Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«La parrocchia e le famiglie siano alleate per i giovani».

Domenica 28 settembre, come è ormai tradizione, molti catechisti della diocesi si stringeranno attorno al vescovo per accogliere da lui il mandato ad accompagnare i percorsi di fede nella nostre comunità parrocchiali. Questo importante momento sarà preceduto da un incontro di formazione nel seminario vescovile di Arezzo con don Ivo Seghedoni, direttore dell’Ufficio catechistico e responsabile della Pastorale giovanile dell’arcidiocesi di Modena-Nonantola. Il sacerdote ci aiuterà ad entrare con la specificità dei catechisti, nel tema del Piano pastorale diocesano, presentato nei giorni scorsi al Convegno pastorale di La Verna sul tema «La parrocchia comunità educante». Monsignor Gualtiero Bassetti, nel suo recente messaggio ai catechisti ricorda: «La parrocchia è quell’ambito vitale che, dopo aver generato alla fede i suoi figli mediante i sacramenti dell’iniziazione, continua ad accoglierli anche quando, adolescenti e giovani, manifestano difficoltà a vivere la fede in una comunità». È proprio a partire da questa situazione, innegabilmente critica, che occorre metterci in ascolto di questa «generazione invisibile» immaginando insieme piccoli passi possibili che passano attraverso la via di una conversione. Per introdurci al tema dell’incontro «Adolescenti e parrocchia: quale rapporto?» abbiamo rivolto qualche domanda a don Ivo Seghedoni.Il Papa ha segnalato un’«emergenza educativa». Quali priorità educative interpellano le nostre comunità ?«Credo che la prima sfida per rispondere alla “emergenza educativa” sia quella di esprimere vocazioni adulte, cioè di far crescere adulti capaci di essere tali non solo negli ambiti professionali ma anche nell’ambito ecclesiale. Si tratta di formare coscienze cristiane che abbiano maturato quella sapienzalità evangelica per valutare in modo autonomo le situazioni personali, relazionali, professionali ed ecclesiali in cui vivono».Adolescenti e parrocchia: un rapporto possibile ? Con quale stile?«Il rapporto tra giovani e parrocchia non è un rapporto facile. Anzitutto perché la parrocchia è troppo centrata sui bambini e sugli anziani e spesso non ha la progettualità o le risorse per divenire luogo accogliente per le esperienze, i linguaggi, le domande degli adolescenti. Inoltre essa subisce la stessa sorte della famiglia e delle altre agenzie educative che vengono “lasciate” dai ragazzi nel tempo della loro legittima ricerca di autonomia. Occorre pensare momenti, spazi ed esperienze che siano alleata e non ostili a questa esigenza di autonomia. E la parrocchia lo può fare, se accetta che gli adolescenti – a loro modo e non senza educatori presenti – possano sentirsi protagonisti e trattati da adulti».Quale conversione è necessaria perché le nostre comunità diventino capaci di un annuncio “profetico” che intercetti i preadolescenti con le loro domande di senso ?«Intanto occorre che il linguaggio (inteso in senso ampio) sia davvero comprensibile e significativo per i ragazzi: uscendo dalle secche della preoccupazione dottrinale ma anche evitando le superficialità dell’inseguimento immediato degli interessi dei ragazzi. Poi occorre che gli adolescenti possano rischiare le loro scelte, esprimere – pur con i necessari errori – una loro personalità di singoli e di gruppo. Infine occorre che gli adulti siano presenti da adulti: cioè capaci di dialogo, disponibili ad accettare anche le provocazioni dei ragazzi e capaci di rispondere in modo creativo, asservito sui valori, ma non giudicante; capaci di lanciare sfide impegnative e appassionanti, cioè di fare proposte e non solo di gestire la domanda; infine adulti capaci di porre domande “imbarazzanti” che non solo vogliano educare (o magari omologare) i ragazzi, ma piuttosto aprirli, liberarli, aiutarli a rischiare la propria soggettività e quindi la propria vocazione».Silvia Mancini