Una coincidenza che rende ancora più ricca questa Pasqua. Quest’anno cattolici, ortodossi e riformati festeggeranno insieme la Resurrezione. Non è una scelta, ma una concomitanza dei diversi calendari. Era già successo 12 mesi fa. Si ripete ora. «Questa occasione ci farà sentire ancora più uniti, pur nel rispetto delle tradizioni seguite nelle diverse Chiese», spiega padre Octavian Tomuta che guida la comunità ortodossa rumena nella chiesetta di San Bartolomeo ad Arezzo, concessa dalla diocesi ai fedeli ortodossi da qualche anno. I cristiani rumeni sono fedeli al calendario gregoriano dal 1919, come i cattolici, altre Chiese ortodosse, ad esempio quella russa, hanno invece come riferimento il calendario giuliano. «Ma di fronte alla Resurrezione di nostro Signore non possiamo che sentirci uniti», sottolinea padre Tomuta. Il 25 gennaio 2001 Giovanni Paolo II chiudendo nella Basilica di San Paolo fuori le Mura la «Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani» lanciava un preciso messaggio. «Il nuovo anno appena iniziato è un tempo quanto mai propizio per testimoniare insieme che Cristo è la via, la verità e la vita. Avremo modo di farlo e già si delineano spunti promettenti. In questo 2001, ad esempio, tutti i cristiani celebreranno la resurrezione di Cristo nella medesima data. Ciò dovrebbe incoraggiarci a trovare un consenso per una data comune di questa festa». Da quell’auspicio sono passati dieci anni in cui, «purtroppo, nessun passo avanti è stato fatto per giungere a che i cristiani celebrino sempre nello stesso giorno la solennità fondante la loro fede comune. Neanche la rara circostanza, concretizzatasi nel 2010 e nel 2011, di due anni consecutivi in cui la celebrazione della Pasqua è caduta nella stessa data per i cristiani d’Oriente e d’Occidente (quest’anno il 24 aprile), ha portato a un accordo che trasformi in convergenza questa coincidenza occasionale di calendario», scrive Guido Dotti della comunità di Bose, nell’ultimo numero di Popoli.In realtà nella storia della cristianità c’è sempre stata una difficoltà a trovare un accordo su questo tema. Si tratta di una lunga diatriba scaturita nel XVI secolo con la differenziazione tra calendario giuliano e calendario gregoriano. In Occidente in quel secolo era stato, infatti, constato uno scarto fra la realtà astronomica e il computo del calendario in uso che si rifaceva a Giulio Cesare (per questo giuliano). Dieci anni di indagini avevano stabilito che per mettersi al passo con il tempo astronomico occorreva recuperare 10 giorni. Gregorio XIII, il 24 febbraio 1582, emanò per questo la bolla Inter Gravissimas destinata ad entrare in vigore nel mese di ottobre. Il calendario gregoriano fu accolto dai Paesi dell’Europa occidentale che la introdussero poi in America, Asia e Africa. Ma i cristiani delle chiese di Oriente, fatta eccezione per alcuni stati come la Romania, non accettarono la riforma restando al calendario giuliano con 13 giorni di scarto dal gregoriano. Su questo fronte oggi il cammino sulla strada del dialogo ecumenico è ancora lungo. Una strada su cui insistere pensando anche a quelle parti del mondo in cui i cristiani sono una minoranza, come per esempio in Terra Santa. Ma è un’esigenza divenuta impellente anche per la nostra realtà, dove la crescente presenza di comunità di immigrati dell’Est di fede cristiana ortodossa non può essere ignorata, pur nel reciproco rispetto di ciò che ci divide.di Lorenzo Canali