Arezzo - Cortona - Sansepolcro

Sansepolcro apre il vecchio ospedale ai malati di mente.

Tra il novembre del 1976 quando i vecchi «Spedali riuniti» di Sansepolcro venivano chiusi definitivamente con il trasferimento nell’attuale nosocomio. Con quella chiusura finiva una storia iniziata nel 1883. Ci sono voluti più di trent’anni per vedere tornare a vivere l’antica struttura risalente al 1300. Da qualche settimana, infatti, l’edificio è stato riportato all’antico splendore con l’inserimento al suo interno dell’unità funzionale di salute mentale dell’Asl 8. Quattro le attività che vengono ora svolte in via della Misericordia: un dipartimento di salute mentale, un centro diurno gestito da una cooperativa sociale per il recupero socio-riabilitativo di pazienti con disturbi psichici, un centro neuropsichiatrico infantile e una casa famiglia per adulti con handicap psichici che ha preso il posto di quella esistente fino a poco tempo fa in via dei Balestrieri. Ad essere recuperato, in questo senso, non è stato solo un edificio di indubbio valore storico e artistico (anche se ancora l’adiacente chiesa è in stato fatiscente) ma anche il suo ruolo «misericordioso» di accoglienza del malato che per tanti anni aveva svolto e che resta vivo nel ricordo dei borghesi. Tante le storie che ruotano attorno all’edificio nel cuore di Sansepolcro, a due passi dai giardini dedicati a Piero della Francesca. Proprio al celebre pittore è legata la chiesa annessa al vecchio ospedale. Qui si trovava fino al 1807 il polittico della Misericordia, oggi al Museo civico; sempre qui si potrebbe trovare un affresco pierfrancescano, oggi andato disperso e commissionato dalla Confraternita di Misericordia che aveva lì la propria sede. Tante anche le memorie dei feriti della Seconda guerra mondiale transitati per la struttura di via della Misericordia. Tra le molte storie vale la pena menzionare quella del dottor Raffaello Alessandri che, assieme a don Duilio Mengozzi e al personale della struttura, rischiarono la vita per nascondere nell’ospedale soldati inglesi, prigionieri slavi ed ebrei in fuga, tra cui anche il celebre letterato Attilio Momigliano, rifugiato assieme alla moglie dietro una porta con su scritto «tifo» davanti alla quale i soldati tedeschi passarono più volte senza mai entrare. O anche quella del piccolo Andrea Gobbi, arrivato all’ospedale biturgense dopo essere stato colpito da una granata. Non c’erano più bende e le sue gambe vennero avvolte nella carta igienica. Morirà il 4 luglio 1944. Ma il vecchio ospedale fu legato anche alla figura del vescovo di Sansepolcro, Pompeo Ghezzi, che contribuì a rimettere in sesto una struttura giunta al limite delle condizioni igienico-sanitarie e che avrebbe così potuto continuare ad esistere fino agli anni ’70.di Lorenzo Canali «Quando i tedeschi erano in corsia»Quante volte si sono visti i tedeschi salire le scale dell’ospedale con evidenti scopi di razzia, ma le hanno ridiscese con le mani vuote. Direttore, medici, suore hanno rischiato la vita, ma nessuno se n’è accorto». Così don Duilio Mengozzi ricorda, nelle sue memorie scritte, il vecchio ospedale biturgense durante la guerra.