PIER CRISTOFORO GIULIANOTTI: Un robot al posto del bisturi

di Francesco GiannoniPier Cristoforo Giulianotti è il chirurgo del momento: tutti ne parlano, tutti lo cercano. Ed è inevitabile che sia così visto che operando con il robot, i suoi interventi sono assai poco cruenti. Lo cerchiamo anche noi. Ci incontriamo all’ospedale della Misericordia di Grosseto dove lui lavora. È una persona di una cinquantina d’anni, alta, prestante, sicura di sé, gentile anche se un po’ distaccata. Ma nel corso della conversazione si «sbottona» rivelandoci qualcosa della sua personalità.

Entriamo subito nel vivo. Con la nuova tecnica nata una ventina di anni fa, è stato ribaltato il paradigma della chirurgia classica che vedeva «grande chirurgo, grande taglio». Ora vengono fatti dei fori di circa un centimetro di diametro nella zona da trattare; nei fori vengono inseriti dei tubicini attraverso i quali passano le manine miniaturizzate del robot. Il chirurgo è seduto davanti a un monitor che mostra l’interno del corpo del paziente dove far intervenire le manine che, manovrate dall’esterno dal chirurgo, tagliano, operano, cuciono. Guariscono. Meraviglioso. Ma se il robot si rompe? Il sistema è programmato per arrestarsi immediatamente se accade qualcosa. Un guasto, tuttavia, è sopravvenuto pochissime volte, e allora l’intervento è proseguito nel modo tradizionale. La sicurezza è ampiamente dimostrata: in questo tipo di chirurgia c’è un’esperienza basata ormai su migliaia di casi nel mondo. La Toscana ha una delle casistiche più ampie: circa 600 operazioni. Così l’ospedale di Grosseto è diventato una scuola cui giungono chirurghi da tutti i Paesi.

Il paziente è contento di questo tipo di interventi, perché sa che comunque è il medico a operarlo; ma con l’aiuto di un sistema controllato dal computer, le capacità professionali dell’uomo vengono potenziate. Per fare un esempio concreto: Schumacher guida la macchina a 300 all’ora in curva, solo perché è aiutato dal computer; con una macchina non controllata dall’elettronica, tale prestazione sarebbe impensabile.

In futuro dovremo dimenticarci del tutto la chirurgia cui siamo abituati, con le pance aperte, con i visceri posati su un tavolo: ci sarà un trasferimento di quasi tutti gli interventi alla chirurgia robotica, molte procedure saranno miniaturizzate e miniinvasive; ci saranno progressi nella terapia medica e nella terapia genica. Molte malattie oggi trattate chirurgicamente saranno curate con terapia medica.Ci sono dei prototipi di sonde robotizzate con cui è possibile fare interventi senza neanche i fori, semplicemente passando attraverso le cavità corporee. «Il robot che abbiamo ora (dal costo di circa un milione e mezzo di euro) sarà ancora più perfezionato, più piccolo – spiega il chirurgo –. Potremo effettuare operazioni che non lasciano spazio al dolore». Avremo un uomo che non sa più soffrire? «Ma per carità – risponde Giulianotti –. È un diritto dell’uomo aspirare a un mondo senza sofferenza. Da questo punto di vista tutte le tecniche mediche che cercano di liberare l’organismo e l’essere umano da un’inutile sofferenza fisica sono auspicabili. Non si deve pensare che un uomo privato del dolore sia più superficiale: è semplicemente più libero. È una grande conquista un mondo senza pene fisiche, morali, civili. Ed è una conquista da perfezionare sempre più».Non è da credere, però, che per Giulianotti il lavoro sia tutto rose e fiori. Quello della sanità è un mondo molto complesso: spesso è lui che deve seguire le pratiche burocratiche, l’andamento del reparto, la gestione del personale. È lui ovviamente a seguire i pazienti: fra questi ci sono quelli educati e generosi, ma anche quelli maleducati ed egoisti: «Noi chirurghi siamo aiutati dai robot ma non siamo delle macchine, arriva anche il momento in cui perdiamo la pazienza». È un lavoro complesso: oltre a dover mantenere un altissimo livello di competenze, non bisogna mai perdere l’approccio umano con il paziente: il rapporto fiduciario interpersonale è importantissimo. Spesso ci si porta a casa le preoccupazioni, le ansie della giornata: è difficile staccare se sai che c’è un paziente che rischia la vita. In questa situazione se la professione non piacesse veramente, non desse gioia, sarebbe insopportabile: «Se non ci fosse la gratificazione, e non parlo di quella economica, ma di quella umana e tecnica, le assicuro che smetterei subito». Chirurgoe pianistaPier Cristoforo Giulianotti è nato nel luglio del 1953 vicino a Pontremoli in Lunigiana. Terra bellissima ma povera e dura, che forgia uomini caparbi, orgogliosi, volenterosi, abituati alla sofferenza. Il babbo di Giulianotti era un militare di carriera. Per il figlio avrebbe voluto un mestiere che al figlio non interessava. Come tanti giovani della sua generazione entrò in contrasto con il padre. Era l’epoca della contestazione: Giulianotti pensa che sia servita a rimettere a posto certi valori, e anzi è deluso da certo appiattimento dei giovani d’oggi che accettano acriticamente pseudovalori che vengono loro trasmessi. Il padre, che era anche lui una «testaccia» disse al figlio: «Se vuoi fare come ti pare, ti devi mantenere da solo. Studiai come un matto: feci la maturità a luglio prendendo 60/60, studiai tutta l’estate per preparare il concorso alla Normale di Pisa. Lo vinsi. Allora dissi a mio padre: ora faccio quello che voglio». Ebbe alcune esperienze in chirurgia a Massa (dove lavorò con Azzolina, il celebre cardiochirurgo) e a Pisa per approdare in seguito a Grosseto.Giulianotti, oltre a essere un grande chirurgo, è anche un ottimo pianista; ha fatto dei corsi equiparabili al quinto anno di conservatorio, preparandosi con maestri privati: «La musica è un diletto, è un piacere dell’anima, qualcosa che mi ha accompagnato fin da piccolo. Non riesco a immaginare una casa senza un pianoforte. Fare musica è un modo di rilassare la mente, di abituare all’armonia e alla costanza del rigore». Giulianotti ha tre o quattro autori di riferimento: Bach, Mozart, Beethoven, Chopin; ama soprattutto la musica da camera, forse la più difficile e raffinata: pianoforte solo oppure con violino, con violoncello, trii, quartetti.

Se tornasse indietro farebbe il chirurgo o il pianista? Segue un sospiro pensieroso, poi un sorriso: «…mah, per fare il musicista professionale mi mancano alcune doti: il talento deriva da alcune qualità che devono essere sommate. Come chirurgo, il segno che lavoro in qualcosa per cui sono portato è il fatto che continuo a divertirmi anche nei momenti di maggior fatica e nonostante tutte le grane. Allora vuol dire che ho scelto giusto».