Quando si parla di «Viva Maria» aretino – la grande insorgenza antifrancese ed antigiacobina del 1799 – è giocoforza affrontare il rapporto fra l’insurrezione e gli ebrei, in particolare a Siena e a Monte San Savino dove all’epoca risiedeva una consistente comunità che subì in prima persona le conseguenze di un periodo di grandi sconvolgimenti e di forti passioni. Nel 1799 tutti gli ebrei di Monte San Savino abbandonarono il paese e – di fatto – non vi fecero più ritorno, mentre a Siena si verificarono i fatti più gravi con 13 persone uccise, di cui alcune bruciate in piazza del Campo.I detrattori del «Viva Maria» partono da questi fatti per accusare il movimento di una forte connotazione antisemita; altri invece sostengono che non si può ridurre un fenomeno complesso come l’insorgenza ad un «pogrom» antiebraico e che gli eccessi e le violenze siano stati il frutto dell’azione di singoli o di gruppi che poco avevano a che fare con gli scopi del moto popolare.A questa seconda scuola di pensiero si iscrive Santino Gallorini che ha affrontato di petto l’argomento nel suo ultimo libro Il Viva Maria e la nazione ebrea: i fatti di Monte San Savino e Siena edito da Calosci e presentato martedì 19 maggio ad Arezzo dalla Società Storica Aretina. L’opera, che si avvale della prefazione di due importanti storici di diversa formazione, Franco Cardini e Roberto Salvatori, è basata su una puntigliosa ricerca fatta negli archivi di Firenze, Arezzo, Siena, Monte San Savino (sia quelli pubblici, sia quelli delle comunità ebraiche) e cerca di ricostruire le circostanze che videro protagonisti gli ebrei di Monte San Savino e di Siena nell’estate del 1799.Fra le fonti esaminate da Gallorini un ruolo di primo piano hanno avuto gli atti dei processi celebrati a Siena contro i responsabili dei massacri. E da questo esame è emersa un’amara sorpresa: gran parte degli atti dei procedimenti per omicidio è scomparsa. Un fatto – commenta Gallorini – probabilmente non causale.Comunque l’autore non si è dato per vinto e, sfruttando il materiale ancora disponibile, ha potuto ricostruire nei particolari i giorni dell’insorgenza: l’entrata delle prime truppe aretine a Siena, l’inizio degli scontri armati, l’assalto al ghetto ebraico e ha identificato i nomi e i cognomi degli assassini di dieci degli ebrei trucidati: tutti popolani senesi. Così Santino Gallorini si è ancora di più convinto di come – sia a Monte San Savino che a Siena – le armate aretine e i vertici dell’insorgenza non possano essere accusati di particolare animosità nei confronti delle locali comunità ebraiche e che le violenze perpetrate nei loro confronti siano state opera di persone spinte da squallidi motivi (ancestrale antisemitismo, rapina, volontà di sfuggire a debiti contratti) che approfittarono di un momentaneo vuoto di potere.Pur nella consapevolezza che su questo evento storico le contrapposizioni culturali ostacolano ancora – a oltre duecento anni dai fatti – il confronto pacato e la definizione di una «memoria condivisa», il libro di Gallorini ha il pregio di essere andato alla fonte dei fatti e di aver portato alle sue tesi prove significative.Fabio Giannini