istruzioni sulla scatola. L’educazione spirituale nasce nella vita quotidiana. Condividendo con i figli l’amore per la natura, le semplici gioie della vita familiare, la nostra lealtà e il nostro amore incondizionato, l’accoglienza del diverso, la fiducia nella preghiera, noi mostriamo loro il volto di Dio. In ogni spazio familiare, anche nelle situazioni più problematiche, esistono situazioni che possono diventare fatti catechistici, luoghi in cui tutti, genitori e bambini, riscoprono un «grammatica» della fede essenziale per potersi poi aprire all’accoglienza di un cammino cristiano. I percorsi di accompagnamento dei genitori devono, così, essere luogo di sostegno, di annuncio, di collaborazione, di delicatezza di attenzione alla vita con i suoi tempi, con le sue tappe. L’attenzione della nostra Chiesa va proprio in questa direzione, ponendo nuovamente il battesimo al centro dell’impegno pastorale di quest’anno; l’attenzione è posta in modo particolare ai percorsi familiari da attivare prima del battesimo del bambino, per proseguire dopo la celebrazione del sacramento e approdare con continuità ai percorsi parrocchiali di iniziazione cristiana. L’ufficio catechistico, facendo propria la sensibilità della diocesi, propone percorsi formativi che mirano alla riappropriazione, da parte di tutti i soggetti della catechesi, del proprio ruolo, evitando deleghe e rispondendo con una crescente consapevolezza alla vocazione missionaria della parrocchia.   di Silvia Mancini