Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«Io, medico di Arezzo in Serbia, aiuto i malati mentali dimenticati».

Stanze buie, fredde, senza vetri dove si ammassano in pochi metri quadrati storie di follia, desolazione e abbandono. Sono gli ospedali psichiatrici della Serbia che sono distanti centinaia di chilometri dalla provincia di Arezzo, ma che da qualche tempo condividono con la diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro un sottile filo rosso. Ad unirle il dottor Paolo Serra, psichiatra aretino in pensione, consulente per la Caritas nazionale del progetto di salute mentale nei Balcani, che in questi giorni ospiterà proprio ad Arezzo una delegazione di operatori serbi.«Quando sono arrivato in ex Jugoslavia nel 2001 – spiega lo psichiatra – chiamato dal direttore della Caritas fiorentina, don Piero Sabatini, mi sono subito detto: “Qua sono inutile”. Nelle strutture sparse per la Serbia mancava tutto: dai vetri alle finestre ai riscaldamenti, dai vestiti per i pazienti al personale adeguatamente preparato, fino ad arrivare al cibo». I primi aiuti da parte degli operatori Caritas sono arrivati negli anni ’90 durante i diversi conflitti che hanno insanguinato a lungo i Balcani. Da subito la situazione di queste particolari strutture sanitarie è apparsa grave: a Nis, città bombardata dalla Nato, i pazienti erano nudi o vestiti con pezzi di divisa militare e il cibo scarseggia. Ecco allora che è partita la sfida all’insegna della solidarietà, con un progetto che ha cercato di provvedere innanzitutto a procurare generi di prima necessità ai pazienti degli ospedali psichiatrici grazie alla donazione di sementi e forni per cuocere il pane.È stato creato all’interno di Caritas un apposito gruppo di lavoro, di cui fa parte il dottor Paolo Serra. Nasce così il progetto di salute mentale in Serbia e Montenegro, una realtà che in dieci anni ha coinvolto un centinaio di operatori e volontari italiani e serbi, con un investimento di circa 800mila euro, nella quale sono state coinvolte le Caritas ambrosiana, fiorentina e serbo-montenegrina. «La prima fase di lavoro – racconta lo psichiatra aretino – si è occupata di intervenire con aiuti umanitari. Poi abbiamo iniziato a chiederci come rendere la vita dei disabili mentali più dignitosa. Abbiamo contattato i direttori di cinque manicomi serbi e coinvolto l’Organizzazione mondiale della sanità e il governo serbo. Il nostro obiettivo è duplice: da una parte, continuare a migliorare le condizioni di vita ospedaliera fornendo abiti e formando il personale; dall’altra, costruire un’alternativa ai manicomi, con progetti lavorativi e di accompagnamento sociale per i malati. Inoltre è iniziata in Serbia una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica anche attraverso la realizzazione di programmi televisivi. Nei paesi dell’Est europeo, infatti, è ancora forte il pregiudizio nei confronti del “diverso” trasmesso dal socialismo reale». Proprio in questa ottica la terra aretina si è trasformata in «laboratorio di apprendimento» accogliendo nel 2006, all’interno del progetto Caritas e in collaborazione con Ucodep e con la Regione Toscana, alcuni infermieri del centro di salute mentale di Nis, a cui è stata data l’opportunità di seguire un tirocinio presso il centro di servizio di igiene mentale di Bibbiena. Lunedì 19 gennaio, invece, un gruppo di sette operatori serbi arriverà ad Arezzo per confrontarsi con gli specialisti presenti sul nostro territorio. «Li accompagneremo a visitare anche alcune strutture di Firenze e di Verona – spiega Serra -. Sarà per loro un’occasione per arricchirsi professionalmente e poter riportare nella loro terra quanto hanno appreso in Italia». di Lorenzo Canali In manicomio da quando ha dodici anni: oggi è rinata grazie ai libri e a un lavoroEntrata in manicomio a dodici anni. Rinchiusa nel centro di Kovin, città serba a 80 chilometri da Belgrado, dopo aver tentato per tre volte il suicidio, sprofondata in una depressione dovuta alla violenza di una padre alcolista. È una delle tante tristi storie degli ospedali psichiatrici sparsi per i Balcani. Nessuno voleva più prendersi cura di lei. Per tredici anni è rimasta rinchiusa a Kovin, mentre fuori divampava la guerra. Quando le chiesero che cosa volesse fare, rispose: «Vorrei leggere». In poco tempo divorò tutti i libri presenti nella piccola libreria del manicomio. Gli fu concesso di andare nella biblioteca comunale, ma le rifiutarono il prestito quando disse che era ricoverata. Grazie al progetto portato avanti dalla Caritas italiana è migliorata. Ora ha un impiego lavorativo in una coltivazione di funghi, ma appena ha un momento libero corre a leggersi un buon libro in tutta libertà. È questo uno dei numerosi esempi di come, attraverso un adeguato percorso, sia possibile recuperare e donare una nuova dignità ai disabili psichici. Il progetto di salute mentale in Serbia, a cui partecipa l’aretino Paolo Serra, mira proprio a «esportare» questo approccio in una nazione dove i pregiudizi verso i «diversi» sono ancora forti.