Elia Pegollo: Dalle Apuane a Muhanga

di Augusto Stefanini

«Che bel tru-tru». Forse faceva parte anche lui di quel nutrito nugolo di ragazzetti festanti che alle Casette accoglievano l’arrivo di un ansimante, traballante Balilla 3 marce (il tru-tru, appunto) che riforniva di generi alimentari le botteghe dei paesi della montagna massese, alla fine degli anni ’40 dello scorso secolo.

Di sicuro però lui, Elia Pegollo, faceva parte del ristretto numero di ragazzi che raggiungevano Massa per frequentare le Scuole Medie nei primi anni ’50. Ragazzi volenterosi, determinati, motivati, che si formavano il carattere e diventavano uomini anzitempo. Già, perché la corriera che si inoltrava nella valle del Frigido, raggiungeva Forno, ma non Casette e i ragazzi del paese, magari anche scarsamente vestiti e abbondantemente esposti ai freddi venti delle prime ore delle mattinate invernali, dovevano scendere fino alla fermata di Poggio Piastrone percorrendo la ripidissima via di lizza che proveniva dalle cave della Lavagnina, con un dislivello di oltre 300 metri. Il rientro a casa avveniva solamente intorno alle 3 del pomeriggio, sempre lungo la lizza.

Il «percorso studentesco» di Pegollo si è sviluppato con risultati eccellenti presso l’Istituto Giuseppe Toniolo di Massa. Il conseguimento a pieni voti del diploma di «Ragioniere e computista commerciale» nel 1958, gli apre subito le porte del mondo del lavoro. Assunto dal Monte dei Paschi di Siena, riesce anche a laurearsi presso l’Università di Pisa. Dopo un’esperienza lavorativa a Londra, opta per l’insegnamento, approdando al «Toniolo» dove si trova a essere collega di alcuni insegnanti che pochi anni prima erano stati insegnanti suoi. Una gran bella soddisfazione, non c’è che dire.

Pegollo si fa apprezzare per le innate capacità e la sensibilità ai problemi sociali. Prende posizione netta in favore dei deboli e in difesa della natura. Vede prima di altri che «cavare» in modo dissennato il marmo è dannoso per l’ambiente, per la salute di chi si spezza la schiena nel lavoro e per gli abitanti dei paesi montani attraversati da mastodontici camion che creano più danno che ricchezza.

Clamorose alcune sue prese di posizione che lo portano agli onori della cronaca, ma anche a dover affrontare denunce e processi. Allarga l’orizzonte dei suoi interventi con la costituzione, all’inizio degli anni ’90, di una associazione culturale, «La Pietra Vivente», contornandosi di persone sensibili a molti problemi che riguardano l’uomo e l’ambiente. Se l’interesse primo è quello della salvaguardia delle Alpi Apuane, «catena montuosa di grandissimo pregio sotto molteplici aspetti, minacciata nei suoi millenari equilibri da un insieme di attività umane, legate alla presenza di marmo bianco che, pur avendole rese famose fin dai tempi lontani, ha dato luogo ad attività estrattive  diventate devastanti soprattutto negli ultimi anni» (da Muhanga. Villaggio di pace in una guerra infinita), un altro campo di azione della Pietra Vivente è quello in difesa degli ultimi del mondo.

