SILVANA PAMPANINI: La lunare cantautrice innamorata della terra
di Antonella Monti
Silvana Pampanini della nota attrice cinematografica non ha proprio niente, solo quel nome ormai vintage e neppure la voglia di mostrarsi troppo in pubblico anche se lei, semplice donna della terra, si può ritenere famosa.
Silvana di Marsiliana (perché vive nei pressi del suggestivo borgo nel comune di Manciano) ama la terra e i suoi silenzi rotti dal vento e dalla pioggia, e trae ispirazione dal sole che albeggia e tramonta tra i campi e i boschi. «Io e Silverio siamo come la luna e il sole», mi confidò un giorno e nessun paragone fu più azzeccato perché davvero, il marito, biondo e illuminato da intensi occhi azzurri è solare e presenzialista quanto, Silvana, dall’incarnato candido e i lunghi capelli neri (sempre tirati in una lunga coda di cavallo), è schiva e solitaria.
Entrambi artisti, si esibiscono insieme perché il marito l’accompagna musicalmente oltre a decantare con enfasi le sue intense poesie, scritte sempre per omaggiare la natura. Silvana, come la luna, si mostra e si nasconde e per cantare deve averne voglia, un desiderio spento più volte dai tanti lutti che l’hanno colpita, e accetta di cantare per gli altri solo se il suo umore è quello giusto «perché come spiega lei stessa se sono triste, anche la voce cambia».
Quando la incontro, giovedì 9 settembre 2010, sta preparando la marmellata di pomodori verdi e mentre parliamo ogni tanto si alza per accertarsi che non si attacchi al fondo del tegame. Seduti nella cucina della sua bella casa, in presenza della sua mamma quasi centenaria che vive da sempre con lei, Silvana inizia a raccontarsi: «Sono nata a Montemerano il 22 maggio del 1949. A otto anni venimmo al Guinzone (località Spinicci) vicino Marsiliana con tutta la famiglia (i genitori e Mario e Maria, i suoi due fratelli gemelli già scomparsi) e arrivare dal paese in campagna, con quei grandi spazi solitari, mi cambiò la vita e mi innamorai di colpo della terra. È stato fra i campi sterminati e la macchia che ho scoperto il fascino del sole, del vento, del fiume e l’odore della terra. La località dove avevamo il podere si chiamava La Marianaccia ed è vicino a Marsiliana».
Dopo la terra, il suo secondo amore a «tutto tondo», è stato il marito Silverio. Nato a Manciano il 10 luglio del 1945, ultimo di una stirpe di carbonai, Silverio ama parlare della sua vita e non dimentica di raccontare le sue avventurose origini: «Fui concepito alla macchia perché è lì che mio padre portò mia madre in viaggio di nozze. Poi fui partorito in paese ma, ad appena sei giorni, si tornò alla macchia e lì rimasi fino all’età scolare. Si tagliavano i boschi dal 20 settembre al 30 aprile ed io, fino a sedici anni, ho fatto il carbone con mio padre». Silvana invece lasciava il suo podere solo per andare a scuola a Marsiliana: «Insieme ad altri bambini facevamo ogni mattina un bel po’ di chilometri per raggiungere la scuola e si doveva pure guadare il fiume Elsa. A scuola ero brava a fare i temi e fin da piccola ho sempre cantato perché mi piaceva. Ricordo che, con il primo registratore che si vide a Montemerano, vennero a casa nostra e mi fecero cantare per forza La casetta in Canadà. Avevo sei anni. In casa c’era una fisarmonica e non potendo aprirla perché non ce la facevo (avevo solo dieci anni) cantavo accompagnandomi solo con i tasti, facevo tutto da sola eppure i parenti in visita non se ne andavano senza avermi fatto cantare ma d’altra parte è pur vero che, da sempre, da parte di padre, c’erano stati cantanti e musicisti nella mia famiglia e tutti cantavano in ottava rima. Nel 1964 arrivò l’amore, facevo l’Avviamento Professionale a Marsiliana e la prima volta che vidi passare Silverio su una Lambretta luccicante dissi a me stessa: o sposo quello o nessun altro, e così è stato. Io canto solo le cose che scrivo, a parte Maremma Amara. Le canzoni che ho scritto sono tutte arrivate da sole, durante i momenti più intensi della mia vita fatta di tanti dolori e un unico grande amore. A ventotto anni scrissi una poesia dedicata a Aldo Moro e, da lì, fu come aver aperto il vaso di Pandora. Ero già madre delle mie due splendide figlie Paola e Tiziana (oggi un medico e un avvocato) e dall’81 al ’90 viaggiavamo tutti insieme e cantavamo dove ci chiamavano, e anche le bimbe suonavano (cembalino e flauto). Nel 1980 andammo per la prima volta all’Eden di Grosseto e ci esibimmo pubblicamente con Morbello Vergari e il Coro degli Etruschi. Ma la voglia di cantare le mie poesie era venuta dall’incontro, insieme a Silverio, con Fulvio Becci, meglio conosciuto come il poetino, un uomo straordinario che abitava vicino a noi e scriveva poesie che poi metteva in musica. La mia terra è la prima canzone nata insieme alla musica e da lì ho scritto e musicato tante altre canzoni, mentre adesso sono ferma dopo aver scritto Camminerò che mi è venuta l’anno scorso dopo la morte di mio fratello. La Ballata per Tiburzi è la canzone che mi ha fatto tribolare più di tutte le altre: ne scrissi un pezzo poi rimasi bloccata per