L’anno è finito, inizia un nuovo anno. Il tempo si rinnova, non nella notte di San Silvestro che è tempo profano, ma nel passaggio di un periodo, che – si spera – porterà via con sé il male, ad un altro in cui opereranno le forze del bene; una fine dolorosa perché ogni nascita non è senza travaglio. L’alternarsi di tempi condurrà ad un nuovo Paradiso terrestre. Tale passaggio prefigura la fine del tempo, un’idea che è diventata abbastanza abituale, ma anche poco incisiva, con i Giudizi universali delle nostre chiese, con l’annuncio del momento escatologico più volte riportato nei libri biblici e nell’Apocalisse, quando ogni cosa sarà svelata e la fine del mondo come lo conosciamo noi sarà la premessa per cieli nuovi e nuove terre. Ma il passaggio sarà tragico per la lotta che si scatenerà, anche se le forze del drago calpestate dalla donna vestita di sole sono destinate alla sconfitta da parte dell’Agnello. Per quello che posso conoscere, anche certe religioni dell’antichità conoscono questa lotta drammatica della fine del tempo. Se i Greci collocano tra i loro miti fondanti la civiltà la lotta fra i Titani e i Giganti e gli dei olimpici, le popolazioni nordiche assisteranno nel futuro al crepuscolo degli dei, al Ragnarok, la fine del mondo ad opera del fuoco che vedrà una nuova felice epoca. Per noi, questa fine pare immanente alla nostra epoca, che non trova pace e pare volersi autodistruggere per un malinteso, spesso, scambio di significato tra la morte e la vita. Ma il cristiano sa che la lotta è sempre presente e che la speranza, richiamata da Benedetto XVI nella sua ultima enciclica, sostiene il suo cammino, per cui la terra nuova può essere attuata qui e ora, nell’anno che inizia, aperto anch’esso alla speranza. Speranza è la nascita di Cristo che consumerà in sé la vita terrena per poi tornare a preparare in nuovo regno.Giuliana Maggini