TOSCANI D’ADOZIONE: Juana Francisca FRIAS

di Francesco Giannoni

Juana Francisca Frias ha un viso che spesso si apre in un sorriso dolce e spiritoso. Viene da Santo Domingo, capitale della Repubblica Dominicana. Ora è uno stato democratico, e «meno corrotto del solito», che ha attuato importanti riforme sociali, ma quando Francisca nacque una quarantina di anni fa, avevano appena ucciso il dittatore al potere e il paese era dilaniato dalla guerra civile.

Dopo essersi laureata in psicologia nella sua città, cominciò a lavorare assistendo bambini con problemi mentali e di apprendimento. Venne in Italia per aiutare in una difficile gravidanza la sorella Mercedes, già da tempo nel nostro paese, e destinata a essere, tra le file di Rifondazione comunista, l’unica straniera eletta alla camera dei deputati nella legislatura del 2006.

Se la partenza fu determinata da motivazioni di carattere familiare, la cultura aveva già preparato il terreno: «Leonardo, Michelangelo… per noi sono leggende»; come tanti europei hanno il «mito dell’America», così molti americani hanno quello dell’Europa, della sua storia, della sua arte.

Era il dicembre del 1990 quando la giovane donna arrivò a Firenze, «e faceva un freddo pazzesco», mentre a Santo Domingo la temperatura minima è di 23-25 gradi. Non si era portata i vestiti adatti, nonostante le raccomandazioni della sorella. Ma l’inverno le fece conoscere il calore e l’affetto di molte persone: per esempio Francisca mi narra che, mentre andava a trovare Mercedes all’ospedale, incontrò una signora italiana, amica della sorella, che era per la strada insieme alle figlie; vedendola tremare di freddo, si tolsero di dosso sciarpa e guanti e glieli dettero: «non erano cose vecchie che stavano per buttare. Capisce? Mi dettero del loro, e senza esitazioni».

Inoltre in Italia «ho trovato la mia autostima: qua molti mi dicono che sono “carina”, mentre nel mio paese non piaccio. Magari è una piccolezza, ma ha la sua importanza».

Ovviamente Frias ha vissuto e vive anche situazioni ben diverse come quando la gente, vedendola straniera, le parla urlando, «così pensa che io capisca meglio, e questo anche negli uffici pubblici, dove ci vorrebbe discrezione», oppure che le dà del tu: racconta che quando alcuni anni fa era incinta, si recò all’ospedale per un’ecografia; nella sala d’attesa c’erano lei, trentottenne, e una ragazza bianca di 20-25 anni; l’infermiera, invitando la ragazza, disse: «venga, signora, tocca a lei»; si rivolse poi a Frias con un «vieni, tocca a te», a cui la diretta interessata reagì, suscitando, peraltro, l’approvazione del medico presente.

Alla ricerca di un impiego, Francisca non poteva far valere i titoli di studio conseguiti perché non riconosciuti dalla legge italiana, secondo cui non vale neanche la sua quinta elementare: ufficialmente è analfabeta.

Ha fatto molti lavori. Con il primo, assistere un giovane invalido, guadagnava 5 volte più che a Santo Domingo. Poi per otto mesi è stata impiegata in una cooperativa per ragazzi psicotici senza essere mai pagata: «tante di queste cooperative si formano, prendono soldi dalle regioni, chiamano personale e lo tengono a lavorare; dopo un po’ chiudono senza pagare nessuno. Quindi riaprono con altro personale, e la storia ricomincia. Sono le cose strane che capitano in Italia». Come tutte le extracomunitarie ha fatto anche la badante.

Nel 1997, è stata cofondatrice di Nosotras, associazione di donne di varie nazionalità, da cui successivamente germogliò Paladar, «un’idea per uno sviluppo economico-lavorativo diverso», per evitare alle donne di trovare lavoro solo come badanti o collaboratrici domestiche. Quasi tutti i membri del gruppo sanno preparare ricette del proprio paese, «io cucino meno ma mi piace organizzare».

Così iniziò a fare catering, partecipando a ogni festival dell’Unità grande e piccolo. Sentendosi continuamente domandare quando aprisse un ristorante, Francisca si decise al grande passo. Prese parte a un concorso per ottenere un finanziamento in base alla legge sull’imprenditoria femminile, entrò in graduatoria e, infine, dopo molte vicissitudini burocratiche, ma anche tante manifestazioni di concreta solidarietà, a Firenze inaugurò Paladar, ristorante multietnico.

E al «Paladar» menu diverso ogni due settimaneTra il personale del ristorante multietnico Paladar ci sono donne provenienti da Marocco, Costa d’Avorio, Nigeria, Brasile, Cuba, Thailandia; tutte sanno cucinare e il menu cambia ogni due settimane. «È uno sforzo notevole – racconta Francisca – ma dà soddisfazione, e la gente ritorna».

I frequentatori sono italiani, molte donne fra i 40 e i 60 anni, e ragazzi che il fine settimana festeggiano il compleanno. Più volte sono venuti Paolo Hendel, Staino, e politici, fra cui Ornella De Zordo. Sono pochi gli stranieri, «e mi dispiace: io pensavo che Paladar potesse diventare un luogo per la loro aggregazione».

Oltre che di grinta Frias è dotata di inventiva: il lunedì il locale è sede di corsi di cucina, mentre la domenica, giorno di chiusura, è affittato per feste di vario genere, anche religiose; interviene alla Mostra dell’artigianato e a vari festival (come quelli dell’Unità o della Creatività). Da poco a Perugia ha partecipato a Breakfest, festival sulle colazioni nel mondo: a ogni ora viene servita la colazione tipica di un paese che, a seconda del fuso orario, si sta svegliando in quel momento.

Nel novembre scorso Francisca ha vinto il premio internazionale «MaDonna fiorentina – Mangiare donna» conferito dalla Regione Toscana e dall’Associazione cuochi fiorentini, per l’apporto alla cultura del cibo e alla diffusione di quello latino-americano.

Nonostante i successi, però, è vivo il desiderio di tornare nel suo paese. Ha un progetto che mi espone fra il serio e il faceto: «vorrei diventare ricca… così aprirei tanti Paladar in giro per il mondo. Ma quello di Santo Domingo lo gestirei io, personalmente».