Vittoria Sormé: una vita di artista e la voglia di tornare a Lourdes
Siamo amiche da quasi vent’anni, il primo incontro risale a quando venni ad abitare in Via Guelfa e facevo, con suor Elena Laezza, l’inviata pastorale nelle case della Parrocchia di S. Lorenzo. Vittoria allora abitava, con la sorella Giovanna, a trecento metri da casa mia e me ne sono innamorata subito.
Ogni volta che andavo a trovarla mi raccontava episodi della sua vita avventurosa, sentirla parlare, ancora oggi, che è ricoverata in una casa di cura, è come fare un tuffo in un’epoca in cui la vita artistica di Firenze era straordinaria e lei di quella vita era una protagonista.
Nata a S. Giuliano Terme l’8 settembre 1918, figlia di Giovanna e Luigi Sormè, Vittoria non ha un’adolescenza felice; ricorda che a sei anni abitava a Lastra a Signa, poi nel 1926 la famiglia si trasferisce a Firenze in via de’ Saponai, fra piazza dei Giudici e piazza Nomentana, dalla casa si vedeva l’Arno. Frequenta la scuola elementare in Piazza S. Croce, poi fa le scuole commerciali, a 12 anni inizia la scuola di ballo; la danza è sempre stata una delle passioni della sua vita. Il padre alla fine del 1934 le lascia sole per andare a lavorare nella Somalia italiana, in un’impresa di trasporti, manda soldi solo nei primi mesi, poi scompare e di lui non seppero più nulla.
La madre con le due figlie, Giovanna era nata nel 1921, è costretta nel 1935 a trasferirsi in una camera ammobiliata, grazie alla sua bellezza, fa la comparsa nelle opere del Maggio musicale fiorentino, fondato nel 1933, e della stagione lirica. Anche Vittoria e Giovanna imparano presto a guadagnarsi da vivere, per permettersi di pagare la scuola di ballo del teatro. Partecipano anche loro alle opere come comparse e ballerine, ma contemporaneamente fanno le modelle, soprattutto Vittoria, che è la più richiesta, per pittori e scultori.
La fortuna di Vittoria inizia con il benvolere del professor Felice Carena all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, dove fa la modella per gli studenti, stando al freddo, spesso in piedi, nuda e scalza, con pose di circa un’ora e pausa di soli quindici minuti, fra una seduta e l’altra. Ma il lavoro all’Accademia la fa conoscere agli artisti emergenti, che allora avevano gli studi in piazzale Donatello, nella vicina via degli Artisti, a Fiesole…
Inizia a lavorare per grandi maestri come Primo Conti, Baccio Maria Bacci, Gianni Vagnetti, Magni, il bolognese Galli … e gli scultori Mario Moschi e Italo Griselli.
Vittoria non è stata solo una modella, ma anche attrice non protagonista in diversi film e poi ballerina di varietà con la sorella Giovanna.
Partecipa al film commedia del regista Riccardo Freda: «Don Cesare di Bazan», prodotto nel 1942, girato a Tirrenia e in Corsica. Sul set conosce Paolo Stoppa e Gino Cervi di cui diviene «buona amica», lo ricorda con ammirazione, descrivendolo come un attore «spiritoso e molto simpatico». Proprio il contrario di Vittorio De Sica, con cui gira l’anno seguente, 1943, il film di Gian Paolo Rosmino: «L’Ippocampo». Le viene affidata la parte della cameriera nella villa romana del giovane compositore Pio Sandi, ruolo principale del film, interpretato da De Sica, che aveva curato la sceneggiatura. De Sica, ammette Vittoria, «non mi stava simpaticissimo e non ci legai per nulla».
Fra gli attori incontrati sul set in quel periodo ricorda l’affascinante Osvaldo Valenti, che all’epoca era uno dei più ricercati dai produttori, «era bello, ma aveva il vizio di essere un gran donnaiolo, nonostante fosse sposato con una donna stupenda: l’attrice Luisa Ferida». Lasciò la carriera per prendere «un’altra strada diventando sostenitore del Fascismo e ci rimise la vita con la sua compagna».
