Mentre fervono i preparativi per la seconda festa annuale in onore di Santa Margherita, che si celebrerà domenica 9 maggio, non è forse fuori luogo ricordare che questa solennità deriva dal desiderio dei cortonesi e delle comunità francescane di celebrare la memoria della canonizzazione della Santa, avvenuta il 16 maggio 1728 con decreto del Sommo pontefice Benedetto XIII. Ma è utile anche sapere che il carteggio fra Cortona e Roma durante il decennio conclusivo del processo di canonizzazione (1720-1730) si trova nella biblioteca del seminario di Cortona. Sono tre grossi volumi, rilegati in cuoio grigio con fregi in oro, costituiti da 1010 fogli che raccolgono 467 lettere, la maggior parte delle quali furono scritte da Onofrio Buoni che, insieme a Domenico Tommasi e Leone Pontelli, faceva parte della terna dei deputati eletti dal Consiglio Grande e Generale della comunità di Cortona, per portare avanti e finalmente concludere il processo di santificazione della Beata Margherita iniziato fin dal lontano 1629. Se infatti la devozione popolare fu sufficiente per proclamare Margherita «santa subito», immediatamente dopo la sua morte, e se bastò la Bolla del papa Urbano VIII per proclamarla ufficialmente Beata nel 1623, per il suo inserimento nel canone dei Santi, le cose andarono invece piuttosto per le lunghe, sia per la scarsa esperienza delle persone incaricate di seguire il processo, sia per le varie modifiche che la Congregazione dei Riti apportava alle modalità da osservare nelle cause di canonizzazione. L’esame e l’accettazione dei miracoli poi risultò un problema alquanto laborioso anche perché gli incaricati cortonesi insistevano molto sulla richiesta di riconoscimento, come primo miracolo, dell’incorruzione del corpo; cosa che la Congregazione non accettava perché l’integrità corporale non era mai stata portata come fatto miracoloso nelle cause precedenti. Eccoci dunque alla faticosa impresa documentata con tanta passione e ricchezza di particolari, tra speranze e delusioni, nella raccolta di lettere tra il 1720 e il 1730. Si tratta veramente di una eccezionale miniera di notizie e di procedure che, pur non rivelando grandi novità, ci fanno tuttavia conoscere tutto un retroscena di profonda devozione alla Santa, di preoccupazione per la lunga attesa, di esultanza per gli ostacoli che via via venivano superati ed infine una generale soddisfazione per il buon esito raggiunto dopo cento anni di faticoso impegno.Dalle lettere veniamo a sapere che il Comune di Cortona costituì un fondo di titoli bancari, chiamato “Moltiplico”, presso alcuni istituti di credito operanti in Roma per provvedere alle spese occorrenti, che assommarono a circa 15mila scudi. Dopo una prima ricognizione del corpo della Santa, avvenuta nel 1719, si dovette procedere ad una seconda visita canonica che, come la prima, non approdò a nessun esito. Nemmeno una terza visita, nell’ottobre 1724, effettuata di persona dal cardinale Pietro Corradini, riuscì a fugare tutte le perplessità e le opposizioni da parte della Congregazione, provocando un profondo sconforto che Onofrio Buoni manifesta in più di una lettera. Ma a convalidare gli sforzi dei cortonesi intervenne la stessa Santa che ottenne da Dio un nuovo miracolo: il 5 aprile 1725 una giovane conversa del monastero delle Poverelle, suor Maria Fortunata Vannucci, dopo avere invocato l’intercessione di Santa Margherita, guariva istantaneamente da una tubercolosi polmonare che i medici avevano dichiarato incurabile. Venne fatto subito un regolare processo secondo le istruzioni della Congregazione, ma a Roma le cose procedevano ancora con grande lentezza. Ed ecco di nuovo lo sfogo del Buoni: «Dio sa quanto andrà in lungo la faccenda e quando mai verrà messo fuori il Decreto tanto bramato». Finalmente il Papa in persona, Benedetto XIII, preso a cuore il travagliato processo, indisse la riunione di 14 cardinali e 14 teologi per la discussione ultima e definitiva dei miracoli, che si concluse con parere unanime e favorevole. «La sera subito dopo avere avuto il decreto scrive finalmente esultante Onofrio Buoni si diede il segno giulivo con il suono di tutte le campane, che durò per tre giorni, distinto in tre volte al giorno, e con lo sparo di molti mortaretti alle varie porte della città. La mattina dopo solenne “Te Deum” in Duomo con musica e trio di trombe, presente il Magistrato e gran folla di popolo. Seguì la Messa pontificale con la miglior musica che potesse dare il paese. La sera altre funzioni seguite da spari, grandi fuochi e una diligentissima illuminazione di tutta la città che faceva un così bel vedere». La canonizzazione avvenne in San Pietro il 16 maggio 1728; nella domenica di Pentecoste. di Benito Chiarabolli