GIOVANNI GALLI: un numero uno con i piedi per terra

DI MASSIMO ORLANDI“Ho fatto il calciatore. Ma avrei potuto essere un giardiniere, un idraulico, un operaio. Ogni mestiere per me ha lo stesso valore e la stessa dignità. Potrei solo dire che sono stato fortunato».

Si capisce la storia di un uomo anche da poche parole. La semplicità prende poco spazio. Giovanni Galli l’ha avuta in dono, e non è stata meno importante, nella sua vita, delle lunghe leve da airone, del colpo d’occhio o della capacità di staccarsi in volo. Questa semplicità è il vestito più adatto per cucire la storia che oggi ci racconta, quella di un ragazzo che è riuscito a regalarsi il suo sogno senza restarne prigioniero: «Per me giocare a pallone è sempre stata la cosa più normale del mondo. Se c’erano cento o centomila persone a guardarmi non cambiava nulla: in uno stadio mi sentivo a casa».

Questione di radici, radici sane, ben radicate. Giovanni nasce e cresce a Pisa, in un quartiere popolare. Babbo e mamma gestiscono un bar, lavorano da mattina presto a sera tardi, così lui impara a gestire da solo le sue giornate: la mattina a scuola, il pomeriggio a giocare in uno spiazzo di verde rubato al cemento. La sua prima squadra è quella della Pubblica Assistenza, il primo campo di allenamento è una grande stanza al primo piano del palazzo dove stazionano le ambulanze, il primo talent scout è il babbo, ma quasi per caso: «Giovanni, ci manca il portiere – gli dice – perché non lo fai te?» Tra pali e traverse quel ragazzo cresciuto in fretta si trova a meraviglia.La Fiorentina lo vede, non se lo fa sfuggire. «La mia dote principale? Credo che sia sempre stata quella di saper guidare bene la difesa. Per il resto non so: da giovanissimo il mio idolo era Albertosi, così spettacolare, ma in realtà mi ispirai molto di più allo stile essenziale di Zoff».

Gli anni delle giovanili viola sono la scuola di Giovanni, la preparazione a un esame di maturità che arriva presto, ad appena 19 anni, in un pomeriggio di ottobre: «Giocavamo con la Juve, a Torino, eravamo sotto 3-1. Nell’intervallo mister Mazzone mi chiamò e mi disse: “ragazzo togliti la tuta, tocca a te”. Non fece nemmeno in tempo a finire la frase. Ero già pronto». Giovanni incassa due reti, la saracinesca è ancora da mettere a punto. Ma dalla domenica successiva la porta viola è blindata. Sull’album Panini ora si può attaccare anche la sua figurina. Dopo la Fiorentina (9 stagioni), ci sarà il Milan, poi il Napoli, il Torino, il Parma, per finire con la Lucchese. 496 partite in serie A, 19 in nazionale, uno scudetto, due coppe dei campioni, una intercontinentale, una coppa Uefa. Un album infinito di ricordi. Duro scegliere il più bello. «Una serata a Belgrado, col Milan. Atmosfera ostile, partita durissima. Parai due rigori e vincemmo spianandoci la strada verso la Coppa dei Campioni». Meno difficile individuare, tra tante pagine di luce, il cono d’ombra. «Senza dubbio il tiro beffardo di Maradona a Messico ’86. Costò l’1-1 con l’Argentina, in un mondiale che non ci regalò soddisfazioni».

Un portiere, si sa, dura più a lungo. Galli quasi 20 anni, tra il 1977 e il 1996, ai massimi livelli. E qui entra di nuovo in gioco l’uomo, che ha sempre guidato il calciatore: «Perché, vedi, un’opportunità, nel calcio, prima o poi arriva. Il difficile non è solo coglierla al volo, è soprattutto confermarsi ogni domenica». Per farlo ci vuole testa sulle spalle e, ancor di più, maturità. Non è facile a quell’età e con tutto quel carico di pressione addosso. L’unico modo per non farsi divorare dal mito di se stessi, è rendersi conto di poter condurre una vita normale. La famiglia, per Galli, è tutto questo. Anna diventa la sua fidanzata ancora prima che si accendano i riflettori, quando lui ha solo 17 anni. Si sposano, arrivano tre figli. E quel mondo familiare smorza il clima da Grande Fratello in cui vive ogni calciatore. «Ricordo che da piccola Carolina una volta mi chiese: babbo, ma tu sei famoso? Le sembrava buffo, perché con la vita che conducevamo non si era accorta di nulla». Galli va al mercato a far la spesa, si mette in fila alla posta, sta in mezzo alla gente. E così diventa più facile non solo stare nel calcio, ma anche abituarsi all’idea, un giorno, di smettere. «L’ultimo anno, a Lucca, sentii che si affacciavano sempre più insistenti i pensieri su quello che avrei fatto dopo. Capii che era giunto il momento».