È così che troviamo Pegollo coinvolto in attività umanitarie, a titolo del tutto volontaristico, in terre devastate da conflitti bellici, dalla Palestina alla Serbia, poi ancora dalla Colombia alla Bolivia per approdare, all’inizio del nuovo secolo, nel Nord Kivu. «Quando parlo di questa regione – ebbe a raccontarmi un giorno Elia – molte persone non ne sanno l’esistenza. Il Nord Kivu è una regione bellissima della Repubblica Democratica del Congo, abitata da un popolo pacifico, ospitale, laborioso. Ha la “sfortuna” di essere un territorio ricchissimo, dal legname pregiato delle foreste equatoriali, all’oro, ai diamanti, al coltan (minerale base per i nostri telefonini) del sottosuolo. Su queste terre e su questa popolazione si scatenano gli interessi delle multinazionali che depredano il popolo delle loro terre e ne fanno campi di guerra. È in quelle regioni che si combatte ormai da anni la prima guerra mondiale d’Africa. In occasione di un viaggio gli abitanti di Muhanga, il piccolo villaggio nella foresta dove abbiamo dedicato i nostri interventi a seguito dell’incontro con don Giovanni Piumatti, missionario italiano da una quarantina d’anni in Congo, gli abitanti ci hanno accolto con questa scritta: Lasciateci vivere nelle nostre capanne, allevare i nostri figli, curare i nostri malati, coltivare i nostri campi, tenetevi pure quello che ci avete rubato ma ridateci la pace». È un fiume in piena il Pegollo che parla di queste situazioni, ma quando riceve una telefonata si abbuia e quasi scoppia in lacrime, e mi dice: «I guerriglieri hanno attaccato il villaggio, hanno distrutto capanne e fatto razzia anche dei medicinali che avevamo recentemente portato e che costituivano l’unico presidio sanitario di tutta la regione».

Di questi argomenti, Pegollo ha parlato a lungo recentemente in occasione della presentazione della sua mostra fotografica «Salviamo le Apuane» ospitata nelle prestigiose sale del Palazzo Ducale di Massa e che resterà aperta fino al giorno 9 dicembre. Uno spettacolo da non perdere per la bellezza e la ricchezza delle immagini e per le didascalie da lui stesso scritte a mano ricche di indicazioni circa la flora delle nostre montagne e i siti estrattivi fotografati in epoche diverse a testimoniare e dimostrare il danno inferto alla natura da una escavazione talvolta insensata del marmo. Rivolgendosi al sindaco di Massa Roberto Pucci e all’assessore alla Cultura della Provincia di Massa Carrara, Lara Venè, Pegollo ribadisce il suo concetto: «Non siamo contrari alla escavazione del marmo, non chiediamo la chiusura di tutte le cave; solo chiediamo e pretendiamo che nel lavoro delle cave si rispetti il più possibile la natura e l’ambiente che ci è stato donato a larghe mani e che fanno delle Alpi Apuane una delle zone più belle e più ricche del mondo. La loro “sfortuna” sta nella ricchezza della pietra che le costituisce. Il marmo per essere cavato richiede tanto ingegno e fatica; è bene utilizzarlo per fini nobili quali la scultura e non per farne marciapiedi o peggio ancora per frantumarlo, tritarlo finemente, ricavarne il carbonato di calcio che trova oggi larga applicazione dall’industria cartaria, all’industria chimica,vernici, colle; ma c’è di più: il marmo dei nostri monti ce lo ritroviamo in bocca nei dentifrici e forse anche in qualche farina alimentare, per non parlare poi di quello adoperato nella preparazione dei pannolini per bambini».

La grande cultura, la profonda conoscenza del problema che tratta, lo rendono autorevole nel parlare; con lui la conversazione è estremamente piacevole. Ma perché l’associazione è denominata «La Pietra Vivente»? «Vedi, i nostri monti vivono e danno vita. Per noi che li frequentiamo, è facile trovare una infiorescenza, una sassifraga per esempio, che nasce e si sviluppa e vive in una fessura talvolta impercettibile della roccia. Pensa, delle circa 6000 specie di fiori presenti in Italia, ben oltre la metà le si ritrovano nelle Apuane. Da noi ci sono fiori endemici, vivono qui, magari in ambiti ristretti e non si trovano in nessun altro luogo in Italia. Non solo, ma anche il gracchio corallino, il simbolo dell’Ente Parco delle Apuane, trova sui nostri monti l’unico habitat che gli consenta la vita; fuori di qui lo ritroviamo nei Balcani e basta».

