GIUSEPPE MEGA: Il «cahier de doléances» di un direttore d’orchestra
di Francesco Giannoni
Con Giuseppe Mega, direttore d’orchestra, parliamo della vita musicale in questi «tempi del colera». Liquida velocemente le notizie su di sé («sono schivo; vivo in clandestinità»): giunge in Toscana dalla natìa Basilicata, bellissima e sconosciuta, per frequentare l’Accademia Chigiana a Siena; nel 1980 (come tanti, «un giovane in cerca di lavoro») è a Firenze per suonare la tromba nella neonata Orchestra della Toscana. È rimasto nel capoluogo toscano, via via ricoprendo incarichi presso le più importanti istituzioni musicali: assistente alla Scuola di musica di Fiesole, insegnante al conservatorio Cherubini, assistente musicale al Comunale di Firenze. Qui, oltre a collaborare con maestri quali Bartoletti, Berio, Chung, Gavazzeni, Giulini, Muti, Ozawa, Prêtre, e a instaurare un’intensa e proficua collaborazione con Mehta, dirige concerti, opere e balletti. A lui, nel dicembre scorso, il Comunale ha affidato la direzione di Coppelia. In Italia è ospite, fra l’altro, del Massimo di Palermo, dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma, del Coro filarmonico della Scala; all’estero dirige i Münchner Symphoniker, la Deutsche Kammerphilharmonie Bremen e la Rundfunk Sinfonieorchester-Berlin.
Riluttante sulla sua biografia, parlando della crisi, e delle sue ripercussioni sul mondo musicale, è un fiume in piena. L’attuale fase è drammatica: siamo al punto che neanche le più prestigiose istituzioni musicali italiane riescono a pagare gli stipendi ai propri dipendenti. Figuriamoci a svolgere un programma ricco e adeguato di opere, concerti e balletti.
Le cause di questo profondo disagio sono molteplici. Prima di tutto l’esiguità del Fus (Fondo unico dello spettacolo), la fonte principale delle attività di spettacolo (teatro, musica, balletto, cinema ecc.). Alcuni anni fa ammontava a circa 500 milioni di euro (cifra già allora insufficiente); via via è stato falcidiato e ora è inferiore di circa il 30-40%. In soldoni, l’Italia destina alla cultura circa lo 0,18% del suo Pil: spiccioli più che soldoni. E l’Italia si gloria di far parte del G8.
Secondo Mega, «è miope questa elemosina e il concetto che la anima», cioè che «con la cultura non si mangia». È vero, anzi, che: primo, con la cultura sicuramente si cresce, e che provvedere ai servizi culturali è un compito primario da parte di uno stato moderno; secondo, migliaia di persone «mangiano» proprio grazie alla cultura: in un convegno tenuto in Toscana, è emerso che nella nostra Regione il numero degli impiegati nelle attività culturali (cinema, teatri, musei, escludendo le scuole) è uguale a quello degli addetti all’agricoltura.
Di fronte a tale «drammatico momento, di vera emergenza», le soluzioni non mancherebbero. Per prima cosa bisogna riqualificare il Fus, «altrimenti muore tutto e dopo è impossibile ripartire»; nuovi capitali si potrebbero trovare con la totale defiscalizzazione delle donazioni dei privati per incoraggiarli a investire in cultura, oltre che con una più efficace lotta all’evasione fiscale.
Nel lungo periodo, vanno sicuramente gestite meglio le risorse; questo, però, non sia l’alibi per licenziare persone e mortificare attività ed energie. Migliore gestione delle risorse vuol dire, peraltro, evitare che gli enti minori «scimmiottino» i grandi senza averne le risorse e, perciò, senza riuscire a dare un’offerta musicale valida. I «piccoli» devono proporre altro con la fantasia e l’inventiva che contraddistinguono gli italiani.
Un capitolo a volte dolente sono i costi delle opere liriche. I teatri tedeschi aprono ogni sera perché hanno compagnie stabili di cantanti e perché allestiscono produzioni riproposte per anni.
