UBALDO CORSINI: la dolce arte dei dolci

di Francesco GiannoniUbaldo Corsini, nato a Castel del Piano nel 1938, è uno dei principali produttori dolciari italiani. Ho appuntamento con lui nello stabilimento del suo paese natale. Esco dalla macchina; nell’aria aleggia un profumino delizioso: sembra di essere in una pasticceria di alta qualità anziché davanti a un edificio grigio come tutti i capannoni delle zone industriali (spero che il signor Ubaldo non me ne voglia). Entro e dopo pochi minuti di attesa, giusto il tempo per notare alle pareti opere grafiche di gusto, Corsini mi viene incontro, cordiale. Gli chiedo se la sua è una fabbrica o una pasticceria; lui, con malcelato orgoglio, mi conferma l’impressione iniziale: è una pasticceria, una grande pasticceria. Nonostante sia un’azienda di una certa dimensione (60-65 dipendenti che nel periodo natalizio, quando si fanno panettone e pandoro, diventano 100), l’imperativo categorico di Corsini è il rispetto delle regole. Di quelle antiche regole apprese, assimilate nel forno a legna del babbo Corrado quando Ubaldo, bambino, e poi ragazzino rimasto presto orfano, impastava la farina e imparava l’arte di fare il pane. Se una volta in famiglia un dolce si faceva in quel determinato modo, con quegli ingredienti, aggiungendoli in quel preciso momento, Corsini esige che si continui a fare così. Per esempio: la ricetta tradizionale del panforte senese prevede la tostatura delle mandorle; pochi oggi tostano le mandorle per il panforte: Corsini vuole ancora questo passaggio. Nella sua grande pasticceria viene prodotto ancora il panettone secondo la ricetta originale milanese. Mi racconta che a un assaggio di panettoni di marche diverse messi in tavola privi di confezione, e quindi anonimi, il più apprezzato risultò proprio il suo; l’orgoglio ora non è più malcelato: è proprio evidente. Ma ha ragione Corsini di essere orgoglioso. Partita dal piccolo forno paterno situato in un paese di una montagna che proprio ricca non è mai stata, passo dopo passo la ditta ha ampliato il mercato: prima il comprensorio amiatino, poi il capoluogo Grosseto, quindi la Toscana e infine la distribuzione in altre regioni italiane. Il successo è ormai consolidato anche se la ditta non è molto diffusa: ma forse una diffusione più ampia non è neanche un suo obbiettivo. Corsini vuole fidelizzare il segmento medio alto di quei consumatori, attenti alla qualità del prodotto. È soddisfatto del risultato raggiunto: tutto è nato nel 1921, nel 1988 è stato realizzato il primo stabilimento vero e proprio che, dopo quattro ampliamenti, sta per conoscere il quinto. E questo, ribatte Corsini con montanaro puntiglio, nel rispetto delle antiche regole culinarie che oggi la grande industria ha stravolto e dimenticato. La grande industria dispone di attrezzature e di meccanismi quasi fantascientifici messi a disposizione dall’ingegneria meccanica. Ma la legge del produrre di più spendendo il meno possibile ha fatto sì che tutto fosse semplificato, appiattito, e che il sapore, quello vero, quello genuino, si perdesse. Tutto è dolce quindi tutto è gradevole al palato, ma la qualità di una volta è andata a farsi benedire. E la famiglia Corsini tiene alla qualità e alla genuinità degli antichi sapori.

Già, la famiglia. Il signor Ubaldo non è da solo: è sposato con Luigia, ha quattro figli che non vivono sulle spalle delle glorie paterne come quelli di alcuni industriali. A vario titolo, secondo le predisposizioni e gli studi fatti, tutti i Corsini junior lavorano nella ditta paterna: Gianluca, biologo, si occupa del controllo qualità, Corrado, ragioniere, si occupa delle vendite, Andrea, laureato in economia e commercio, si occupa dell’amministrazione, Roberto che dopo il liceo ha ritenuto di non dover continuare gli studi, si occupa della produzione. Corsini senior parla dei figli con tenerezza e stima. Da quando i figli sono diventati grandi, le decisioni sull’azienda sono state sempre prese collegialmente.

Anche il bel logo dell’azienda è un’affettuosa allusione ai figli: rappresenta in modo stilizzato quattro bambini che si tengono per mano uniti per un’unica testa; potrebbe sembrare anche un fiocco di neve, ma l’ambivalenza è voluta con chiaro riferimento alla neve che d’inverno cade abbondante sul monte Amiata.

