Consapevoli della evoluzione storica alla quale la Chiesa era chiamata a far fronte, i Padri conciliari del Vaticano II hanno dato una grande attenzione al dialogo ecumenico e a quello interreligioso. Basta solo scorrere l’indice analitico dei documenti conciliari per cogliere la ricchezza teologica e pastorale delle indicazioni in essi contenute. Purtroppo tali indicazioni, estremamente utili anche per gli operatori pastorali, sono state accolte solo da piccoli gruppi di persone senza riuscire ad incidere in maniera significativa sull’opinione pubblica dei fedeli e sul loro comportamento pratico.A oltre 40 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II l’ecumenismo sta assumendo, qui in Italia, una nuova urgenza storica. Non si tratta più soltanto di confrontare le idee, ma di stabilire anche quali rapporti tenere con le persone appartenenti ad altre confessioni cristiane e addirittura ad altre religioni. Perché gli altri li abbiamo in mezzo a noi.Si tratta di saper leggere i segni dei tempi per esercitare la virtù del discernimento e per adeguare l’impegno pastorale alle nuove sfide storiche. Nessuno chiede di stravolgere il normale lavoro pastorale in parrocchia, a scuola o all’interno delle varie associazioni, occorre però saper coniugare insieme tradizione e innovazione, tenendo conto del contesto storico nel quale si è chiamati ad operare. La fede, la speranza e la carità rimangono sempre alla base del cristianesimo, ma la loro attuazione concreta dipende molto dal contesto nel quale il credente vive.La pastorale parrocchiale o quella scolastica hanno alle loro spalle una significativa e nobile tradizione, tuttavia non si può rinunciare, oggi, a dare ad esse una connotazione ecumenica perché le diversità esistono tra di noi ed urge favorire il passaggio da una loro concezione conflittuale a quella riconciliata per offrire al mondo una credibile testimonianza evangelica. Fu proprio questa preoccupazione pastorale che spinse i missionari cristiani ad interrogarsi, cento anni fa, sul problema ecumenico, come meglio ricorda il monaco camaldolese Roberto Fornaciari nel suo contributo pubblicato in questa stessa pagina.L’ecumenismo chiede oggi di farsi attenzione quotidiana alle altre presenze cristiane e religiose che ci sono in mezzo a noi. Occorre conoscerle bene per superare pregiudizi storici non corrispondenti alla realtà e stabilire con esse un confronto costruttivo e umile, perché la verità è grande quanto Dio e nessuna mente umana può presumere di possederla tutta. Del resto il Nuovo Testamento è esplicito: per tutti Cristo è morto e tutti in qualche modo vengono raggiunti dalla forza liberatrice della morte e resurrezione del Signore Gesù, anche se i percorsi religiosi sono molteplici.In un momento in cui atteggiamenti demagogici strumentali rivendicano la centralità della religiosità popolare è bene ricordare che compito degli operatori pastorali non è quello di solleticare tali esigenze, ma di far il possibile perché la religione del popolo coincida con le irrinunciabili esigenze del Vangelo. Una sfida ed una opportunità da non perdere per rispondere alle istanze del nostro tempo.di Luigi Spallacci direttore della Commissione diocesana per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso Immigrati e religione: la nuova geografia della fedeL’immigrazione presenta anche un «impatto» multireligioso: gli oltre 33mila immigrati stranieri provenienti da 131 Paesi portano con sé accanto alle altre specificità culturali (lingua, tradizioni, pratiche alimentari) anche un’appartenenza religiosa definita. Si tratta di delineare una nuova «geografia» religiosa della nostra provincia, che 20 anni di significativi flussi migratori hanno contribuito a ridisegnare.Occorre tuttavia sottolineare che «appartenenza religiosa» non è sinonimo di «pratica religiosa»: il riferimento a questa categoria rimanda piuttosto all’adesione ad un’area culturale. Conoscere comunque l’appartenenza religiosa o la fede di chi ci è accanto aiuta a comprendere i suoi comportamenti e le esigenze a cui rispondere.I dati del dossier Caritas e Migrantes sono certamente un punto di riferimento ineludibile per chiunque si interessi all’immigrazione in Italia, ma quanto alla religione sono fondati sull’ipotesi di partenza se del caso corretta quando i flussi migratori da un Paese appaiono palesemente alimentati soprattutto dai seguaci di una specifica religione che gli stranieri presenti in Italia abbiano la stessa ripartizione religiosa dei Paesi di origine.Questa ipotesi si basa su manuali e dati governativi che, soprattutto nel caso delle Chiese cristiane, spesso non chiariscono se si tratti di «membri» attivi ovvero soltanto «battezzati» o «nominali», e in molti casi sottovalutano l’area del «credere senza appartenere». Così, per esempio, se in ipotesi il Marocco dichiara che il 99% dei suoi cittadini sono musulmani, il rapporto di Caritas e Migrantes conterà come musulmani il 99% degli immigrati marocchini, senza considerare la presenza modesta ma non irrilevante di marocchini che in Italia si sono convertiti al cristianesimo, né quella più rilevante di coloro che non hanno mantenuto alcun rapporto con la religione.Se un Paese dell’Europa dell’Est dichiara che i suoi cittadini sono all’80% cristiani ortodossi, così sarà contata la relativa immigrazione, anche qui senza tenere conto delle conversioni al cattolicesimo (rare e discrete, ma non inesistenti) e soprattutto del fatto che queste stime governative nell’Europa orientale sono piuttosto generose e non tengono conto dello scivolamento nell’irreligione di ampie fasce di cittadini nell’epoca comunista e post-comunista.Sembra pertanto che il dato di Caritas e Migrantes come anche fonti interne a queste organizzazioni ormai ammettono sia da rivedere in basso per gli ortodossi, i protestanti, e anche per gli appartenenti a religioni orientali, mentre il dato sui musulmani dovrà tenere conto del fatto che i dati forniti dai Paesi di origine sottovalutano le minoranze non musulmane, che un certo numero di musulmani a sua volta da non sopravvalutare arrivato in Italia perde ogni contatto con la religione, e che d’altro canto si devono integrare gli effetti, qui per certo non irrilevanti, dell’immigrazione clandestina.Gli eventi della settimana per l’unità dei cristianianche la diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro celebra la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si tiene dal 18 al 25 gennaio e che ha per filo conduttore un versetto del Vangelo di Luca: «Voi sarete testimoni di tutto ciò». Questi gli appuntamenti.MARTEDÌ 19 GENNAIOore 10.30 a Monte San Savinonella Sala del CasseroIncontro con Mario Fineschi della Comunità ebraica di FirenzeMERCOLEDÌ 20 GENNAIOore 18 ad Arezzonella chiesa del Sacro CuoreLiturgia ecumenicacon l’arcivescovo Riccardo Fontana, il pastore Mario Affuso (Chiesa Apostolica d’Italia) e padre Octavean Tomuta (Chiesa Ortodossa Rumena)GIOVEDÌ 21 GENNAIOore 18.30 a Sansepolcronella ConcattedraleLiturgia ecumenicapresieduta da padre Octavean TomutaSABATO 23 GENNAIOnel monastero di Camaldoliore 15.30: Incontro con la pastora Letizia Tommasoneore 18: Canto del VesproGIOVEDÌ 25 FEBBRAIOore 18 a Santuario della VernaIncontro con il gesuita padre Paolo Dall’Oglio e Elzir Ezzedin, segretario Ucoi, sul tema «Il sultano e Francesco. Cattolici e musulmani a confronto»