Arezzo - Cortona - Sansepolcro

L’omaggio del Casentino a padre Cesare Mencattini a cento anni dalla nascita. Il religioso martire.

Cento anni fa nasceva a Soci padre Cesare Mencattini, il missionario martire del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) che sarebbe stato ucciso in Cina il 12 luglio 1941. Un religioso di cui il Pime sta per pubblicare un corposo epistolario che «racconterà» il suo volto spirituale e umano rimasto ancora in ombra.E il vicariato del Casentino ha scelto di rendere omaggio al missionario domenica 20 giugno nella chiesa parrocchiale di San Niccolò a Soci. Nel paese in cui padre Mencattini venne alla luce il 7 maggio 1910 avverrà la commemorazione dei cento anni dalla nascita con una Messa presieduta dal vescovo emerito di Fiesole, Luciano Giovannetti. La celebrazione sarà anche l’occasione per chiudere nella vallata l’Anno Sacerdotale indetto da Benedetto XVI. Ed è significativa la decisione di unire la conclusione dello speciale anno dedicato ai presbitero col ricordo del religioso martire.Originario della diocesi, padre Mencattini entrò giovanissimo entrò nel Seminario di Arezzo ma lo dovette abbandonare per motivi di salute. Rientrato nel Seminario di Cortona, scoprì dentro di sé una precisa vocazione: quella missionaria. Arrivato nella casa apostolica di Agazzi, ad Arezzo, che allora era retta dai missionari del Pime, fu mandato per la sua formazione nei Seminari di Genova, di Monza, di Ducenta (Caserta), di Milano. Il 22 settembre 1934 ricevette l’ordinazione sacerdotale nel duomo di Milano dal cardinale Alfredo Ildefonso Schuster e il 9 agosto 1935 partì da Venezia per la Cina alla volta della missione di Wei-hwei-fu. Dopo nove mesi di studio, nel giugno del 1936, il vescovo Martino Chiolino, vicario apostolico di Weihwei, lo inviò nel distretto di Hoahien, come coadiutore di padre Paolo Giusti di Lucca. In questi anni padre Mencattini conobbe la desolazione portata dalle inondazioni del Fiume Giallo in tutta la regione che fecero emigrare gran parte della gente. Fra loro i cristiani della zona di Paliyng. Passato il flagello iniziò la ricostruzione. Ma assieme alla rinascita materiale c’era bisogna anche di un risveglio spirituale. Erano state quasi quasi dimenticate le pratiche religiose in una zona che contava più di 3.300 battezzati sparsi in 82 villaggi. Provvidenziale fu l’opera di padre Mencattini che Posto il suo quartiere generale a Paliyng, ogni lunedì partiva in visita ai villaggi cristiani tornando a casa il sabato sera. Scriveva il religioso: «Il mio lavoro consiste non tanto nell’aumentare i cristiani quanto nel riorganizzare le cristianità, procurando a ciascuna una cappella o almeno un tetto di paglia sotto cui radunarsi per la preghiera».Ma le ombre della guerra con il Giappone si presentarono all’orizzonte. Le scuole furono chiuse e gli uomini vennero reclutati per andare in trincea. Padre Mencattini continuò nella sua opera cercando di infondere ottimismo nella popolazione, ma ciò gli attirò le accuse di diffondere voci allarmistiche e le minacce di fucilazione come spia dei giapponesi. Nel 1939 la zona di Paliyng fu presa di mira dalle bombe giapponesi. Il vescovo lo volle richiamare, ma padre Mencattini chiese di restare. «Qui le occasioni di far del bene sono tante! Molti disgraziati non hanno altro appoggio che noi». Il missionario venne ucciso mentre si stava recando a incontrare il vescovo, colpito dalle pallottole dei soldati comunisti infiltrati nel territorio occupato dai giapponesi. Tutte le lettere in un libro del PimeL’ epistolario di padre Cesare Mencattini è in procinto di essere pubblicato dal Pime per rendere omaggio al missionario ucciso in Cina. Numerose sono le lettere. Appena arrivato in Asia annotava: «Vi sono popolazioni immense in regioni estese per centinaia di chilometri di desolazione e miseria. Anche se i missionari avessero le ali, non potrebbero raggiungere tutti». In altri testi spiegava: «Sono contento di fare il prete zingaro, senza chiesa, senza canonica, senza fissa dimora… I miei cristiani sono poveri, ma buoni. Ti assicuro – scriveva al fratello – che sono veramente felice! Perché ho il cuore contento».di Giacomo Gambassi