Mentre parla Vittoria si fa seria, ricorda i tempi duri della guerra e i sacrifici, ma l’arrivo degli alleati fa la fortuna del duo di danza con la sorella Giovanna: «Le sisters Sormè», nato nei primi mesi del 1942. Si esibivano nei più celebri locali dell’epoca, a Firenze il cinema-teatro Modernissimo, in via Cavour; il Teatro Nazionale, in via de’ Cimatori; il cinema-teatro Rex, poi Apollo, in via Nazionale… a Siena il Teatro dei Rozzi.
Gli esordi certo non furono facili, prima di diventare «Le sisters Sormè» dovettero fare la gavetta e furono scritturate, come ballerine di fila, al Teatro Nazionale. Poi presero coraggio e Vittoria chiese all’impresario di poter formare la coppia, ma lui rispose: «voi siete ballerine classiche, ora non vanno più di moda, pertanto dovete imparare a usare le claquettes ed eseguire il tip-tap». Ci consigliò «un coreografo-maestro di danza, che ci insegnò i nuovi balli e in breve eravamo pronte, con delle coreografie originali». Il lavoro preparatorio per raggiungere la perfezione fu estenuante: «si entrava in scena da due lati e poi ci si ricongiungeva al centro, con svariate piroette; lavorammo sodo, ma alla fine il successo ci ripagò della fatica. Alla prima ottenemmo un uragano di applausi, dovemmo fare il bis». La paga all’inizio non era gratificante: l’impresario «ci dava solo 120 lire ciascuna a settimana, ma dopo un po’ siamo riuscite a lavorare da sole ed essendo più intraprendente di mia sorella, mi occupavo di contattare i teatri proponendo il nostro repertorio, che spaziava dal balletto classico al tip-tap e alle danze esotiche».
In una tournée a Viareggio e al Lido di Camaiore, con altri artisti, Vittoria e Giovanna hanno un grande successo: «alla fine dello spettacolo un comandante dell’esercito americano ci invitava sempre al suo tavolo; dopo un po’ che ci frequentavamo mi chiese di sposarlo e andare con lui in America». Gli occhi di Vittoria si fanno lucidi: «rifiutai mio malgrado, non potei seguirlo perché avevo da curare la mamma malata di Alzheimer».
Dal 1945 le sorelle Sormè sono ingaggiate dagli americani per spettacoli e una tournée in Germania, della durata di quattro mesi. Occorreva il passaporto e Vittoria racconta che tornò al paese natale, S. Giuliano Terme per avere dei documenti. Erano tanti i fogli da compilare e dovette recarsi anche a Pisa per richiedere altre carte, da far vedere a S. Giuliano. Sistemate tutte le scartoffie purtroppo «non c’erano più treni e neppure autobus per tornare, non sapevo come fare». Ride Vittoria, ricordando l’avventura, e aggiunge: «per fortuna un giovanotto locale si offerse di portarmi con la bicicletta, lui era assai giovane, ma io ero molto bella!». Con il duo «Le sisters Sormè» abbiamo lavorato tanto rammenta Vittoria: «siamo andate a giro per teatri fino al 1957 e guadagnammo abbastanza soldi per comprarci una casa».
Un’artista a tutto tondo Vittoria, che finita la professione di ballerina si poté dedicare alla grande passione della sua vita: viaggiare per scoprire il mondo. Ma era un hobby che costava caro e allora, per diversi anni, fa l’infermiera in uno studio dentistico. In tempi in cui spostarsi su lunghe tratte non era certo facile come ora Vittoria, in compagnia della sorella Giovanna, è stata a giro per tutta l’Europa, compresa la Russia e il Mar Nero. Ha visitato il Marocco, India, Cina, Nepal, Hong Kong, … si innamora dell’Egitto, ma ancor più della Terra Santa dove torna due volte.
