BRUNO GIOVANNETTI: L’alpinista fotografo
Ci sediamo al grande tavolo rotondo sull’aia. Al di là di una siepe la piscina già affollata di ospiti, in questi primi giorni di quasi estate. Di fronte le Apuane, care ad entrambi. Ma tra qualche giorno per lui il panorama cambierà; di fronte ai suoi occhi si staglieranno le ben più elevate cime peruviane della Cordillera Blanca. Niente di strano, apparentemente, per uno come lui, guida alpina e fotografo con alle spalle numerose spedizioni alpinistiche. Solo che in Perù il prossimo 20 giugno Bruno ci tornerà ancora una volta per sei mesi come volontario dell’Operazione Mato Grosso (Omg) per insegnare il suo mestiere anche ai ragazzi di quei villaggi disseminati tra i tre e i quattromila metri di quota e permetter loro di rimanere lassù invece di fuggire verso Lima, come in tanti hanno fatto.
Quella di Bruno Giovannetti non è stata una decisione improvvisa, ma una vecchia promessa mantenuta. Da giovane, durante una spedizione nelle Ande, decise che ci sarebbe tornato in tempi di maggior libertà dai suoi impegni professionali per cercare di far qualcosa di buono per la gente di quelle terre. Così tre anni fa, lasciata alle spalle la lunga esperienza di lavoro all’interno del Parco delle Apuane, che pure aveva contribuito a far nascere, si è inserito nell’esperienza di padre Ugo De Censi e dei suoi confratelli salesiani. Con entusiasmo, ma anche con un po’ di pudore, vista la sua posizione di allora nei confronti della fede. «Non credo», aveva detto sinceramente al fondatore dell’Omg, oggi parroco in una sperduta valle andina. Che però l’aveva immediatamente messo a suo agio dicendogli che lui stesso, qualche volta, poteva essere sfiorato dal dubbio. Così Bruno si è unito agli altri istruttori della scuola di guida di alta montagna «Don Bosco en Los Andes» per dar corpo a un grande sogno: trasformare in accompagnatori professionisti quei ragazzi che, se non scappavano verso la grande città, potevano ambire tutt’al più a fare i portatori, come gli sherpa himalaiani, per pochi soldi.
«Molti di questi nuovi arrivati – scriveva tempo fa padre Ugo parlando degli alpinisti nelle Ande – si preoccupano di non pestare i fiori, però passano senza curarsi sopra la povertà e i costumi di questa gente. Molte volte nemmeno si accorgono della gente che vive ai piedi delle montagne che scalano. Con gli occhi di questi contadini guardo a questi nuovi “Conquistadores”… capisco, perché anch’io amo la montagna, ma qui loro parlano di aprire nuove vie alle cime. Non potrebbero aiutarmi ad aprire un cammino anche per i miei giovani, figli di contadini, che per guadagnarsi il pane di ogni giorno scappano a Lima?».
Se l’intuizione era geniale, creatività e carità hanno fatto il resto. Oltre alla scuola per guide alpine (dove vengono insegnate anche le lingue dei clienti, come l’italiano e l’inglese), l’Omg ha realizzato i rifugi «Ishinca», «Don Bosco» all’Huascaran e «Perù» al Pisco, oltre al Bivacco Giordano Longoni ai piedi del Ranrapalca. Un quarto è in cantiere, sorgerà presso l’Alpamayo e sarà dedicato al grande alpinista vicentino Renato Casarotto, scomparso anni fa ai piedi del K2. Per la sua realizzazione, Bruno Giovannetti è ovviamente in prima linea e ha coinvolto anche un’istituto tecnico di Castelnuovo Garfagnana, non solo per i progetti di impiantistica ma anche per la loro realizzazione sul posto. Per docenti e alunni sarà senza dubbio un esperienza indimenticabile: restano però da trovare ancora i finanziamenti.
Ma non è tutto. Bruno è anche un grande esperto di mountain bike ed ha pensato di sfruttare questo mezzo per un turismo alternativo nei mesi “morti” dell’alpinismo, da aprile a giugno e a settembre-ottobre. Quest’anno con i suoi ragazzi farà un giro di prova su percorsi davvero eccezionali, costituiti dalle antiche strade inca. Ma il sogno per eccellenza è il recupero della Gran Ruta Inca, la “spina dorsale” delle comunicazioni di quella grande civiltà che collegava Quito, capitale dell’Ecuador, a La Paz, in Bolivia, attraverso tutto il Perù, già «saggiata» per circa 370 chilometri con alcuni dei ragazzi che avevano già conseguito il brevetto di guida. «È andata perduta in qualche tratto di maggior dislivello, ma nelle zone di altura è ancora intatta», afferma spiegando le bellissime fotografie di un libro peruviano sull’argomento. «È solo da ripulire dalla vegetazione, e questo consentirebbe ai ragazzi di essere impegnati anche nei periodi totalmente morti. Con cinquantamila dollari si farebbero lavorare per tre anni».
Bruno, che oggi non si dichiara più ateo e che guarda alla Chiesa con occhi diversi rispetto al passato, conserva invece un grande scetticismo nei confronti dei politici, tante volte visti come affossatori di idee e progetti. Ma per il nuovo rifugio e la Gran Ruta gli piacerebbe che la Toscana, intesa anche come Regione con la erre maiuscola, si desse da fare. Insieme magari ai privati, che possono far riferimento alle sedi dell’Omg, presenti da noi a Firenze e a Prato e luoghi privilegiati, quando Giovannetti è in Italia, di serate promozionali arricchite da meravigliose riprese fotografiche.
Arriva il momenti di salutarci. «Non sono mai stato così felice, anche se è dura!», confessa come sintesi della nostra lunga chiacchierata. E aggiunge, ancora una volta: «Marco, dai, lanciamo quest’idea per legare la Toscana alla Gran Ruta». Volentieri, Bruno. La giriamo all’assessore Toschi, e chissà che tu, oltre che col Padre Eterno, non ti riconcili un po’ pure con i politici. Anche se non è certo la stessa cosa.
Giovannetti vede però il suo maggior impegno nell’organizzazione del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico, dove ricopre importanti ruoli regionali e nazionali.