La suora sulla frontiera tra la vita e la morte
di Gianluca della Maggiore
E’ sulla frontiera fragilissima tra la vita e la morte che emergono le domande strazianti, quasi rabbiose: perché io? perché Dio mi ha fatto questo? E se in questi frangenti, oltre alla tua competenza di medico, riesci a comunicare anche la speranza, allora, pur nel rispetto dei valori altrui, senti di aver dato un aiuto. Tutto può diventare più dolce, anche la sofferenza».
Suor Costanza Galli sa che tra le stanze del reparto di Curie Palliative dell’ospedale di Livorno può essere «un segno» e non lo nasconde. Lei, da quando nell’ottobre dello scorso anno è diventata probabilmente la prima suora-primario di un Hospice, non ha smesso di indossare l’abito blu e il velo delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli.
E ora che il reparto che dirige è al centro dell’attenzione generale per il caso della donna ricoverata per il morbo della «mucca pazza», i riflettori si sono accesi anche sulla sua storia. «Sono giorni faticosi confida quel che posso dire è che in queste ore ho visto una famiglia molto presente che accompagna la propria congiunta con grande dignità nell’ultimo viaggio.
Qui ogni giorno ci sarebbero storie di pazienti e di famiglie da raccontare una per una. In questi mesi ho fatto tanti incontri con persone che nelle ultime fasi della loro vita sanno donarti tantissimo, sicuramente più di quello che tu puoi dare loro».
Mesi fa il regista livornese Paolo Virzì nel suo «La prima cosa bella» ha girato in quell’Hospice alcune delle scene più toccanti e delicate del film: un equilibrio di opposti che fa esplodere la gioia sul filo esilissimo di una vita che si spegne. Certo, tra quelle stanze è raro che sia davvero così, eppure Suor Costanza è proprio a contatto con quei malati che ha maturato la sua vocazione: «È proprio così confida mi sono laureata in medicina, poi mi sono specializzata in oncologia ed ho vinto un concorso all’Asl livornese, ed è proprio durante la mia carriera accademica, che mi ha visto spesso a contatto con i malati nella fase terminale della loro vita, che è maturata pian piano, ma prepotentemente, la volontà del Signore su di me». In quegli occhi, in quella sofferenza Dio si è manifestato: «vedere in loro Gesù cambia radicalmente la tua prospettiva». E nel contesto del reparto di Curie palliative essere una Figlia della Carità ha un significato particolarissimo: «San Vincenzo de’ Paoli è l’inventore delle reti della carità, e il nucleo del nostro carisma sta proprio qui: Gesù nel povero. E chi, più di un malato che si avvicina alla morte, può essere considerato povero?».
Le piccole premure, l’attenzione ai dettagli, un sorriso sempre acceso, la delicatezza delle parole, i silenzi fecondi: è l’insieme delle mille sfumature quotidiane a disegnare la trama di un’esistenza donata. Che al primo posto mette il rispetto: «Per il ruolo che ricopro rivela suor Costanza voglio e devo essere rispettosa delle opinioni di tutti, però nello stesso tempo non voglio neanche nascondere quello che sono, perché so che per qualcuno il mio abito potrebbe essere un aiuto. In questi anni non ho mai trovato nessuno che si sia rivolto a me con scortesia: certo, molto dipende da quello che dici, da quello che fai: sei rispettata se sei tu la prima a rispettare gli altri».
E c’è un piccolo-grande segreto a sostenere le fatiche di suor Costanza: ogni sera, quando torna tra le suore di Casa San Giuseppe a Quercianella, trova tutta una comunità a sostenerla: «Fare questo servizio all’ospedale di Livorno non è una mia scelta personale, ma una scelta che ha fatto tutta la comunità che costantemente mi incoraggia e mi sostiene». Contemplative nell’azione: a Livorno una suora che dà anima e corpo per i suoi malati, a Quercianella una comunità che la solleva con la potenza della preghiera. «È una vera famiglia con cui confrontarmi, chiedere consiglio, con cui discutere e riappacificarsi: è il carisma vincenziano che mi vuole a servizio all’ospedale! Anche questo porto con me nei miei incontri con la gente».
Ma c’è un altro aspetto che rende preziosa la presenza di suor Costanza in ospedale: il vescovo di Livorno Simone Giusti ha organizzato insieme alla suora-primario un percorso originale che si inserisce nel solco del progetto culturale della Chiesa italiana. «Si tratta spiega suor Costanza del cosiddetto tavolo dell’oggettività che ha coinvolto tutti i primari livornesi: in questi anni abbiamo affrontato le grandi questioni etiche in un confronto sereno, lontano da situazioni d’emergenza». Al centro dell’attenzione del tavolo non ci sono solo questioni strettamente etiche, ma anche riflessioni su come fare funzionare meglio le strutture sanitarie presenti sul territorio: «Mi sembra un’intuizione importante del nostro vescovo: certi argomenti devono essere affrontati anche insieme a chi non crede, senza fare barricate. Per tutti i partecipanti questi incontri hanno testimoniato come sia possibile avere identità chiare senza avere nemici».
Tra le Figlie della Carità non è la sola a prestare servizio in un ospedale: «Limitandoci solo alla nostra provincia religiosa di Siena afferma si contano molte suore infermiere, caposala storiche, e una suora-medico a Firenze». L’Hospice di Livorno è considerato un fiore all’occhiello in Toscana: nato nel 2003 come esperienza pilota nel panorama regionale e nazionale per l’accompagnamento dei malati terminali.
Suor Costanza ne è responsabile dal 5 ottobre 2009 dirigendo un gruppo di 9 medici, 20 infermieri, 20 operatori «Oss» e molti volontari che offrono il loro tempo per accompagnare i pazienti a casa o in reparto. Ogni giorno l’Hospice si prende cura di circa 110 persone, lo scorso anno ha accolto e seguito 625 persone (94 in più rispetto al 2008 e 188 in più rispetto al 2007) per un totale di 37.658 giornate, cioè circa 60 per ciascuna delle persone seguite.