Si impone immediatamente una domanda tutt’altro che banale e scontata: cosa c’entra la Chiesa con l’economia e la crisi e, soprattutto, quale contributo può dare?Partirei anzitutto da alcuni dati di base per inquadrare la discussione. Qual è la situazione del sistema produttivo aretino? Quali i guasti determinati negli ultimi anni ma, soprattutto, è solo colpa della crisi finanziaria nell’ultimo biennio o, invece, i problemi vengono da più lontano?L’Istituzione dei distretti industriali della provincia di Arezzo affidò a Nomisma nel 2007 l’incarico di effettuare un’indagine di medio periodo per comprendere le evoluzioni del sistema aretino da lì al 2015. I risultati, ancora oggi attuali, sono così riassumibili: una provincia che ancora basa il proprio sviluppo sul sistema manifatturiero tradizionale, ma che registra nel contempo la comparsa di alcuni nuovi settori come la meccanica, l’agroalimentare, l’high-tech, il turismo. Complessivamente tutto il sistema produttivo, secondo le stime econometriche della ricerca, sta perdendo progressivamente competitività (in maniera consistente) rispetto all’economia italiana. E tutto ciò prima degli eventi dell’ultimo biennio che hanno reso il confronto ancora più drammatico.La ricerca dice sostanzialmente che la nostra economia (ma forse non solo quella aretina) attraverserà una crisi epocale: si è rotto il modello che ha caratterizzato lo sviluppo dal dopoguerra ad oggi e bisogna reinventarne uno nuovo che ci consenta di competere nell’economia globalizzata, visto che solo di economia aretina è ormai improprio parlare.Rispetto ad un contesto di questo tipo, che mette in gioco non soltanto strategie aziendali e scelte di programmazione economica, ma anche e soprattutto una moderna visione culturale capace di definire nuovi modelli di sviluppo, nessuno degli attori istituzionali ed economico-sociali può chiamarsi fuori. Tanto meno la Chiesa che, a mio avviso, ha il dovere (e anche il diritto) di esprimere la propria voce, di orientare le scelte e il sistema di valori culturali su cui si fonderà un nuovo ordine economico, ancora avvolto da nubi dalle quali si intravedono solo alcuni sfumati contorni.La Chiesa, alla luce dell’enciclica Caritas in veritate, cui peraltro il convegno del 5 dicembre organizzato dalla diocesi è dedicato, può aiutare molto ad aprire la mente: dell’uomo imprenditore, dell’uomo lavoratore e dell’uomo politico e amministratore pubblico; di quelle figure, cioè, dalle quali dipendono le scelte economiche e aziendali di oggi e del prossimo futuro. Li deve aiutare a definire un sistema di valori su cui basare il nuovo modello di sviluppo, ma soprattutto li deve aiutare a mettere in discussione se stessi e le scelte che hanno caratterizzato finora la propria azione: la convinzione che dalla crisi si esce se qualcun altro fa qualcosa, piuttosto che la responsabilità e l’urgenza di rivedere il proprio modo di operare, di lavorare.Uscire dagli stereotipi comportamentali è difficile per tutti: un’autorità morale superiore, quale la Chiesa, ha la flessibilità e l’autorevolezza di farlo. Riflettere sull’ultima enciclica del Papa può facilitare questo percorso.di Roberto Castellucci * direttore dei distretti industriali di Arezzo