Se nella conversazione si introduce l’argomento acqua, abbiamo da imparare molte cose.«Le Apuane sono ricchissime di acqua essendo sviluppato il carsismo. La sorgente del Frigido, il nostro fiume, posta oltre il paese di Forno a circa 350 metri di altitudine, con i suoi 1500 litri al secondo di portata costante, è la più ricca di tutta la Toscana. Alimenta il fiume, ma non viene bevuta. L’acqua dei nostri monti è seriamente minacciata, per esempio, dall’inquinamento dovuto allo sversamento degli oli combustibili che alimentano i mezzi meccanici che operano in cava piuttosto che dalla marmettola, la polvere di marmo che si deposita in ogni dove, si indurisce e non la togli più. Le cave che lavorano all’interno dei monti intercettano cavità e corsi d’acqua: è la fine. Una sorgente scompare e non la si ritroverà mai più. Ora il paventato traforo della Tambura è l’ultima tegola che potrebbe cadere sui nostri monti: ne comprometterebbe per sempre l’equilibrio. Sarebbe un danno enorme. Il mondo non è nostro, ci è stato dato in prestito; dobbiamo preservarlo e consegnarlo ai nostri figli».

Non si finirebbe più di parlare di Elia, dei suoi monti, dei suoi progetti.

Ora a Casette, i ragazzi non dicono più «che bel tru-tru»; in un batter d’occhio scendono a Massa col «cinquantino»; della via di lizza della Lavagnina, forse, hanno sentito parlare dai nonni.

Un prigioniero tedesco esperto in piante e fioriall’origine di un grande amore per il Creato  Nasce a Casette, Elia Pegollo, in una famiglia di cavatori con origini da Vinca e da Forno a conferma del fatto che Casette, in antico, fu alpeggio di pastori fornesi. È orgoglioso delle sue origini: «Mio babbo ha lavorato alla cava per 63 anni. È andato in cava all’età di 8 anni e non ha mai più lasciato il suo lavoro. Quando i cavatori erano cavatori: persone abituate alla fatica e al rischio che condividevano con tutti i componenti della “squadra di cava” o della “compagnia” se si trattava di lizzatori, solidali nel dare sostegno alle famiglie colpite da lutti sul lavoro».

Fin da giovane Elia si batte per la riabilitazione del lavoro che da circa 2000 anni ha caratterizzato l’ambiente apuano, per i doverosi riconoscimenti in favore di quanti sono occupati a vario titolo nella «trafila» marmo, dalla escavazione al trasporto, dal taglio alla lucidatura e posa in opera. Di pari passo sviluppa e approfondisce l’interesse per la natura, maturato in tenera età. «A Casette – mi raccontava tempo addietro – un soldato tedesco prigioniero della formazione partigiana che aveva sede dietro la mia casa, Alexander, studente in Medicina di 19 anni, mi parlava di piante e fiori, me ne insegnava i nomi e le caratteristiche facendomi scoprire la magia delle piccole cose. Fu così che nacque in me il desiderio di conoscere, di approfondire e custodire i doni del Creato». Detto fatto. Elia, oltre agli studi prettamente professionali, si è molto acculturato in botanica e in fotografia.

Le mostre fotografiche alle quali ha partecipato sono numerosissime e sempre ha riscosso successo. Ha pubblicato anche alcuni libri. È del 2003 Emozioni Apuane – non solo marmo, un volume ricco di foto di rara bellezza e efficacia corredato da spiegazioni e didascalie scritte a mano, con introduzioni di Grazia Francescato e Leonardo Sturiale, accompagnato da un manoscritto in cui si dice che «le somme riscosse dalla vendita del libro saranno interamente destinate ai Bambini del Congo, resi orfani  da una guerra dimenticata, dalla fame e dalle malattie, e agli Indigeni dell’America latina, violentati e uccisi dall’economia degli avidi e dai megaprogetti di spietate multinazionali».

Ora, con la mente e il cuore, Elia Pegollo è già a Muhanga (partirà il 16 dicembre) «per trascorrere le festività natalizie in un clima di guerra, tra gente di pace. Il mio Natale così è più vero e sentito». Sarà il decimo Natale passato in terra d’Africa; porterà ai bambini congolesi «i doni che la generosità collettiva mi permette di portare laggiù»; ci saranno anche i proventi della vendita dell’ultimo libro Muhanga. Villaggio di Pace in una guerra infinita.

Buon Natale, Elia; buon Natale, bambini di Muhanga.

A.S.