Arezzo - Cortona - Sansepolcro

La guerra vista da don Pietro Buresti: Dall’incontro con Sante Tani all’aiuto a una famiglia di ebrei.

Lungo la direttrice di via Fontanelle e via Pellicceria nel centro storico di Arezzo che conduce al Prato, nata come cardo romano, sorge la chiesa di Sant’Agnese. Un edificio di cui si ha notizia fin dal 1025. Fino al 1959 fu chiesa parrocchiale. Dopo la soppressione della parrocchia, è diventata una cappella succursale della vicina Cattedrale.Nel 1951 giunse parroco a Sant’Agnese don Pietro Buresti. Don Pietro era nato a Vitiano nel 1920. Fu ordinato sacerdote nel 1942 in pieno conflitto mondiale, ma con la guerra ancora lontana da Arezzo. Uomo di vasta e indiscussa cultura insegnò fin dall’anno della sua ordinazione. Fu docente di lettere, latino, greco, matematica in Seminario. Si laureò in scienze naturali a Firenze e divenne insegnante di quella materia sia in Seminario sia nelle scuole statali. Rimase a Sant’Agnese anche quando cessò di essere parrocchia titolare. Morì dopo lunga malattia il 24 febbraio 2007 nella clinica San Giuseppino.Quando la guerra arrivò ad Arezzo, con il primo bombardamento alleato alle ore 13.30 del 13 novembre 1943, don Buresti, appena ventitreenne, insegnava lettere al Seminario minore. Le incursioni aeree erano incessanti. Bombe venivano sganciate sulla ferrovia, nel centro storico, sulle colline intorno alla città. Il vescovo Emanuele Mignone per garantire l’incolumità dei seminaristi rimandò a casa i più giovani, trasferì i ginnasiali a Firenze e gli studenti di Liceo e Teologia in un edificio appena costruito poco lontano dal Santuario della Verna.Il 30 marzo 1944 don Pietro Buresti, pur insegnando in Seminario, fu nominato parroco della parrocchia delle Sante Flora e Lucilla a Olmo, poco distante da Vitiano, suo paese d’origine, e a due passi dal Convento di Sargiano. Il parroco precedente, don Primo Migliorini, era morto durante un bombardamento: fu uno delle prime vittime del passaggio del fronte ad Arezzo. Don Pietro in quei mesi drammatici non tralasciò di prendere appunti su quanto gli accadeva e su cosa avveniva intorno a lui. Usò fogli di carta sparsi: quelli che gli capitavano sottomano.A distanza di decenni un suo caro amico, don Natale Luciano Gabrielli, appassionato ricercatore, ritrovò queste «memorie del tempo di guerra» fra i libri e i documenti che don Buresti gli aveva consegnato perché li conservasse nella Biblioteca del Seminario. Don Natale raccolse le memorie e le portò a don Pietro, allora già malato: «Gliele lessi in parte: se ne era dimenticato, poi gli tornò tutto in mente, si commosse, pianse, gli promisi che le avrei pubblicate». Oggi quella promessa è stata mantenuta. La parrocchia della Cattedrale di Arezzo, guidata da don Alvaro Bardelli, pubblica Don Pietro Buresti, Tempore belli, ottanta pagine appena uscite.In quest’opera sono raccolte le memorie della parrocchia delle Sante Flora e Lucilla dal 1943 al 1950, quelle del Convento di Sargiano, quelle della chiesa di Rigutino con un’appendice del suo attuale parroco, don Virgilio Annetti.Ma soprattutto vi troviamo tutto il giovane don Pietro Buresti con il suo stile fra il curioso, l’ilare e il drammatico. La sua chiesa divenuta punto di osservazione degli occupanti tedeschi, il dramma dei parrocchiani morti per mano tedesca o per le granate alleate. La desolazione di fronte alle distruzioni lasciate dalla guerra: «La chiesa è ridotta ad una stamberga: materassi, paglia, ceri e candelabri sono sparsi fra le molte macerie. I tabernacoli aperti. Il tetto è aperto nell’ultima campata. La campana maggiore è fra le macerie. In canonica non sono descrivibili il sudicio e il fetore». E dopo la guerra la gioia di don Pietro per la rinascita: la chiesa ritornata al suo passato decoro, la costruzione di un pozzo per l’acqua, la grande Peregrinatio Mariae del 1950.Di grandissimo interesse nel libro è il diario che don Buresti scrisse in quel periodo fra le colline di Arezzo e i monti della Verna. Ci parla dei suoi «sereni» viaggi a piedi di oltre venti chilometri da Rassina alla Verna, fra sentieri, fossati, sterpaglie a ripassare la lezione del giorno o a cercare di salvare la lunga tonaca; o di quello meno «sereno» quando si perse fra le nebbie che avvolgevano il Sacro Monte.Ci racconta del Seminario «sfollato» all’Oasi della Verna; dell’arrivo – inaspettato lassù – «di una grossa pattuglia di belligeranti in borghese (partigiani) guidati da Sante Tani» e della paura di rappresaglie per averli ospitati. E poi dell’aiuto dato a due fratelli e alla loro vecchia madre, ebrei tedeschi, nascosti nella foresta vicina all’edificio che ospitava il Seminario.Struggente il diario del giugno 1944 quando, per il precipitare degli avvenimenti, in Seminario si chiuse in anticipo l’anno scolastico. All’Oasi rimasero solo gli insegnanti e il personale di servizio, che divennero così testimoni degli eccidi tedeschi a Chiusi della Verna, e i sacerdoti professori come don Buresti che ebbero il triste compito di seppellire i morti: «Era la domenica dopo la festa del Corpus Domini. Era un giorno di passione e di morte. Era un giorno di dolore. Le lacrime velavano gli occhi e non si riusciva a vedere neppure la luce del sole. Era mezzogiorno, ma era come notte…». È duro e avvolgente il dramma che don Pietro Buresti ci tramanda. Nello stesso tempo però ci ricorda che dopo il dramma la vita può ricominciare, e ci riconduce – in quest’Anno Sacerdotale – a una delle tante storie di servizio e di dedizione che i preti hanno saputo dare in ogni situazione all’intera comunità cristiana e civile. di Alessandro Gambassi