mesi prima che mi arrivassero quasi all’improvviso le quartine che avevo a lungo cercato senza successo. Siamo stati in tanti posti con Silverio, a maggio ci invitano sempre alle Feste del maggio di Braccagni e poi a Marina di Grosseto e alla Fattoria del Grancia, e queste feste di primavera mi piacciono perché è la terra che si risveglia e io, d’inverno, vado in letargo con lei. Non ricordo neppure più in quanti posti siamo stati con Silverio che recitava le sue poesie; Fra i boschi e nei campi è stata la sua prima raccolta. Nell’81, ’82 e ’83 siamo stati nelle scuole di Firenze e in tante ville per feste private e ancora al Castello d’Albola di Zonin nel Chianti, alla Torre di Buranaccio e anche a Malta nel ’98, in rappresentanza del folclore maremmano. Dovevamo starci due giorni e invece ci trattennero per sette. In quell’occasione cantammo per il loro presidente: ricordo che, un giorno, un segretario ci disse: Stasera non cenate in albergo; poi venne un’autista a prenderci con un macchinone e portò me e Silverio alla residenza dell’ambasciata italiana a Malta e lì cantammo durante una cena in onore della Maremma e non finivano più di applaudirci. Nel 1996 il regista Paolo Benvenuti, dopo che mi sentì cantare, cambiò la prima scena del suo film su Tiburzi che aveva già girato. In effetti, cercavano comparse e per lo più accompagnavo Silverio che voleva proporsi per fare Fioravanti (il bel brigante biondo che fu braccio destro di Tiburzi) ma non riuscivamo a trovarci per il provino e, quando ormai stavamo lasciando perdere, si presentò un occasione e raggiungemmo Benvenuti a Montalto di Castro dove alloggiava con tutta la troupe, in un albergo locale. Ci ricevette in una stanzetta dove mi fece cantare ricordo che l’ambiente era piccolo e pieno di costumi, lui mi ascoltò in silenzio poi mi chiese di cantare Maremma amara e mi ascoltò assorto. Non sapevo che pensare, non parlava, non sorrideva, quando ebbi finito si alzò, aprì la porta e ci fu un boato di applausi perché tutto lo staff dell’albergo, attori compresi, avevano seguito la mia voce e si erano ritrovati insieme ad ascoltarmi, assiepati là dietro. Nell’89 la nostra prima incisione dal titolo Concerto per la mia terra, nel ’98 la seconda, Canto d’amore, e la terza, Ottobre, nel 2006».
Si è fatto buio e devo tornare, anche se le storie e gli incontri di questa coppia di artisti della terra sembrano non esaurirsi mai mi dispiace, ma non posso accettare l’invito a cena e mi accompagnano fuori. «Ciao Silvana dico stare con voi è sempre un piacere ma devo sbrigarmi, e tra poco pioverà…». Silvana guarda il cielo e mi chiede: «Non ti piace la pioggia?». «Sì, certo», rispondo, e lei di rimando: «Io l’aspetto e l’ascolto perché mi parla della terra che bagna. Se potessi farlo mi fermerei sempre ad ascoltare le sue storie. Tu piuttosto torna, magari in inverno quando sono in letargo e chissà che davanti al camino, fra una caldarrosta e l’altra, non tiri fuori la mia chitarra che non si nega mai agli amici veri!».
Tanti sono gli aneddoti che Silvana Pampanini potrebbe raccontare sulla sua vita, divisa fra l’amore sviscerato per la terra e quel dono, ricevuto alla nascita, che è l’incredibile timbro vocale e la sua intensa vena poetica. Fra questi, ne ricorda uno con particolare orgoglio: «Era una sera di fine estate di quasi trent’anni fa; mia figlia Paola aveva dieci anni e con la sorella Patrizia già ci seguiva nelle nostre serate, sia si trattasse di feste private o pubbliche. Quella sera dovevamo andare in Feniglia (la bella spiaggia prima di Porto Ercole), e dovevamo cantare per una bella tavolata di signori che volevano conoscere meglio la Maremma. Paola, con la sua vocina infantile cantò insieme a me Una favola per sognare che avevo scritto proprio per le mie figlie. Il caso volle che quella sera, seduta insieme agli altri commensali, ci fosse una regista radiofonica in vacanza ad Ansedonia. Beh, a lei quella canzoncina piacque così tanto che ci chiese se volevamo cantarla di nuovo per una trasmissione radiofonica che stava andando in onda su Radio Uno, dal titolo Infanzia come e perché. Chiesi a Paola se voleva farlo e lei disse di sì; così, giorni dopo, registrammo per la radio. Passò del tempo e quasi ci dimenticammo di quell’episodio: figuratevi la nostra meraviglia prima e gioia dopo quando, la mattina di Natale del 1984, mentre eravamo tutti insieme affaccendati intorno alla preparazione del tradizionale pranzo, dalla radio accesa uscì la vocina di Paola e la mia intente a cantare la nostra canzone; davvero una favola di Natale che ascoltò tutta Italia».
Silverio Fabiani ha invece prodotto un cd che raccoglie la sua più nota produzione poetica. Quattordici le poesie, precedute da una presentazione, curate dalla figlia Patrizia e con sottofondo musicale della moglie Silvana: «Maremma d’un tempo», «Concerto campagnolo», «Ricordo di un contadino», «Vita da boscaiolo», «Il mulo», «Piazza paesana», «Il gatto e il topo», «Eclisse», «Un nuovo giorno», «La cicala», «La cornacchia», «Gli anfibi», «La volpe», «Terra selvaggia».