Mi ricordo quando andai a trovarla nella precedente casa di riposo e tirò fuori dal cassetto del comodino un pacchetto di cartoline, con tutti i luoghi della cristianità. Quando parla dei suoi viaggi Vittoria si infervora, di ciascuno rievoca i luoghi visitati, ad ogni immagine racconta le emozioni provate come a vedere il Santo Sepolcro, il Getsemani, il lago di Tiberiade … diverse volte mi chiede: «quando torniamo a Lourdes insieme?». A vedere la grotta di Bernadette c’è stata una dozzina di volte, l’ultima nel 2004, viaggiò con me che facevo la sorella d’assistenza con l’Unitalsi. Dividevamo la stessa camera e mi aspettava, per cenare o pranzare insieme, alla fine del mio turno. Quando arrivavo all’albergo spesso la trovavo fuori dall’ingresso, che attendeva il mio ritorno, e mi veniva incontro sorridente, felice di essere là con me. Ancora ieri quando sono stata a trovarla mi ha domandato: «e allora ci andiamo a Lourdes?». Le ho risposto: «Vittoria il viaggio è un po’ faticoso, devi tornare a camminare bene dopo l’operazione, vediamo come starai fra qualche mese, magari si va a Loreto che è più vicino».
Lei mi guarda con quegli occhi vivaci e mi dice: «Ho avuto così tanto coraggio nella vita che ne ho ancora». Un bel messaggio quello di Vittoria che, alla sua età, nonostante gli acciacchi, sorride ancora come fosse rimasta fanciulla e ci invita a non scoraggiarci mai.
La modella di Primo Conti, Griselli e Moschi
Si è da poco conclusa a Palazzo Medici Riccardi a Firenze la mostra: Il Novecento di Primo Conti, a cura della Fondazione Primo Conti di Fiesole, dove sono stati esposti 13 dipinti, oltre a fotografie e documenti dell’Archivio. I ricordi più belli di Vittoria Sormé, come modella, sono legati alla figura di Primo Conti, un pittore che «aveva dei modi e delle attenzioni particolari». Vittoria lavorò per lui dal 1936 al 1940 circa; rammenta lo studio, che il maestro aveva nell’abitazione nei pressi di via de’ Tornabuoni, uno dei pochi in cui c’era il riscaldamento. Ne traccia il ritratto di un grande artista che conservava «modi semplici e si comportava da vero gentiluomo, sempre premuroso e affettuoso» e aggiunge che ci andava volentieri perché «mi pagava bene, alla fine di ogni seduta e non come all’Accademia dove la paga era settimanale e più bassa». Conobbe anche la moglie di Primo Conti, Munda Cripps, di origine inglese, «una signora bella e gentile».
Diverse volte mi ha raccontato un episodio rimasto impresso nella sua memoria: il maestro le aveva fatto un ritratto intitolato «La giovinetta», passò un breve periodo da quando fu terminato e un giorno, tornando allo studio, vide che non c’era più. Conti le disse che era passata una dama della Casa reale inglese che lo aveva acquistato. Ancora oggi si domanda, sorridendo, in quale dimora della famiglia reale britannica sia finito il suo ritratto.
A Firenze ci sono le tracce visibili del passato di Vittoria, basta recarsi in piazza della Stazione dove possiamo ammirare sulla facciata della Scuola degli allievi carabinieri due bassorilievi di Mario Moschi, raffiguranti donne simili a valchirie, i capelli al vento e le mani appoggiate allo scudo.
Vittoria rammenta che, per non essere riconosciuta, chiedeva sempre agli artisti che le facessero il volto un po’ mutato. Donna tuttora semplice e riservata, che rifugge la notorietà. Dall’altra parte della piazza, in via Valfonda, a lato della Stazione di Santa Maria Novella, nella Palazzina Reale progettata da Giovanni Michelucci vediamo un capolavoro di Italo Griselli, grande amico di Michelucci: il monumento «L’Arno e la sua valle», in marmo fior di pesco carnico. Vi sono effigiati un giovane uomo nudo, l’Arno, con la mano destra appoggiata su una grande conchiglia; al suo fianco la Valle dell’Arno, Vittoria, anch’essa seduta nuda con le gambe allungate, il braccio e la mano sinistra ad accarezzare un agnello accovacciato.
Vittoria ricorda le sedute di posa nello studio di Griselli a Porta Romana, catapultandoci nella vita artistica della Firenze degli anni ’30: «Erano altri tempi e c’era un certo pudore… il mio compagno, l’Arno, stava in un’altra stanza. Entrambi nudi non potevamo certo stare affiancati e posavamo separati».
Per fare un tuffo in quei tempi, di grande fermento artistico, basta visitare a Palazzo Strozzi la mostra: «Anni ’30. Arti in Italia oltre il Fascismo», aperta fino al 27 gennaio 2013.