L’ amicizia e il dialogo con la comunità islamica di Cortona, che ha il suo centro culturale a Camucia, nel viale Regina Elena, è di vecchia data: risale a ventuno anni fa, quando i primi immigrati dal Marocco furono accolti e aiutati dalla Caritas parrocchiale. Da allora ne è stata fatta di strada. A questi primi arrivati, che hanno ormai una casa in proprietà e un lavoro continuativo si sono aggiunti altri loro conterranei fino a costituire una delle più numerose comunità nel nostro territorio: la terza per numero, ci assicurano, dopo romeni e albanesi. Una delle loro più urgenti aspirazioni, insieme all’abitazione e al lavoro, è sempre stata quella di avere un luogo per la preghiera e per le loro riunioni: cosa che hanno potuto realizzare già da alcuni anni. Ora hanno sistemato come centro un nuovo locale che hanno addobbato e attrezzato in maniera molto dignitosa e accogliente.Sabato 3 luglio sono stato invitato, in qualità di parroco di Camucia, ad un incontro con questa comunità. Erano presenti anche il sindaco Andrea Vignini, assessori provinciali e comunali e il responsabile dell’Avis di Camucia, Ivo Pieroni, insieme ad altri rappresentanti delle Avis del territorio. È per me il secondo incontro ufficiale con la comunità islamica, che a sua volta è stata invitata ed ha accettato di partecipare a celebrazioni che si sono svolte nella nostra chiesa parrocchiale in occasione della strage di Nassiryia e della inaugurazione di un monumento alle vittime di ogni violenza.Ha aperto l’incontro l’imam Lahoucine Boumariam che ha cantato una sura del Corano in cui si esalta la paternità universale di Dio, la sua bontà a misericordia verso tutti gli uomini, esaltando la capacità di dialogo e la collaborazione fraterna. «Ho scelto questo passo ha spiegato l’imam perché in queste parole ci possiamo ritrovare tutti, islamici e cristiani».Ha moderato l’incontro Mohamed Boumariam, figlio dell’imam, che al momento dei primi arrivi di immigrati dal Marocco, insieme alla sorella Kadijia, oggi felicemente sposata e residente pure lei a Camucia, era solo un tenero bambino. Apro una parentesi: pochi anni più tardi nate le sorelle Nadia e Maryam, provate a dire loro: «Siete marocchine». «No, noi siamo italiane, siamo nate in Italia!», vi rispondono un po’ risentite. «Perché hai messo il nome Maryam alla tua ultima figlia?» domando all’imam. «Perché Maryam è mamma di Issa (cioè Gesù)» risponde Lahoucine. Nulla da eccepire. E io sono convinto che potrà essere proprio Maria, venerata dai cristiani e rispettata anche dagli islamici come madre di Gesù, ad essere il tratto di unione che un giorno, quando Dio vorrà, riunirà il cammino di fede delle due grandi religioni, anzi delle tre grandi religioni storiche, ebraica, cristiana e islamica, nella professione della fede nell’unico vero Dio.Ritornando alla cronaca: ognuno dei presenti ha espresso le sue impressioni e le sue aspettative per una fraterna e civile convivenza tra le diverse culture e le diverse religioni. Da parte mia ho auspicato che la fede nell’unico Dio, al di là delle differenti impostazioni teologiche, aiuti a scoprire quello che c’è di comune e di condivisibile nelle due religioni, per raggiungere obiettivi importanti per il bene spirituale e materiale delle due comunità, soprattutto una conoscenza reciproca che aiuti a superare pregiudizi, false interpretazioni e strumentalizzazioni contrarie alla verità: «La verità vi farà liberi», è scritto nel Vangelo. La citazione ha ricevuto l’approvazione incondizionata di tutti i presenti. Ha parlato il sindaco, auspicando una sempre più forte integrazione delle famiglie residenti nel territorio, con la frequenza dei bambini nelle scuole, con la partecipazione alle attività comuni, anche con l’eventuale espressione del voto. Hanno preso la parola i rappresentanti delle Avo del territorio, sottolineando come l’integrazione e la sensazione di essere davvero un’unità di pensiero e di volontà si attua nella concretezza della donazione il sangue. L’adesione della comunità islamica all’Avo è quanto mai indicativa: il sangue è vita e la vita si dona a chi è in difficoltà, senza preclusioni e senza discriminazione di persone, di razza e di religione. Questo gesto concreto di solidarietà la dice lunga sulla volontà di questa comunità di volere il bene comune e di testimoniare la solidarietà al di là di ogni differenza e di ogni barriera razziale o religiosa.Conclusione: troveremo altre occasioni per incontrarci, parlare insieme, manifestare difficoltà o realizzazioni concrete per incoraggiare un cammino di integrazione e di condivisione che è assolutamente indispensabile per una società di cui anche chi finora era considerato straniero o ospite indesiderato fa ormai parte a tutti gli effetti della nostra realtà quotidiana.di Benito Chiarabolli