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Se l’immigrato vicino di casa è uno stimolo all’ecumenismo.

Ci sono almeno due modi per affrontare i problemi posti dall’ecumenismo: uno teologico, quindi di carattere teorico riservato agli specialisti di questa materia dottrinalmente e storicamente molto complessa e delicata; un altro di carattere pastorale pratico, che coinvolge quanti operano nelle comunità parrocchiali e addirittura nella società. Tutti e due questi livelli sono importanti, ma nessuno da solo è in grado di dare una risposta concreta ai problemi posti dalla realtà quotidiana.Sul piano teologico appare condivisibile l’opinione di chi ritiene che una riunificazione delle diverse confessioni cristiane «in un solo ovile, sotto un solo pastore» per sintetizzare una certa concezione dell’unità dei cristiani, non sia possibile nei tempi brevi. Allora è importante conoscersi, parlarsi, rispettare le diverse posizioni dottrinali e confrontarsi soprattutto con la Parola di Dio e la sua concreta attuazione nella storia per scoprire le possibili convergenze.Sul piano pratico, però, è urgente che ci si confronti con la concretezza della situazione storica che costringe a incontrare ogni giorno, nel mondo globalizzato, etnie, culture e religioni diverse. Si impone pertanto un lavoro dal basso che favorisca la conoscenza reciproca, il rispetto dell’altro, la solidarietà e la collaborazione con quanti si dichiarano discepoli di Gesù Cristo.La pastorale ecumenica, cioè l’insieme delle azioni e delle iniziative che favoriscono l’incontro e il confronto rispettoso tra le diverse confessioni cristiane, è divenuta ormai una esigenza quotidiana anche nella nostra terra.Cosa fare insieme? In primo luogo c’è l’urgenza per tutti i credenti in Cristo di reagire al predominio di una cultura secolarizzata, ormai dominante in Europa. Il continente più cristiano è anche quello più secolarizzato, che è altro dalla laicità. La mentalità secolarizzata riduce l’esistenza umana esclusivamente alle dimensioni terrene trascurando, se non negando, il problema della trascendenza. La dimensione religiosa dell’uomo, pur appartenendo alla più persistente delle tradizioni umane, viene negata o ridotta all’aspetto privatistico della persona. Insomma la vita spirituale è ritenuta del tutto insignificante o solo un affare strettamente personale.Accanto a questo problema di fondo, altri e consequenziali si pongono: come educare le comunità cristiane a professare con convinta adesione interiore una fede evangelica matura? Come, in particolare, preparare i giovani ad affrontare, da credenti, le sfide della modernità? Come insegnare a pregare e a testimoniare il vangelo nella quotidianità dell’esistenza? Come porsi, politicamente e quindi in forma associata, di fronte ai grandi problemi dell’umanità: la fame, il sottosviluppo, le malattie che colpiscono ancora gran parte degli abitanti del pianeta? Come dare ai giovani la possibilità di accedere alla cultura e a tutti i popoli di godere di condizioni di pace? Come lavorare insieme per la salvaguardia del creato che appartiene a tutta l’umanità e non può essere sfruttato solo a vantaggio di una minoranza evoluta?C’è insomma un ecumenismo religioso e un ecumenismo sociale con i quali anche la comunità cristiana più piccola è chiamata a confrontarsi. Se si trascurano questi aspetti della vita pastorale si rischia di venir meno a gravi obblighi storici.La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si tiene ogni anno dal 18 al 25 gennaio, è un’occasione favorevole per riflettere insieme sui compiti che i credenti in Cristo hanno oggi per non tradire la preghiera-esortazione di Gesù: «Che siano, Padre, una cosa sola».I tempi della riunificazione dei cristiani appartengono al progetto misterioso di Dio sulla storia. A noi spetta il compito di operare perché questo grande evento sia reso possibile. Di Luigi Spallacci delegato diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.