MARIA VITTORIA TONIETTI: Tra parole e musica

DI ELENA GIANNARELLIE’ una mattina di gennaio. Vista dalle finestre della Facoltà di Lettere la cupola del Brunelleschi, lucida di pioggia, dà spettacolo. Nella stanza di Orientalistica, al secondo piano, fra libri, riviste, microlettori, computers incontro Maria Vittoria Tonietti.

Come ve lo immaginate un assiriologo? Qui a Firenze è una bella signora bruna, elegante nel suo vestire sportivo, dal sorriso dolce, simpaticamente accogliente. Ci conosciamo dalla notte dei tempi, siamo colleghe e amiche: condividiamo da anni noiosi Consigli di Facoltà, interessanti Convegni, pranzi veloci al lunedì parlando di tutto. Oggi però bisogna parlare di lei, perché è lei la «toscana da raccontare». Ed ha tutte le carte in regola, al contrario di me, giornalista per caso.

«Perché hai scelto di studiare gli Assiri?» le chiedo per rompere il ghiaccio, come se fosse invece del tutto normale passare le giornate su Platone e Agostino, come faccio io. Mi racconta di aver iniziato il suo viaggio a ritroso nel tempo e verso l’Oriente partendo proprio dal greco e dal latino. È poi approdata all’accadico e al sanscrito. «È stata tutta colpa di Gilgamesh. Ho letto il poema e da lì è nata la voglia di risalire all’inizi della letteratura, della scrittura, della civiltà. L’Egitto mi attirava meno di quell’Oriente i cui influssi sono evidentissimi in tutto lo sviluppo del mondo antico, storia delle religioni compresa».

Sana curiositas, allora, e voglia di conoscere. Che bambina sei stata?

«Normale, ma grazie a dei genitori dotati del gusto del viaggio ho cominciato presto a vedere paesi lontani. A sei mesi ero in Danimarca, con una Topolino, a tre anni in Scozia; a sedici in Afghanistan, su un mitico camioncino Volkswagen, ed il paese mi colpì tanto che vi tornai nel 1974; a diciotto anni, dopo la maturità, con una Land Rover, due compagne di scuola e i miei sulla rotta Algeria, Niger, Nigeria, Chad, Camerun ho fatto anch’io una specie di Parigi-Dakar».

La carriera di studentessa universitaria si è svolta fra Firenze e il Pontificio Istituto Biblico di Roma, dove ha studiato con il grande sumerologo Van Dijk. «A ventidue anni mi sono laureata – racconta Maria Vittoria –. Poi sono entrata alla Facoltà di Lettere di Firenze come assistente di Filologia semitica ed ho cominciato a insegnare ebraico e accadico». Nel 1978-79 è all’École des Hautes Études con l’assiriologo Bottéro. Parigi è importante nella sua vita e vi è rimasta sempre legata. Nel 1980 il concorso per ricercatori le apre le porte di una carriera di studiosa perfettamente inserita nel panorama europeo. «Sono stata invitata al primo Field Workshop della missione europea di Tell-Beydar (Siria) nel 1997. È stata un’esperienza importante: quindici giorni di fuoco, al mattino visita ai siti e nel pomeriggio relazioni e discussioni. È stato un modo molto stimolante di affrontare problemi sul campo. E nel ’99, vi sono tornata per scavare».

Che cosa hai studiato tu in particolare?

«Musica assira! Ho anche pubblicato un incantesimo sumerico contro la Lamashtu, un demone che attaccava le donne in gravidanza. Recentemente mi sono occupata soprattutto di linguistica semitica, ma anche di cantori, del loro ruolo nella civiltà mesopotamica, dei nomi d’arte». Scoppiamo a ridere: donne e musica, ecco l’altra cosa che ci lega ed è il motivo dell’intervista. L’assiriologa è anche musicista, cantante lirica, storica della musica.

Hai sempre cantato?

«No» risponde ed affiorano altri ricordi d’infanzia. «Avevo quattro anni quando mia zia cominciò a studiare francese con una nobildonna russa, madame Borracci, dal nome del marito italiano; a me quella signora insegnava russo. Fu un regalo della mamma, che mi è rimasto nel tempo. Quando canto in russo ancora oggi sento qualcosa di speciale». Colei che adesso tiene concerti ed è una apprezzata soprano drammatico, da ragazzina era quasi scontenta della sua voce scura, che contrastava con quella della sorella quando si accompagnavano con la chitarra. «Da studentessa suonavo il pianoforte e cantavo in un coro e fu per caso che Sergio Sablich mi propose di cantare in ottetto, come mezzosoprano, i Liebesliederwalzer di Brahms. Anche l’ammissione al Conservatorio fu tentata per caso. Ed andò».

Maria Vittoria, poi, a Parigi ha studiato con la grande Noemie Perugia, allieva di Nadia Boulanger, ha frequentato Messiaen alla cui opera vocale ha dedicato la sua tesi in Storia della musica, in parte pubblicata. Sua è anche la firma su programmi di sala e saggi musicali.

Non hai mai pensato di abbandonare gli Assiri e dedicarti solo alla musica?

«Mi sono trovata al bivio nel 1981, ma poi ho pensato che avrei potuto lavorare su entrambi i fronti. Non potevo abbandonare i miei antichi».

