ALESSIO FOCARDI: Il paratleta che vorrebbe un sindaco… disabile

di Francesco Giannoni

Per un incidente di moto, Alessio Focardi vive sulla sedia a rotelle dall’età di 15 anni e mezzo. Da allora dedica la sua vita alla disabilità, alla sua difesa, alla sua valorizzazione.

Già a 18 anni è vicepresidente dell’Associazione toscana paraplegici. Inizia (e continua tuttora) a incontrare i ragazzi delle scuole, e i loro genitori, per parlare dei rischi legati all’assunzione di droghe e alcool prima della guida.

Agli incontri i ragazzi partecipano numerosi, mostrano interesse e consapevolezza (internet e i social network aiutano); spesso, invece, sono i genitori a mancare e a evidenziare lacune: la loro generazione non ha avuto informazioni sull’incidente stradale, non è preparata sull’argomento.

In tale attività di «educatore», Alessio è stato coinvolto dall’Associazione Gabriele Borgogni onlus che riunisce le famiglie che hanno perduto un loro caro in un incidente stradale. L’associazione ha creato una squadra che unisce Focardi con il personale del 118 (fondamentale nei primi soccorsi dopo l’incidente), con i medici, gli infermieri e gli psicologi del Trauma Center di Careggi, uno dei più importanti della Toscana. Insieme operano per la prevenzione: «Ho sempre lavorato in tal senso – dice – e continuerò a farlo. Penso che la mia esperienza possa dare frutto: i ragazzi vedono in me una persona che ha avuto un incidente dalle gravi conseguenze; ma anche una persona che ha reagito e riesce a vivere una vita fatta di lavoro, affetti, passioni e impegno». La prevenzione è la strada che porta i giovani a commettere meno errori: se una sera si fuma o si beve, quella sera bisogna far guidare un amico, prendere un autobus o magari chiamare un taxi.

Oltre alla prevenzione (e a un po’ di repressione; «non mi entusiasma, ma ci vuole»), deve esserci l’impegno delle amministrazioni: è loro competenza informare, evidenziare i cartelli stradali, fare strade a regola d’arte, con un’asfaltatura ottimale, installare gli autovelox (peraltro inutili, se il navigatore satellitare avverte della loro presenza). La prevenzione è una strada lunga, ma dà risultati: negli ultimi dieci anni, la Spagna ha dimezzato i morti per incidenti stradali.

L’impegno nel sindacatoDate la sua esperienza personale e la conoscenza delle problematiche della disabilità, la Cgil ha ritenuto Alessio la persona idonea a ricoprire la carica di responsabile dell’Ufficio politiche disabilità della Cgil nell’area metropolitana della provincia di Firenze. Focardi si occupa a 360° di politiche della disabilità.

Per l’attuale grave crisi economica, i soldi mancano nelle casse delle amministrazioni locali e nazionali. A rimetterci sono le fasce sociali deboli, fra cui i disabili (il 5% della popolazione, secondo l’Istat). Paradossalmente, a volte le risorse invece ci sono, ma si spendono male; e la rabbia aumenta.

Secondo Focardi, rispetto alla disabilità, siamo tornati indietro di 30 anni: «Ora stiamo cercando di rimanere a galla. E pensare che avevamo ottenuto le risorse per dare alle famiglie con disabili i servizi indispensabili: una buona riabilitazione, l’inserimento nel mondo del lavoro e la frequenza della scuola».

Quest’ultima è un momento fondamentale per la società del futuro. Perché non solo il bambino o il ragazzo disabile conduce una vita il più possibile normale, accanto e insieme ai compagni normodotati, ma proprio questi si arricchiscono: imparano la solidarietà, conoscono le problematiche della disabilità e, una volta diventati operai o medici, avvocati o impiegati, sanno vivere con il collega o l’amico disabile.

Superata la crisi, dovremo pensare a riorganizzare od organizzare meglio i servizi ai disabili (fra cui l’abbattimento delle barriere architettoniche, a volte attuato poco razionalmente). Focardi riconosce che le amministrazioni pubbliche hanno una buona conoscenza delle problematiche, però mancano persone che si dedichino solo alla disabilità; «mi trovo costretto ad augurarmi l’elezione di un sindaco disabile perché le nostre difficoltà vengano evidenziate e magari risolte».