La nostra organizzazione è diversa: per molto tempo sono stati messi in scena titoli con allestimenti nuovi ogni volta. In prospettiva bisognerebbe guardare a un «sistema misto» che non sia solo riproposizione del repertorio e che non pretenda di offrire sempre nuovi allestimenti, oggettivamente costosi. «Vecchio e nuovo insieme. Lo spettacolo dal vivo significa anche novità, altrimenti un’opera me la guardo in Dvd». Bisogna correre il rischio che un teatro abbia delle perdite, senza per questo volerlo chiudere; per lo stesso motivo dovremmo chiudere le biblioteche che in attivo non sono mai.
E di fronte ai compensi di certi cantanti che anni fa raggiungevano cifre stellari? Mega ammette l’errore del passato, ma rilancia che in questi anni ci sono stati tentativi di calmierare i cachet, e sono in atto forme di riduzione e di autoriduzione degli stessi, con inviti «amichevoli» dei teatri a limitarli. Gli artisti stessi «non sono inconsapevoli di quanto rischiosa e drammatica sia la situazione», e possono ben volentieri comportarsi di conseguenza. Bisogna in questo caso riorganizzare il mercato, perché certi comportamenti virtuosi guadagnino tutte le possibilità per manifestarsi e diffondersi.
Mega sostiene, infine, che nel nostro Paese i biglietti costano ancora troppo. Tutte le istituzioni promuovono iniziative particolari: sconti per giovani e anziani, proiezione in diretta al cinema o in piazza dell’opera rappresentata in teatro. Ottimo. Resta che il godimento di un bene così importante non può essere limitato da un costo di accesso che è già una «forma discriminante troppo forte». A oggi il sistema di produzione musicale si basa su fondi pubblici statali e locali che sono la riprova della sua validità sociale; se il biglietto costa troppo, «allora non è per tutti, allora non è un bene pubblico». C’è troppa gente impossibilitata a fruire di musica che «non è un di più, un lusso, ma deve essere pane quotidiano».
Mega fa entrare in gioco anche l’altro grande problema: la formazione musicale nelle scuole. Parliamoci chiaro, qualche decennio fa, l’ora di musica era una prosecuzione della ricreazione; da questo punto di vista, oggi forse le cose vanno meglio. C’è in ogni caso latitanza del sistema scolastico in generale nella diffusione dell’istruzione musicale, e sono decenni che se ne parla. «Ben venga il nuovo liceo musicale, ma nelle altre scuole la musica dove finirà?».
D’altra parte è vero che ci sono sforzi che istituzioni di vario livello compiono per pensare a un’offerta specifica per il pubblico giovanile; anche i privati lo fanno (valga l’esempio della Scuola di musica di Fiesole). Quanta attenzione si pone in un’opera di supplenza a quel che la scuola dovrebbe assicurare: è già un miracolo. Il risultato è un pubblico di giovani e giovanissimi nelle sale da concerto.
In altri paesi c’è da tempo un’educazione musicale profonda che crea una consapevolezza, un’abitudine alla musica, per cui un tedesco ascolta Il flauto magico, ogni anno, nel teatro della propria città, con la stessa familiarità con cui prende un caro libro per leggerne le pagine più belle.
Da noi corriamo un rischio: tagliamo tutto e vendiamo solo eventi, con un’operazione di mero marketing. Il biglietto per l’evento costa 300 euro, e allora è «obbligatorio» esserci. «Sono davvero perplesso sulla deriva che stiamo prendendo». È fuor di dubbio che un grande musicista è atteso con impazienza, e che è emozionante ascoltare Verdi o Wagner con grandi interpreti. Ma se si preferisce la costruzione dell’evento senza preoccuparsi della maggioranza che resta fuori, in che società siamo? «Questa non è la vita quotidiana di un teatro. La cultura è altro».
Per non parlare della musica contemporanea, sparita dai programmi. È praticamente impossibile ascoltare le proposte di compositori giovani, «non sappiamo che cosa stiano scrivendo, c’è il disinteresse più totale».
Ma non è finita qui. C’è un altro aspetto inquietante: la civiltà dell’immagine. Cantanti, violinisti, pianisti devono essere belli. In Giappone e in Corea è incredibile: a volte la bellezza diventa «il» requisito per affermarsi; sono casi limite, ma ci sono. D’altra parte quella imperante non è la «cultura delle veline»?
