Arezzo - Cortona - Sansepolcro

Montedoglio, dopo il crollo la diga finisce nel mirino.

 «La diga ha ceduto. La diga ha ceduto». Quando nella tarda serata di mercoledì 29 dicembre quella frase è cominciata a correre nell’alta valle del Tevere, al confine fra Toscana e Umbria, la mente di molti è tornata all’alluvione che nel 1966 aveva fatto finire sott’acqua Firenze. Perché anche più di quarant’anni fa la colpa cadde (a torto, in quel caso) su una diga lungo l’Arno, realizzata a monte del capoluogo toscano. Stavolta l’invaso che ha costretto 450 persone a lasciare le loro case e che ha trasformato in una palude le zone che vanno da San Giustino Umbro a Città di Castello è stato quello di Montedoglio dove il Tevere entra e poi riesce. Fra le più grandi dighe in terra dell’intera Europa, ha visto crollare una delle due pareti del canale scolmatore che immette nel fiume. «A cedere sono stati tre segmenti di quindici metri ciascuno, detti “conci”», ha spiegato il direttore dell’ente irriguo umbro-toscano, Diego Zurli. Fatto sta che dalla falla sono cominciati a riversarsi sul Tevere 600 metri cubi di acqua al secondo che hanno fatto scattare l’allarme fino al secondo livello, quello di emergenza «collasso». Una soglia che è rimasta inalterata per tutto il giorno successivo. Il custode dell’impianto aveva messo in moto la macchina della protezione civile. In poco più di due ore sono state evacuate le famiglie che hanno le loro abitazioni lungo le sponde del fiume, fra Sansepolcro e Anghiari, e che hanno passato la notte nei centri di prima accoglienza allestiti dalla protezione civile nelle scuole della Valtiberina. Altre famiglie si sono rifugiate nelle auto parcheggiate sulle colline intorno al lago. Bloccati per precauzione tutti i ponti (compreso quello sulla superstrada E45) che sono stati riaperti dopo più di venti ore quando la piena aveva superato le città a nord dell’Umbria. All’alba l’onda anomala ha raggiunto il centro abitato di Pierantonio, mentre i vigili del fuoco perugini hanno segnalato che il picco è stato localizzato a Santa Lucia, frazione di Città di Castello.

Intanto la diga è finita nell’occhio del ciclone. C’è ancora molta cautela sugli effetti del crollo. La procura di Arezzo ha aperto un’inchiesta: il danno stimato è di qualche milione di euro. «Non sappiamo cosa abbia causato il cedimento», afferma il direttore dell’ente irriguo. Secondo una ricostruzione tecnica, potrebbero essere state le infiltrazioni d’acqua penetrata fra le diverse pareti di cemento a provocare il collasso. Di fatto la tenuta che il muro costruito nel 1994 doveva garantire potrebbe essere venuta meno e, quando – come è accaduto negli ultimi giorni del 2010 – l’invaso è arrivato alla quota massima di 394 metri, la struttura non ha retto. Certo, i controlli erano stati compiuti: proprio qualche ora prima dell’incidente era avvenuta la verifica che aveva lo scopo di monitorare l’impianto proprio alla sua massima portata. Ma dalle ispezioni non era emerso niente di anomalo.

Mercoledì scorso i magistrati aretini hanno acquisito la documentazione sulla diga. La conferma sull’iniziativa della Procura è giunta dall’ente irriguo. «Come è normale – dichiara – l’autorità giudiziaria farà le sue valutazioni». Al momento non ci sarebbero indagati. Sull’incidente, spiega il direttore, «tutti gli organi preposti sono in una fase di acquisizione di elementi utili a capire che cosa sia successo». Non solo. «La parte dell’impianto interessata dal guasto è stata posta sotto sequestro – riferisce sempre il direttore –. Io stesso sono stato nominato custode dell’opera sequestrata. Ancora è presto per capire che cosa sia veramente successo all’impianto». A Montedoglio sono arrivati anche gli ispettori del ministero delle infrastrutture inviati dal ministro Altero Matteoli. Pare che si ipotizzi il reato di disastro colposo.