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Cattolici protagonisti nella Toscana di oggi. L’intervento di Padre Airò

Siamo consapevoli che qualunque linguaggio usiamo corriamo il rischio di essere interpretati secondo paure e pregiudizi. Non per questo però dobbiamo tacere o continuare a barcamenarci con la paura di “disturbare”. È sempre più urgente che, in quanto cristiani, ritroviamo la nostra libertà di pensare e di agire secondo quel “proprio” che ci viene dal Vangelo e dal mandato di Cristo Gesù. Dobbiamo ritrovare il senso di noi stessi, della nostra fondamentale identità e della missione che abbiamo nel mondo. È “dovere” non come obbligo, ma una “necessità” che ci deriva dall’Amore ricevuto e ci spinge a corrispondere con la nostra vita.

Il laicato cattolico oggi, con rinnovato gusto per la propria formazione e riscoprendo la propria responsabilità per il Bene Comune, è cosciente che deve scrollarsi di dosso quel senso di smarrimento che lo ha reso timido e quasi pauroso, a volte tentato di rimanere chiuso nelle proprie “tende” in cima al monte, e sa che deve tornare ad affrontare la realtà con libertà, responsabilità e vero dialogo con tutti gli uomini di buona volontà, da uomini “liberi e forti” per non far mancare il proprio contributo alla società nelle sue varie articolazioni.

“Liberi” della libertà dei figli di Dio e “forti” del pensiero e dell’insegnamento sociale della Chiesa, i cattolici sanno che hanno qualcosa di prezioso e necessario da dire e da dare. Per esempio, per uscire da questa crisi epocale che interroga l’uomo, la sua costruzione sociale, economica, politica e di sviluppo, e liberarlo dal suo smarrimento davanti a un futuro che non riesce più ad illudere ma che anzi gli fa paura.

Alcune considerazioni su come ritrovare il cammino e la capacità di rispondere alle nostre responsabilità di popolo di Dio nella città dell’uomo.

“Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.” (Mt. 20,1-2).

«La vigna è il mondo intero (cf. Mt 13, 38), che dev’essere trasformato secondo il disegno di Dio in vista dell’avvento definitivo del Regno di Dio.» (CFL 1).

Tutti i battezzati hanno questo mandato a trasformare il mondo, ad edificare il Regno di Dio, ad ordinare le cose del mondo, nei vari ambiti della vita e nel creato stesso, secondo il progetto di Dio: far sì che la famiglia umana si riconosca come famiglia di Dio e che il creato sia la casa di tutti i suoi figli.

Dice ancora il Magistero: «I laici, che la loro vocazione specifica pone in mezzo al mondo e alla guida dei più svariati compiti temporali, devono esercitare con ciò stesso una forma singolare di evangelizzazione. Il loro compito primario e immediato non è l’istituzione e lo sviluppo della comunità ecclesiale – che è il ruolo specifico dei Pastori – ma è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e operanti nelle realtà del mondo. Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza.» (EN 70).

Qui vediamo che l’annuncio e la trasmissione della fede non solo non sono compito esclusivo dei preti, ma c’è un “campo” specifico proprio dei laici.

Perché allora il laicato cattolico è diventato quasi assente dalla realtà e quasi incapace di dire qualcosa di significativo non in teoria, ma nel vissuto vivo e concreto, qualcosa che esprima quella fede incarnata che la natura umana è intrinsecamente capace di cogliere e di percepire come senso e luce per una rinnovata speranza? Partiamo da due questioni:

  1. La prima la prendo dalla Christifideles Laici n. 2, laddove parla di due tentazioni per i fedeli laici, che si sono manifestate in particolare dopo il Concilio Vaticano II, e «…alle quali non sempre essi hanno saputo sottrarsi: la tentazione di riservare un interesse così forte ai servizi e ai compiti ecclesiali, da giungere spesso a un pratico disimpegno nelle loro specifiche responsabilità nel mondo professionale, sociale, economico, culturale e politico; e la tentazione di legittimare l’indebita separazione tra la fede e la vita, tra l’accoglienza del Vangelo e l’azione concreta nelle più diverse realtà temporali e terrene.» (CFL 2).