Maria Vittoria ha seguito un corso di direzione di coro alla Scuola di musica di Fiesole e si è diplomata in canto nel 1985. «Già aspettavo Giulia», sorride. La musica le ha fatto un altro regalo: l’incontro, galeotta la composizione, con Fabio Lombardo, direttore di coro e di un celebre gruppo di musica antica: L’Homme armé. Nel 1994 la famiglia cresce: arriva Jacopo. Anche il ruolo di mamma si aggiunge agli impegni di Maria Vittoria che, dopo la tesi con il maestro Terni, inizia a fare concerti e vive esperienze bellissime, come allieva ai perfezionamenti di Erik Werba e di Mitzuko Shirai al Mozarteum di Salisburgo, o, in seguito, come insegnante di Master Class in Brasile e in Messico. «È stato un contatto umano molto stimolante – ricorda –. La musica serve a comunicare con gli altri. Fare musica insieme abbatte le barriere».

E la musica delle donne?

«Tutto è iniziato dalla “Scuola estiva delle donne” a Pontignano – dice –. Annarita Buttafuoco mi chiamò a cantare, nell’atmosfera incantata di quella Certosa, durante uno dei corsi, arie scritte da musiciste. Da lì è nata l’idea di approfondire una produzione ricca, rimasta ingiustamente oscurata, e di recuperare La voce delle donne. Si chiama così una rassegna, giunta ormai al VII anno, che ogni autunno si tiene a Firenze e che si occupa di musica e poesia nella scrittura femminile».

Maria Vittoria ne è il direttore artistico ed i risultati sono ottimi. «Si è riscoperto un vero patrimonio culturale e lo interpretano uomini e donne, mettendo a confronto le loro sensibilità, posto che la musica annulla le barriere di genere. Anche la musica etnica è uno dei miei amori – prosegue –. Me ne sono occupata come responsabile della cultura della Misericordia di Settignano, e ne ho curata una rassegna nel 1999. Sono convinta che la diffidenza nei confronti degli altri nasca dal non conoscersi. Quale biglietto da visita migliore della musica?».

Quale è la situazione della musica in Italia?

«Culturalmente viene sottovalutata, non fa parte dei valori condivisi; ricordo quella scena da Heimat, quando il protagonista entra dal rigattiere, a Monaco, vede una vecchia chitarra in un angolo, si mette a suonarla, il vecchio si incanta e tutto si trasforma. Bisognerebbe fare di più nelle scuole e soprattutto tornare a cantare, come espressione naturale. Il canto è un perfetto binomio di natura e cultura. Oggi si è persa questa dimensione del canto, perché siamo sempre più lontani dalle radici. Comunque, se è necessario ascoltare musica, qualunque musica, possibilmente è ancora meglio farla. E nella musica si deve portare anche il nostro corpo, non solo la testa o il cuore». Molti dei suoi studenti di Assiriologia sono anche appassionati musicisti.

E i tuoi figli?

«Giulia ha studiato violino e flauto; Jacopo ha cantato con il coro di voci bianche al Comunale in Otello, Boris, e, ora, in Turandot».

E i tuoi Assiri?

«Il loro canto era sempre affidato a professionisti ed era espressione soprattutto religiosa, ma pervadeva quasi ogni momento della vita».

C’è qualcosa che sogni di cantare?

La risposta è inattesa: «Milord, della Piaf, con quelle belle erre che escono dalle viscere e che sanno di vita vissuta e di nebbia e notti sul Lungosenna».

Dalla filologia semiticaalla «Voce delle donne»

Maria Vittoria Tonietti nasce a Firenze da genitori toscani. Frequenta il Liceo Classico e, contemporaneamente, studia pianoforte e russo. Si iscrive alla Facoltà di Lettere, laureandosi nel 1976 in Filologia Semitica. Ammessa, poi, alla classe di canto del Conservatorio di Firenze, si laurea, parallelamente, in Storia della Musica, nel 1981.

Divenuta ricercatore universitario, continua a pubblicare i risultati dei suoi studi che, con la scoperta degli Archivi di Ebla, antica capitale di un importante regno siriano del III millennio a. C., si concentrano soprattutto sulla lingua e la cultura di quel sito. È attiva in convegni e congressi italiani ed internazionali, ed è stata più volte invitata a tenere corsi e conferenze all’estero presso Università e Centri di Ricerca.

Recentemente, nel 2004 è stata chiamata a partecipare alla tavola rotonda tenuta a Parigi da Faits de Langues per la pubblicazione di un volume monografico sulle lingue semitiche.

Per quanto riguarda la sua carriera musicale, nel 1985 si diploma in canto al Conservatorio L. Cherubini di Firenze, dove studia anche composizione ed analisi, e inizia la sua carriera di cantante. Si perfeziona, fra l’altro, con Liliana Poli, con Daniel Ferro della Julliard School, all’Accademia Chigiana, con Galina Vishnevskaja alla Mozarteum-Sommerakademie di Salisburgo, specializzandosi nella musica contemporanea, oratoriale e cameristica, cui dedica principalmente la sua attività concertistica. Dal 1983 al 1989 fa parte dell’insieme vocale l’Homme Armé. Nel 1990 consegue il «Premio Giovani Interpreti» al Festival Internazionale di Canto da camera di Carpi (direttore artistico E. Werba).

Ha al suo attivo registrazioni radiofoniche per la Rai, la radio svedese, Radio Unam (Messico). È cantante del Fortepiano Ensemble di Bologna, specializzato in esecuzioni con fortepiani d’epoca. Nel 2003 ha costituito con S. Da Boit (pianoforte), R. Sfriso (violino) e C. Boersma (violoncello) l’ensemble AlmaTèssara, dedicato, fra l’altro, all’esecuzione di musiche di compositrici. È direttore artistico della Rassegna La Voce delle Donne, che si svolge annualmente a Firenze.