FRANCESCA COLOMBINI CINELLI: La signora del Brunello

DI DAMIANO FEDELIA sentire il suo racconto pare di vederli ancora lì, sulla balaustra che dà sul vigneto, Federico Fellini con la sua Giulietta Masina, a gustare pecorino e sorseggiare vino: «Uh, quante volte sono venuti, quanto gli piaceva». E poi c’erano Enzo Biagi, Mario Luzi («Un uomo così mite che si scaldava però parecchio quando si parlava di letteratura»), Geno Pampaloni, Mario Rigoni Stern («Incantevole quando racconta degli alpini») o Sergio Zavoli. Grandi nomi della letteratura e del giornalismo tutti ammaliati dal prezioso nettare, sua maestà il Brunello di Montalcino, e dall’affabilità della padrona di casa: Francesca Colombini Cinelli.

Classe 1931, è stata a lungo al timone della Fattoria dei Barbi di Montalcino da cui esce uno dei Brunelli più quotati al mondo, oltre ad altri affermati «super tuscan», il top dei nostri rossi. Per tutti è «La signora del Brunello», epiteto che la fa sorridere. Parlare con lei significa ripercorrere tante tappe importanti della storia toscana e non solo. Innanzitutto per le antiche origini della nobile casa senese. «La fattoria è da sempre proprietà della nostra famiglia le cui origini risalgono al Duecento», racconta seduta nel fresco giardino davanti alla villa, vista vigne. «Mio nonno, Pio, era rettore dell’università di Modena, città dove sono nata. Nonostante gli studi e i contatti con Firenze, ho da sempre vissuto qui, in campagna. Sono molto legata alla terra e sono profondamente convinta che l’Italia intera abbia un legame stretto con le proprie origini contadine». Proprio dall’amore per la terra, per la vita contadina vissuta da vicino e non semplicemente dipinta con tinte idilliache, nasce il suo libro «Il vino fa le gambe belle», in cui ha ripercorso tappe importanti sue e del territorio di Montalcino. Un testo che ha vinto il Premio Capri San Michele e di cui lei stessa leggerà alcune pagine nel corso della manifestazione «Partiture bacchiche» in giro per la Toscana. «Ho visto un po’ di tutto in campagna: la mezzadria, la guerra, il dopoguerra con la ricostruzione. Devo dire che quell’estate del ’45 fu qualcosa di mai visto: si ballava tutte le sere nelle campagne. C’era gioia, voglia di ripartire. La stessa gioia che si manifestava con i tricolori issati sui tetti appena rifatti».

Furono anche gli anni di un cruciale passaggio per la campagna. «Sì, si passò dalla mezzadria a un’agricoltura moderna, su basi industriali. Fu mio padre Giovanni che, mentre tanti abbandonavano i campi, ci vide il futuro. In tanti lo prendevano per pazzo; gli dicevano: ‘ti vuoi rovinare?’. Ma lui, testardo, andava avanti: aveva l’occhio lungo e ci ha insegnato a campare. È stato anche grazie a lui se si è creato il mito del Brunello: ci ha creduto in questo vino. E ha avuto ragione lui che, sempre col sorriso sulle labbra, diceva a tutti cosa fare. Tanto che gli operai, comunisti, gli volevano un bene da matti».

È il 1976 quando il padre di Francesca muore. E lei, coraggiosamente, prende il timone, prima donna in Italia a dirigere un’azienda agricola. «Sono figlia unica e mio padre mi aveva abituato fin da piccola a stare in mezzo al lavoro, alla trebbiatura, alla vendemmia, ai colloqui d’affari. Lui era un grosso personaggio, molto conosciuto, io ero nell’ombra. Quando ho preso le redini, molti pensavano che la Fattoria fosse al capolinea». Francesca si rimbocca le maniche, potenzia l’allevamento dei maiali (i salumi insieme ai formaggi prodotti qui sono uno dei piatti forti della locale Taverna dei Bardi, vetrina della Fattoria), si muove per il mondo, invita in fattoria i clienti: «Solo così potevano rendersi conto veramente di come l’azienda funzionasse». Ed è il successo per questo Brunello. «Ero a New York nell’85 al Wine Experience dove erano state selezionate cento aziende di tutto il mondo. Ed ero l’unica donna».