  2. Forse proprio perché si è caduti in queste tentazioni – un clericalismo crescente e arroccato ed una incapacità a leggere le vicende del tempo alla luce della fede – anche a causa del forte confronto ideologico degli ultimi decenni del ‘900, difatti è venuto meno nella Chiesa il ministero della formazione delle coscienze, secondo lo spirito del Vangelo e nella logica del Mistero dell’Incarnazione.

È divenuto, quindi, più che mai urgente riscoprire e rinnovare la formazione secondo due princìpi:

  1. Aiutare i laici a prendere coscienza della dignità e responsabilità che derivano dal Battesimo. Passare cioè da un Battesimo ricevuto per tradizione ad una consapevole e libera scelta di vivere da cristiano. Vivere, cioè, il triplice ufficio proprio del battezzato:

  1. Sacerdotale… che consiste nel mediare in ogni ambito di vita il senso di Dio Creatore e Padre e animare (essere l’anima) di quel contesto in cui sono collocato, non per sventura o per caso, ma per provvidenziale disegno. Quindi: pregare, discernere, individuare l’azione di Dio e farsene mistico celebrante nel silenzio, perché lieviti il Regno di Dio già qui ed ora.

  2. Profetico… con la testimonianza e la parola, accendere la luce della verità, che ci viene donata, se ne siamo in umile e costante ricerca, e portare il sapore del Vangelo con la denuncia, l’annuncio e la rinuncia a qualunque privilegio o mira di potere… e a qualsiasi tentazione di imporre verità di sapore ideologico!

  3. Regale… affermare nella propria vita la signoria di Cristo per vincere il regno del peccato in sé stessi e, mediante il dono di sé, per servire il mondo e i fratelli nella carità e nella giustizia.

  1. Aiutare i laici a «…guardare in faccia questo nostro mondo, con i suoi valori e problemi, le sue inquietudini e speranze, le sue conquiste e sconfitte: un mondo le cui situazioni economiche, sociali, politiche e culturali presentano problemi e difficoltà più gravi rispetto a quello descritto dal Concilio nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes. E’ comunque questa la vigna, è questo il campo nel quale i fedeli laici sono chiamati a vivere la loro missione. Gesù li vuole, come tutti i suoi discepoli, sale della terra e luce del mondo (cf. Mt 5, 13-14). Ma qual è il volto attuale della «terra» e del «mondo», di cui i cristiani devono essere «sale» e «luce»?» (CFL 3).

Come discernere questo tempo, il proprio tempo ponendo Cristo al centro? Come leggere questa crisi, che sembra minacciare uno stravolgimento epocale?

La Dottrina Sociale della Chiesa è uno strumento prezioso per la formazione delle coscienze, indispensabile per avere sempre chiari i criteri per interpretare e decidere come muoversi nelle varie situazioni (sempre contingenti), senza perdere di vista il Vangelo di Cristo Gesù che non cambia mai, che è dato per noi – i discepoli suoi, – che non va propagandato, ma donato come “luce” per la coscienza, “sale” per la vita…

La formazione è un primo fondamentale punto, ma ci sono altri aspetti rilevanti, che vanno recuperati, perché c’è un grosso ritardo, di circa 40 anni. In particolare da coltivare e mai perdere di vista:

  1. l’ecclesialità ossia l’unità nella diversità dei carismi;

  2. una fede che sia incarnata e quindi un vigilare/vegliare continuo, perché la frattura vita-fede non è mai ricucita per sempre;

  3. la spiritualità specifica dei laici, come definita nel Compendio DSC ai nn. 545-546:

545 I fedeli laici sono chiamati a coltivare un’autentica spiritualità laicale, che li rigeneri come uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella società, santi e santificatori. Una simile spiritualità edifica il mondo secondo lo Spirito di Gesù: rende capaci di guardare oltre la storia, senza allontanarsene; di coltivare un amore appassionato per Dio, senza distogliere lo sguardo dai fratelli, che si riescono anzi a vedere come li vede il Signore e ad amare come Lui li ama. È una spiritualità che rifugge sia lo spiritualismo intimista sia l’attivismo sociale e sa esprimersi in una sintesi vitale che conferisce unità, significato e speranza all’esistenza, per tante e varie ragioni contraddittoria e frammentata».

