PAOLO BETTINI: Esperienza e cuore per il ciclismo azzurro
di Antonio Cecconi
Dopo Alfredo Martini e Franco Ballerini, un altro toscano a fare il «cittì» dei ciclisti professionisti. Martini si gode un’onorata pensione attiva, dispensando saggezza ciclistica e umana alle squadre azzurre in bicicletta. Franco Ballerini è uscito di scena tragicamente pochi mesi fa, vittima della passione per i rallies automobilistici: l’eroe che aveva domato le pietre di Roubaix tradito da un muretto della sua Toscana. Di lui resta il ricordo di una persona sorridente e disponibile, di un commissario tecnico lucido e competente, capace di porsi accanto agli atleti come autorevole fratello maggiore. Due predecessori difficilmente eguagliabili, capaci di «fare squadra» pur disponendo spesso di più galli nello stesso pollaio. Paolo Bettini passa dalla bicicletta all’ammiraglia con un’indubbia conoscenza del «mestiere» di ciclista, con la stima (sembra che sia davvero così) di tutto il mondo del ciclismo ma anche con un’eredità non facile da accogliere. Accanto alle numerose vittorie, tra i suoi ricordi più cari c’è di sicuro la festa che gli fece tutto il gruppo durante l’ultimo giro del campionato mondiale di Varese due anni fa, quando ormai era chiaro il successo di un altro azzurro, Ballan, ottenuto proprio grazie all’astuta strategia del nostro Paolo. Che, il giorno prima, aveva annunciato il ritiro dall’attività agonistica.
Gli strateghi delle squadre nazionali sono stati quasi sempre ex ciclisti, ma avendo alle spalle (salvo rare eccezioni, come nel caso di Alfredo Binda) un’onesta carriera da comprimari anziché il blasone del campione di razza. Forse perché chi ha vinto molto si accontenta dei suoi personali successi e non vuol rischiare di esporsi alla critica di non saper insegnare ad altri come si vince. E infatti molti grandi campioni, ancorché sollecitati dalle rispettive federazioni ciclistiche, hanno più volte declinato l’invito.
Non così Paolo Bettini. E siamo contenti, per lui e per noi, nel senso di tutti gli appassionati del pedale, toscani in testa. Peraltro, tra i suoi più fidati collaboratori, continuerà ad avvalersi, in continuità con Martini e Ballerini, di un altro toscano doc, pisano di Vecchiano: Franco Vita. Uno che, da una vita è fedele accompagnatore degli azzurri in bicicletta.
Il mondiale di quest’anno si corre domenica 3 ottobre in terra australiana, a Melbourne. Della terra dei canguri Bettini non deve avere un ricordo particolarmente piacevole, ma forse utile, insieme a tante altre esperienze, a imparare come si diventa un vero campione. Sidney, olimpiadi del 2000: la squadra italiana ha un vincente designato, toscano pure lui: Michele Bartoli. Il livornese Paolo, fino ad allora fedele gregario del pisano Michele in nazionale e non solo, si danna l’anima per riportare il capitano sulla ruota del tedescone Jan Ullrich, ma c’è poco da fare. Bartoli è quarto, la cosiddetta medaglia di legno. Un anno dopo, conquistati i galloni di capitano, Bettini riesce, correndo in proprio e non per conto terzi, a sconfiggere il medesimo tedesco nel campionato di Zurigo: una sorta di David vittorioso nella lotta contro il gigante Golia.
Ma già l’anno prima aveva trionfato per la prima volta in una classica, la Liegi-Bastogne-Liegi, successo che avrebbe bissato nel 2002. E poi, nel 2004, la conquista dell’oro olimpico proprio ad Atene, nella patria dei giochi.
Le gioie di una carriera da campione sono state visitate dal dolore per la tragica scomparsa del fratello maggiore Sauro nel 2006, pochi giorni dopo la vittoria nel primo campionato del Mondo a Salisburgo. Sauro, che aveva corso anche lui in bicicletta, morì in un incidente d’auto mentre si recava a un incontro di tifosi per preparare i festeggiamenti al fratello in maglia iridata. Di lì a pochi giorni, con la morte nel cuore, Paolo Bettini volle correre il giro di Lombardia per dedicare la vittoria a Sauro. Tagliò il traguardo indicando il cielo (vedi a lato).
Giù dalla bicicletta, per portare ai mondiali una squadra vincente così da dimenticare almeno un po’ la delusione del Sudafrica Bettini deve reimpostare la relazione con quei ciclisti che fino a poco tempo fa erano suoi avversari, con quei direttori sportivi a cui aveva dato del lei. Ma il carattere diretto, l’intelligenza pronta, gli occhi furbi e insieme umani, la sagacia nell’interpretare la corsa e il coraggio nell’assumersi i rischi fanno di lui il degno erede di Martini e Ballerini. Ci sono tutti i presupposti perché divenga uno stratega capace di dare nuova linfa (atletica ed etica) a un ciclismo italiano che vorremmo sperare in via di guarigione. Intanto è uscito bene dal Giro con la vittoria di Ivan Basso e la promettente giovinezza del siculo-toscano Vincenzo Nibali; e ha cominciato bene il Tour, con gli acuti di Alessandro Petacchi nelle prime tappe. Il neo-commissario, alla sua prima uscita, ha gioito per il successo nel campionato italiano di un altro giovane siciliano cresciuto in Toscana, quel Giovanni Visconti che fu maglia rosa nel Giro del 2008, correndo proprio nella squadra capitanata da Bettini, che fu per lui valido apripista.
In bocca al lupo, Paolo! C’è bisogno di traghettare il ciclismo sull’altra riva, quella di uno sport che sia anche vincente, ma soprattutto umano, pulito, seriamente e serenamente praticabile. Hai testa e cuore per provarci.