Evangelizzare educando ed educare evangelizzando: questo binomio esprime la dimensione educativa della catechesi. L’annuncio di Gesù morto e risorto per la salvezza dell’umanità, il catecumenato e la catechesi, pur nella loro differenza, costituiscono aspetti di un «gesto complessivo» con cui la Chiesa genera alla fede. È in gioco tutto l’uomo, per definizione sempre educabile; sono in gioco la sua vita, le sue esperienze, le sue domande di senso: tutte realtà che entrano a pieno titolo nella catechesi che si configura perciò come una proposta di educazione permanente in un tempo di relativismo e di pensiero debole. Tutto questo, però, a patto che si stabilisca una circolarità fra questi aspetti e l’annuncio propriamente inteso, per evitare una scissione fra vita e annuncio.La circolarità però comporta necessariamente un incremento di complessità nel progettare l’educazione alla fede: trasmettere contenuti è oggettivamente più semplice, per questo motivo continua ad essere la modalità prevalente con cui viene condotto il percorso di crescita nella fede. Di fatto si è considerata a lungo la fede come un insieme di principi morali e la catechesi come insegnamento di contenuti dottrinali: tutto ciò ha generato modelli formativi che oggi si mostrano per lo più inadeguati. Non mancano, tuttavia, interessanti tentativi che «osano» percorrere la strada del dialogo con la vita e con l’esperienza delle persone, nelle loro concrete situazioni di vita e nella loro reale mentalità che spesso non contempla l’orizzonte della fede.Al di là dei modelli specifici di iniziazione cristiana, vi sono delle scelte irrinunciabili, dei «punti di non ritorno» da cui nessun modello di formazione alla fede può prescindere, pena la non incidenza sulla vita dei soggetti coinvolti. Innanzitutto, gli itinerari si configurano spesso come esperienza di «primo annuncio»: non possiamo presupporre un’appartenenza cristiana nelle persone che pure si accostano al percorso di iniziazione o di catechesi. Altro aspetto fondamentale è l’attenzione alle famiglie, alle figure parentali o ai «sostituti genitoriali» che in molti casi affiancano i bambini e i ragazzi nel loro percorso di crescita: senza rinunciare alla verità, ci è richiesto di accogliere nell’ascolto, nel rispetto, nella carità. È ormai provato dall’esperienza che, quando ai ragazzi si propone un argomento precedentemente affrontato in famiglia, l’interesse e il coinvolgimento sono sorprendenti.Per queste ragioni, è necessario proporre un itinerario evitando un’impostazione dogmatico-apologetica, che, nella sensibilità attuale, induce un senso di estraneità, se non di avversione; è senz’altro da privilegiare l’approccio alla persona e alla sua istanza di unità. In questa prospettiva l’educatore assume la fisionomia del «compagno di viaggio», sull’esempio del misterioso viandante di Emmaus.L’identità dell’annunciatore, quale emerge dai più recenti documenti sulla formazione dei catechisti, è al centro di tutte le proposte formative dell’Ufficio catechistico diocesano da alcuni anni a questa parte. Oltre a promuovere la consapevolezza di tale identità nei catechisti, si cerca di presentare stili, modalità e modelli condivisi, attraverso proposte formative che l’Ufficio definisce nelle sue linee generali, ma che si sforza sempre di adattare alle diverse sensibilità dei catechisti (diversi per età, formazione, tradizioni ), cercando di non smentire con la prassi quanto si richiede ai catechisti (attenzione alla persona in situazione ed evitare l’estraneità nell’annuncio). Certamente molto resta da fare ma ci piace immaginare proposte che aiutino a integrare nel catechista varie dimensioni e competenze, a valorizzare e a condividere i carismi di ciascuno e a mettersi in gioco per costruire, vivendola, un’autentica comunione ecclesiale. Silvia Mancini