546 I fedeli laici devono fortificare la loro vita spirituale e morale, maturando le competenze richieste per lo svolgimento dei propri doveri sociali. L’approfondimento delle motivazioni interiori e l’acquisizione dello stile appropriato all’impegno in campo sociale e politico sono frutto di un percorso dinamico e permanente di formazione, orientato anzitutto a raggiungere un’armonia tra la vita, nella sua complessità, e la fede. Nell’esperienza del credente, infatti, «non possono esserci due vite parallele: da una parte la vita cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura». La sintesi tra fede e vita richiede un cammino scandito con sapienza dagli elementi qualificanti dell’itinerario cristiano: il riferimento alla Parola di Dio; la celebrazione liturgica del Mistero cristiano; la preghiera personale; l’esperienza ecclesiale autentica, arricchita dal particolare servizio formativo di sagge guide spirituali; l’esercizio delle virtù sociali e il perseverante impegno di formazione culturale e professionale.

In ogni ambito esserci con questo spirito, perché tutti ritrovino l’esaltante prospettiva di una vita “Bella e Buona”, la vita che ci propone il Vangelo di Gesù.

Qualche applicazione, per esempio, sull’Intraprendere.

Sono l’intenzione, la volontà, la ragione e l’azione dell’uomo che determinano la bontà o la distorsione dell’economia, della finanza, del mercato, del lavoro, dell’intraprendere, della politica e di ogni attività umana. Pertanto è l’eticità che anima la persona umana che genera un’economia o un mercato, un lavoro o un’impresa, un impegno sociale o politico a servizio del bene comune e dello sviluppo integrale dell’uomo, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. “Le attuali dinamiche economiche internazionali, caratterizzate da gravi distorsioni e disfunzioni, richiedono profondi cambiamenti anche nel modo di intendere l’impresa. […] Uno dei rischi maggiori è senz’altro che l’impresa risponda quasi esclusivamente a chi in essa investe e finisca così di ridurre la sua valenza sociale. […] La gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento.” (CV, 40).

In questi ultimi decenni, come nota la Caritas in Veritate, tra profit e non profit, è emersa un’ampia area intermedia, costituita:

– da imprese tradizionali che però si assumono patti di aiuto ai paesi in via di sviluppo;

– da fondazioni espressioni di singole imprese;

– da gruppi di imprese che hanno scopi di utilità sociale;

– dalla variegata gamma di soggetti della “economia civile e di comunione”.

Queste realtà non escludono il profitto, ma lo considerano strumento per realizzare finalità umane e sociali.

Credo che veramente bisogna osare sollecitare gli imprenditori cattolici a ritrovare il senso alto dell’intraprendere, la dimensione del dono insita nella logica/vocazione imprenditoriale che si manifesta nell’accettare anche di rischiare tutto per cercare, inventare, innovare, far avanzare un vero progresso umano e sociale. Bisogna chiedere loro di ripartire dalla idealità iniziale e far sentire loro che tutta la comunità cristiana li sostiene nella fedeltà alla loro vocazione. Non può dare vere garanzie di sviluppo chi vive la sua attività con l’unico obiettivo di fare soldi, di vincere ad ogni costo contro la concorrenza, di delocalizzare solo per sfruttare meglio i beni comuni e per capitalizzare sulla debolezza sociale dei paesi in via di sviluppo.

I cristiani sono chiamati ogni giorno a rinunciare al privilegio, al proprio tornaconto, al profitto fine a se stesso… e gli imprenditori cristiani devono, non solo essere vigili a non prestare il fianco al malaffare, ma essere promotori di un progresso vero, un progresso integrale di tutto l’uomo e di ogni uomo. Imprenditori che continuamente siano attenti e vigilanti per essere certi che ogni azione, decisione e risultato siano veramente buoni. E lo sono quando non causano negatività e ingiustizia diretta o indiretta su nessuno e non si è abusato in alcun modo dei “beni comuni” pur di realizzare il proprio guadagno.

Sono solo alcuni spunti per una riflessione da avviare e portare avanti con slancio e con sano protagonismo: il “protagonismo” evangelico del seme, del sale, del lievito, che vogliamo attuare con la passione per il bene di tutti e mai contro qualcuno.