La vita continua e Giovanni se ne inventa una nuova, anzi due: per qualche anno fa l’opinionista televisivo, a Mediaset, poi comincia l’attività di dirigente calcistico. A Firenze contribuisce alla scalata che gonfia il petto alla città: in due anni dalla C2 al ritorno alla serie A. È stata un’avventura faticosa ma affascinante e che, a distanza di tempo, mi riempie ancora di soddisfazione, soprattutto pensando che altre squadre famose hanno avuto la stessa sorte, senza però ottenere gli stessi risultati».

L’estate scorsa la Fiorentina e Galli si stringono la mano ringraziandosi a vicenda: il modo di congedarsi dà il senso di un rapporto e di uno stile. Ora, a 47 anni, il portiere dalle grandi mani è in una fase di attesa, che vive senza affanno. Il calcio è il suo mondo, ma non la sua ossessione.Anche se ha saputo volare nell’impossibile per parare i tiri di Rummenigge e di Van Basten, di Zico e di Careca, la sua arte di una vita è sempre stata quella di saper stare con i piedi per terra. Ed è questo, nello sport, il modo più bello di essere un campione. Una Fondazione per NiccolòNove febbraio 2001. Una data che si attacca al cuore come una spina. Lacerante. Niccolò ha solo 17 anni. Già gioca in serie A, col Bologna, ha vestito l’azzurro delle nazionali giovanili. Un ragazzo d’oro. Un figlio, suo figlio. L’incidente in motorino è di quelli che riempiono ogni giorno le pagine di cronaca. Ma la vita cambia. Improvvisamente sbanda anche lei, ed è difficile farla tornare in pista. Ci vuole coraggio, tanto amore, ci vuole fiducia. «Certo, non sono più la stessa persona. Prima ero più irascibile, potevo arrabbiarmi anche per cose di poco conto. Oggi sento il bisogno di andare più al fondo delle cose, di dare valore a ciò che sento davvero importante».Una spinta che si apre e prende il largo è legata, per Giovanni, alla voglia di fare qualcosa di concreto per tante persone in difficoltà. E di farlo pensando a Niccolò. Insieme a Anna, alle figlie Camilla e Carolina, e con la partecipazione di tutti gli amici del figlio nasce la Fondazione Niccolò Galli. In pochi anni la Fondazione interviene un’infinità di volte in azioni di aiuto e sostegno a tante persone con handicap fisici o problemi economici.

Giovanni mostra la foto di un ragazzo, Marco. Sorride: «Dopo un incidente era ridotto quasi a uno stato vegetativo. Lo abbiamo aiutato a andare in una clinica specializzata in Austria. Tempo fa lo abbiamo sentito al telefono: ora parla, comincia a nutrirsi autonomamente». Tra gli amici di Niccolò alcuni hanno deciso di vivere delle esperienze di missione: «Ed è questa apertura dei ragazzi verso il volontariato – sottolinea Giovanni – che ci stimola moltissimo e che vorremmo si allargasse ancora di più».

Accanto alla fondazione c’è un’altra realtà che Giovanni incontra nel suo cammino di ricerca. È quella di Romena, in Casentino. Tra le attività della Fraternità di don Luigi Verdi c’è anche la presenza di un gruppo, si chiama Nain, in cui si incontrano e si confrontano famiglie che hanno vissuto dolori simili a quelli di Giovanni e Anna. «A Romena mi sento libero, è un posto che mi fa sentire sereno. Ed è davvero prezioso il rapporto che si instaura con le altre persone del gruppo: ci si sente di poter condividere tante cose, ci si capisce nel profondo». Giovanni ama molto anche lo stile della Fraternità: «Qui non ci sono maschere, tutto è molto diretto». «In chiesa – aggiunge – sento che a ogni parola corrisponde un significato profondo, che mi entra dentro. E questo mi fa bene».

Quando la Fiorentina ritorna in serie A, Giovanni festeggia a modo suo, pedalando in salita sugli Appennini da Firenze fino a Romena. 50 faticosi chilometri prima di alzare lo sguardo sulla pieve. E lì far riposare le gambe. E il cuore.