Nonostante il quadro poco incoraggiante, Mega riesce a trovare un aspetto positivo: «Le culture dei compagni di viaggio che abbiamo accanto, di coloro che vengono dall’Europa dell’est, dal Maghreb, dall’altra parte del mondo». C’è tanto da scoprire, da imparare. Bisogna aver voglia di conoscere l’altro, la sua cultura. «Promuovere lo scambio e il confronto: ecco la vera sfida del domani, quello che potrà rendere interessante il vivere».
Direttore del Complesso Cameristico Lucano dalla sua fondazione al 1986, tiene numerosi concerti presso le maggiori istituzioni musicali italiane e guadagna significativi riconoscimenti («Premio Casella» – 1985, «Premio Speciale» – IX Concorso di Musica da Camera di Palmi).
Dal 1986 al 1995 collabora col Teatro Comunale di Firenze, dove affianca, in veste di assistente musicale, importanti direttori d’orchestra quali Bartoletti, Berio, Chung, Gavazzeni, Giulini, Muti, Ozawa, Prêtre. Infine, l’incontro e l’intensa decennale collaborazione con Zubin Mehta svolgono un ruolo decisivo nella sua formazione.
Al 1988 risale il suo esordio come direttore al Teatro Comunale di Firenze. Da allora torna regolarmente sul podio dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, per dirigere concerti, opere e balletti. Nel ’92 debutta, su invito di Hans Werner Henze, alla Biennale del Nuovo Teatro Musicale di Monaco, dirigendo, con grande successo, Il Prigioniero di Dallapiccola e due nuove partiture di Maggi e Gervasoni.
È ospite di importanti orchestre ed istituzioni musicali quali la Rundfunk Sinfonieorchester-Berlin, la Deutsche Kammerphilharmonie Bremen, l’Orchestra di Castilla e Leon, i Münchner Symphoniker, l’Orchestra Nazionale di Oporto, oltre a l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il Teatro Massimo di Palermo, il Teatro Comunale di Bologna, il Teatro «Carlo Felice» di Genova, la Ort – Orchestra della Toscana, il Teatro Filarmonico di Verona, i Pomeriggi Musicali di Milano, il Coro Filarmonico della Scala, il Coro Nazionale di Spagna, l’Accademia Filarmonica Romana, il Gruppo musica d’oggi.
Del vasto repertorio lirico-sinfonico propone, accanto ai capolavori dei Maestri dei periodi classico e romantico, opere di più rara esecuzione. Dedica un costante interesse alla musica del nostro tempo, accostandosi tanto ai maggiori rappresentanti del Novecento storico, quanto ai lavori di giovani compositori contemporanei, molti dei quali presentati in prima esecuzione.
È stato «Direttore Associato» presso l’Orchestra Giovanile dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel biennio 1998/99. Tra gli impegni più salienti si ricorda la IX Sinfonia di Beethoven con l’Orchestra e il Coro del Teatro Massimo di Palermo, le musiche di Verdi, Brahms e Wagner con il Coro Filarmonico della Scala, la «Messa di Gloria» di Puccini con l’Orchestra Nazionale e il Coro di Oporto, «Le nozze di Figaro» e «L’Elisir d’amore» a Valladolid e «Il Barbiere di Siviglia» a Firenze con Maggio-Formazione. Inoltre, tre concerti con l’Orchestra e il Coro del Maggio Musicale Fiorentino, affiancati da strumentisti dell’Orchestra della Toscana, nei quali dirige fra l’altro l’«Eroica» di Beethoven, la «Messa da Requiem» di Verdi; quindi «Romeo e Giulietta» di Prokof’ev e «La Sylphide» con Maggio Danza, «Rigoletto» a Valladolid, un concerto con musiche di Mozart al 69° Maggio Musicale Fiorentino e «La Petite Messe Solennelle» di Rossini in occasione della ricorrenza dei 40 anni dall’alluvione di Firenze. Recentemente «Giselle», «Coppélia», «Petrushka» e «L’oiseau de feu» di Stravinskij a Firenze, «Madama Butterfly» al Seoul Arts Center ed una fortunata serie di concerti con l’Orchestra Sinfonica Nazionale del Costa Rica e con l’Orchestra Giovanile Centroamericana.