Nell’Aretino non piace la Pasqua sotto il segno dello shopping. Dopo l’incontro dell’arcivescovo Riccardo Fontana con i sindacati del comparto del commercio e la nota dello stesso Fontana in cui spiega che «le ragioni del calendario e il bisogno di lavorare soprattutto in quest’anno di crisi rischiano di non rispettare neppure la Pasqua», la questione della festa cristiana per eccellenza «snaturata» dalla Fiera antiquaria e dai negozi aperti ad Arezzo continua a tenere banco.Il presidente di Confesercenti, Alberto Papini, ha scritto all’arcivescovo per appoggiare la presa di posizione del presule. «Per i cristiani afferma Papini non c’è festa più significativa della Pasqua e quindi ritengo di poter affermare che l’apertura in quel giorno degli esercizi commerciali non è sicuramente una scelta della quale poter andare fieri. Sono proprio gli stessi operatori ad averci testimoniato la loro volontà di osservare la chiusura per poter trascorrere la festività religiosa assieme ai loro cari familiari». Aggiunge il presidente: «Purtroppo quest’anno la Pasqua coincide con la Fiera antiquaria, un appuntamento storico che si ripete ogni mese attirando in città numerosi turisti. La speranza, ed al tempo stesso l’invito che rivolgo ai commercianti, è quello di rispettare la Pasqua, magari rimanendo aperti esclusivamente coloro che effettuano servizi di accoglienza ai turisti. L’importante è che la grande distribuzione non alzi le saracinesche».A fianco dell’arcivescovo si schierano anche le Acli di Arezzo che con il suo presidente provinciale, Enrico Fiori, si dicono d’accordo con il monito di Fontana e l’invito a «non dimenticare di onorare la propria fede e la Pasqua del Signore».Dura è la «denuncia» che arriva dai sindacati sulle aperture domenicali dei negozi che sono partite dal Valdarno e adesso stanno toccando Arezzo. «Non possiamo accettare affermano Loretto Ricci, Giovanni Marini e Marco Conficconi, segretari provinciali dei sindacati dei lavoratori del commercio di Cgil, Cisl e Uil il meccanismo dell’ennesima deroga che piace tanto alle associazioni degli imprenditori e a talune amministrazioni. Un sistema che non consente a nessun lavoratore di programmare quei pochi spazi di vita sociale che ancora rimangono». Le tre sigle hanno programmato un percorso con i lavoratori che venerdì 30 aprile porterà a uno sciopero generale del commercio nella provincia di Arezzo. «Da qui partiamo affermano Ricci, Marini e Conficconi . E su questa strada, se le condizioni non cambieranno sostanzialmente, cercheremo di portare anche chi ha espresso le posizioni dei lavoratori come l’arcivescovo di Arezzo e partiti politici». Per i sindacati è mancata una vera concertazione nelle ultime decisioni. «Siamo stati chiamati a discutere, quando ormai la decisione, su sollecitazione delle categorie economiche, era già stata assunta. Eclatante è la decisione del Comune di Arezzo di derogare ancora una volta anche per la Pasqua. I dipendenti lavoreranno anche per questa che è una delle principali festività religiose». Una scelta che non è stata gradita. «Le deroghe senza alcun limite ci appaiono, sempre di più, solo una disperata e insensata risposta alla crisi. Una risposta, oltretutto, che non ottiene risultati in termini di fatturato, che privilegerà le grandi catene commerciali a danno del piccolo negoziante e che, in compenso, penalizza duramente gli addetti».Intanto il Comune di Arezzo ha fatto in modo che domenica scorsa, 28 marzo, potessero restare aperti i negozi come «segnale di conciliazione». La deroga si legge nell’ordinanza del sindaco Giuseppe Fanfani è stata concessa sull’auspicabile presupposto che stante la possibilità di far acquisti nella festività precedente, pur nella libertà di scelta imprenditoriale, la domenica di Pasqua possa essere più liberamente destinata al riposo e, per i credenti, alla festa più importante cristiana. Dopo le critiche dei sindacati, l’amministrazione ha aperto un tavolo per la definizione delle aperture in deroga. «L’obiettivo spiega il Comune è individuare un giusto equilibrio che possa consentire agli operatori commerciali di valorizzare al massimo le loro potenzialità, ai lavoratori di godere dei diritti contrattuali, ai consumatori di avere ampie possibilità di scelta senza favorire irrazionali spinte consumistiche che vanno contro i valori della nostra comunità».G.G.