Il monte Amiata è storicamente terra di minatori e di contestatori. Corsini non è un minatore, dice di non essere neanche un contestatore, ma quando il discorso cade sui problemi del comprensorio e sulle scelte non fatte dai politici per risolverli, la sua voce bassa e pacata si alza di un tono, e anche di due. Avere amministrazioni comunali, provinciali e regionali dello stesso colore politico non porta giovamento. Sviluppo e crescita passano, invece, proprio attraverso vivacità politica, contestazione, contrapposizione.

L’armonia e la sintonia che regnano fra le varie istituzioni politiche della Toscana sono diventati appiattimento. Una delle conseguenze è il mancato sviluppo della viabilità della zona amiatina che, tenuta lontano dalle grandi vie di comunicazione, ha visto compromessa una crescita imprenditoriale omogenea, avvenuta invece a pelle di leopardo: alcuni paesi, fra cui Castel del Piano, stanno bene, altri stanno peggio, con conseguenti disoccupazione, spopolamento, invecchiamento della popolazione.

Corsini, nei confronti dei politici, ha invece parole di apprezzamento per l’alacrità da loro dimostrata per ottenere il riconoscimento della Doc al vino Montecucco, un vino antico, pregevole, ma scarsamente conosciuto fino a ieri.Questo imprenditore, duro con se stesso, esigente dall’azienda e affettuoso con i figli è dotato anche di equilibrio e onestà mentale. Non lo scopriamo noi, ma fa piacere sottolinearlo. Il «miracolo»del lievitistaC’è un personaggio nel mondo della pasticceria di cui Ubaldo Corsini parla con assoluto rispetto: il lievitista. È un artigiano specializzato oggi pressoché scomparso. Il fine del suo lavoro è ottenere il lievito madre. La voce di Corsini diventa quasi un sussurro quando parla del «miracolo» del lievito madre: lo chiama romanticamente e senza mezzi termini «la passione della mia vita».

Quando 100 anni fa ogni famiglia faceva il pane in casa, un pezzettino di pasta lievitata veniva lasciato in fondo alla madia coperto con la farina. La settimana successiva (il pane in casa si faceva una volta la settimana) il pezzetto di pasta, nel frattempo inacidita, veniva «rinfrescata» mettendola sotto l’acqua calda: la pasta si rigenerava; a questa veniva aggiunta altra farina e veniva fatto il nuovo pane. Di nuovo un pezzetto di pasta veniva messo in fondo alla madia per la settimana successiva, e così via. Il lievito madre è, quindi, quel pezzettino di pasta che viene conservato settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno. Non esiste alcun intervento di altra natura. Me lo dice a bassa voce, quasi mi rivelasse un segreto druidico. Il lievito madre dei Corsini pesa 3 chili e ha 30 anni. Viene rinfrescato però non più una volta la settimana, ma tutti i giorni nelle prime ore del mattino, ottenendo così il lievito necessario per la produzione giornaliera. Questo lievito ottiene da solo il risultato di far lievitare il panettone e il pandoro. Per fare i veri panettone e pandoro, per fare i veri dolci lievitati occorre ancora quel lievito madre.

Il lievito ovviamente va rinfrescato anche la domenica. La domenica lo rinfresca lui, Ubaldo Corsini. «La domenica è il mio giorno», dice sorridendo felice e fiero come un bambino cui è stato affidato un compito importante. Mi racconta divertito di quella volta che trovò la pasta del lievito madre talmente inacidita, che aveva accumulato così tanto gas al suo interno, che la pasta, pur avvolta in un panno e strettamente legata con corde, letteralmente esplose; lui si trovò tutto sporco di pasta di cui alcuni brandelli si erano appiccicati al soffitto. Il lievitista nel campo della pasticceria e panetteria è una persona da «levarsi il cappello quando lo si incontra». In Toscana non ci sono quasi più lievitisti. E non c’è più il lievito madre. Esistono succedanei. All’estero il lievito madre non è conosciuto e guarda caso non conoscono il panettone e il pandoro. Il lievito madre c’è solo in Italia, soprattutto al nord, ma viene usato sempre meno. Per la cultura gastronomica italiana è un vero e proprio patrimonio. Ma è un patrimonio che va scomparendo.