«Il curriculum e quanto realizzato fino ad oggi ne rappresentano il miglior biglietto da visita, ma allo stesso tempo si intende marcare un vivo apprezzamento per l’intervista rilasciata nelle scorse settimane, tesa a ribadire quei principi di virtù, correttezza e uguaglianza posti a fondamento del nostro stesso ordinamento costituzionale». Con queste parole il presidente della sezione biturgense dell’Anpi (associazione nazionale partigiani d’Italia), Andrea Bertocci, saluta «con calore e stima» l’arrivo del nuovo vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Riccardo Fontana.«Insieme alla libertà di pensiero ed opinione, essi furono ispirati da una necessità di tutela derivante proprio dall’immane tragedia della guerra, che espose proprio gli umili e gli innocenti, più di ogni altro, all’applicazione sistematica delle violenze più atroci. Insieme alle vittime civili, ai militari e partigiani caduti, vogliamo ricordare il sangue versato dallo stesso clero aretino e, in particolar modo, dall’allora diocesi di Sansepolcro. Alto è l’esempio di don Domenico Mencaroni (parroco di Verrazzano e Toppole a cui “anche i gatti volevano bene), reo di aver dato ospitalità nella canonica ai partigiani che operavano tra Poti e Montemercole. Alla nipote che evidenziava il pericolo a cui era esposto, lo zio rispondeva: “Non possiamo dire certe cose dall’altare e poi comportarsi diversamente nella vita di tutti i giorni”. Analogamente il suo corrispondente don Giuseppe Tani, parroco di Casenovole, fu trucidato nel carcere di Arezzo insieme al fratello Santino, avvocato di Vitiano e guida del movimento resistenziale aretino. Don Francesco Babini (parroco di Donicilio) fu catturato insieme ad un giovane contadino con l’accusa di aver nascosto degli ufficiali britannici, quindi fu tra i prigionieri fucilati per rappresaglia a Pievequinta, vicino a Forlì. Potremmo continuare con il sacrificio di don Ilario Lazzeroni al Passo del Carnaio e quello di don Giuseppe Rocco, vittima a Santa Sofia di una vendetta da parte di slavi fuggiti dal campo di concentramento di Renicci».La lettera aperta si conclude accennando «all’opera di soccorso e a quel tipo di resistenza (nemmeno troppo passiva) attraverso cui si distinse l’apostolato dei giovani sacerdoti Gino Lazzerini a Fresciano, Tersilio Rossi a Lama e Fragaiolo, Duilio Mengozzi al Trebbio, Luigi Cecconi alla Montagna (quest’ultimo si prestò anche a recapitare medicinali ai partigiani feriti). Tutti risposero all’appello del loro vescovo Pompeo Ghezzi, rimanendo vicini ai loro parrocchiani nel momento del bisogno e della paura, aprendo le porte delle canoniche a chiunque chiedesse un rifugio».