Da qualche tempo per Francesca Colombini è venuto il momento di ritirarsi e di cedere il testimone ai figli Stefano e Donatella. A Stefano è andata la Fattoria dei Barbi, vicino alla quale ha promosso il Museo della comunità di Montalcino e del Brunello («Ha poi allargato la produzione anche a Scansano, con il Morellino», racconta la madre). A Donatella è andata la Fattoria del Colle a Trequanda e quella del Casato a Montalcino: «È a lei che ho affidato il premio letterario che dal 1981 e per diciotto edizioni ha portato qui tanti personaggi. Lei ne ha rinnovato la formula, chiamandolo Casato Prime Donne e mettendolo tutto al femminile».

Passeggiando nelle cantine dotate delle tecnologie più avanzate – qui si lavora ad esempio con la macerazione a freddo per ricreare il clima che caratterizzava le migliori vendemmie – Francesca Colombini è orgogliosa di come l’azienda familiare va avanti. «Mio marito Fausto, anche lui scomparso, diceva: “Che faranno della fattoria i figli? Uno studia Legge, l’altra Lettere”. E invece… È importante saper passare il testimone in corsa. Io oggi non avrei le energie per mandare avanti tutto. E poi bisogna lasciare che le giovani generazioni vivano i problemi in presa diretta e che ci mettano del loro».

Non c’è solo il Brunello (qui si conservano bottiglie dal 1892). Il rosso è anche il colore del Brusco, vino dedicato al sanguigno brigante Bruscone, amante di vino, donne e canto. Il bianco si addice di più al Beato Giovanni Colombini in cui onore la Fattoria produce il sublime Bianco del Beato, usato anche dai monaci di Sant’Antimo per la messa. Francesca Colombini si ferma un attimo a guardare la campagna che il sole colora di ocra: «Sa cosa le dico? I nostri operai hanno il medico, ci mancherebbe. Ma qui lo psicologo che c’è in tante aziende non serve davvero!».

La fattoria de’ BarbiFrancesca Colombini Cinelli è nata a Modena nel 1931: suo nonno Pio era il rettore dell’università emiliana, ma manteneva stretti contatti con le aziende agricole di famiglia, a Montalcino. L’antica casata patrizia senese, le cui origini risalgono al Duecento, possiede infatti la Fattoria dei Barbi dove si produce Brunello dal 1870.

Il padre di Francesca, Giovanni Colombini, fu protagonista di un’importante rivoluzione industriale, traghettando la fattoria dalla mezzadria alla moderna agricoltura e trasformandola in azienda. Alla morte del padre, nel 1976, Francesca Colombini (sposata con Fausto Cinelli, ora scomparso), ha rilevato l’azienda, potenziandone la produzione, lanciandola a livello internazionale e allargando l’orizzonte a olio, salumi e formaggi.

Oggi il Brunello della Fattoria dei Barbi è uno dei più quotati a livello internazionale. Il testimone delle aziende di famiglia è passato nelle mani dei figli Stefano e Donatella.

Nel 1981 la «signora del Brunello» – così è conosciuta Francesca Colombini Cinelli – ha istituito il premio letterario e giornalistico «Barbi Colombini», per valorizzare il patrimonio culturale del territorio di Montalcino. Un riconoscimento che è andato negli anni a personaggi come Enzo Biagi, Romano Bilenchi, Giorgio Bocca, Mario Luzi, Susanna Tamaro, Mario Tobino o Sebastiano Vassalli. E che ha avuto in giuria Geno Pampaloni, Leone Piccioni, Ugo Ronfani o Sergio Zavoli.

Il premio è andato avanti per 18 edizioni: oggi si è trasformato, sotto la direzione di Donatella Cinelli Colombini, nel «Casato Prime Donne», un riconoscimento al femminile che lo scorso anno è andato alle Suore «Cabriniane» del Sacro Cuore di Gesù. Francesca Colombini si dedica ora alla scrittura: il suo «Il vino fa le gambe belle», un’autobiografia nella vita montalcinese, ha vinto il premio Capri San Michele. Adesso pensa a scrivere altri testi, come una raccolta di antiche ricette.