Eppure basterebbe che, com’è accaduto in alcune città, fra cui Roma, ci fosse un delegato del sindaco a occuparsi di disabilità: tutto ciò che la riguarda, verrebbe filtrato da questa figura che darebbe le dritte giuste collegando i vari addetti ai lavori che, altrimenti, spesso vanno per conto loro. Un’amministrazione comunale dovrebbe funzionare come un’unità spinale, dove il personale medico e paramedico, il fisioterapista, lo psicologo, l’assistente sociale si coordinano fra loro.

Pietismo, solidarietà e affettiProgressi ci sono stati nell’atteggiamento della gente verso i disabili. La maggioranza mostra ancora generico pietismo (trasversale fra i vari ceti sociali): vedendo una persona sulla sedia a rotelle o con il bastone bianco, o che gesticola in modo strano, pensa «poverino, chissà come soffre, chissà come fa a vivere»; secondo loro, il disabile può solo stare in casa, deve essere spinto o accompagnato.

Una forte minoranza, invece, è a conoscenza del problema, lo sente e vi partecipa attivamente. E sa che il disabile può andare a scuola, lavorare, fare sport, avere una famiglia.

Per esempio, ecco quella di Alessio: una moglie, Francesca Iori, e due figlie, Sangeeta e Lalita. Avendo sempre desiderato figli, ma non avendoli potuti avere biologicamente, Alessio e Francesca iniziarono le pratiche burocratiche all’interno del Tribunale dei minori, per l’adozione nazionale e internazionale, affrontando test psico-attitudinali, tempi lunghi e attese spasmodiche.

Arrivato finalmente il responso positivo, Alessio non poté affrontare il primo viaggio in India per l’adozione di Sangeeta, ospite dell’orfanotrofio di Calcutta (350-500 bambini, fra cui parecchi disabili), gestito dalle suore di madre Teresa. Loro stesse lo sconsigliarono, per le barriere architettoniche presenti nell’immensa città, ma soprattutto perché negli anni precedenti si erano create situazioni, in conseguenza delle quali l’adozione di un bambino indiano da parte di un disabile straniero per alcuni indiani sarebbe stata inaccettabile. Francesca partì accompagnata da un’amica.

Andò diversamente per la seconda bambina, Lalita. Alessio è potuto partire. Il suo commento non ha bisogno di aggiunte: «Le bambine sono splendide. Ti vien voglia di adottare la terza, la quarta, la quinta… E questa esperienza, forte, dell’orfanotrofio di Calcutta, per accogliere Lalita, è uno dei momenti fondamentali della mia vita, insieme alla partecipazione alle paralimpiadi e al matrimonio con mia moglie».

Da tennista a dirigente sportivoDa sempre Focardi gioca a tennis, e molto bene. Tanto da partecipare alle paralimpiadi di Barcellona del 1992. «Che emozione, la sfilata: quei due giri di campo allo stadio del Montjuic, gremito di 100.000 spettatori, sono un ricordo indelebile. Guarda – mostra il braccio –, mi viene ancora la pelle d’oca».

La gara andò male, e Alessio fu eliminato al primo turno; incontrò l’allora numero 1 del mondo, lo statunitense Randy Snow che poi vinse l’oro nel singolo e nel doppio. In quest’ultima specialità, invece, Focardi si tolse qualche soddisfazione: in coppia con Massimo Porciani (attuale presidente del Comitato italiano paralimpico regionale) superò il primo turno, battendo i belgi, ma perdendo nei quarti di finale contro i canadesi. D’altra parte la squadra azzurra era una delle più giovani: il tennis paralimpico italiano era nato alla fine degli anni ’80 (quello USA, nel 1967); comunque, ricorda, «per noi essere a quelle paralimpiadi fu un onore».

Il tennis paralimpico italiano vide la luce nel parcheggio del Don Carlos a Chiesina Uzzanese; erano 4 giocatori: il pontebuggianese Silvano Biagi, il fiorentino Alessio Focardi, il pistoiese Massimo Porciani e il pratese Enrico Rindi: «Avevamo tre palline e dopo due minuti, una finì in autostrada e una nella piscina del Don Carlos. Ancora un paio di scambi e la piantammo lì».

Terminato l’agonismo, Alessio ha intrapreso la carriera dirigenziale all’interno del Gruppo sportivo unità spinale. Oggi, forte di tutte le esperienze acquisite, è delegato per la Provincia di Firenze del Comitato italiano paralimpico.

Nello sport sono stati fatti passi da gigante per i disabili, che in centinaia di migliaia ne praticano uno. Il risultato storico è stato ottenuto quando la maggior parte delle federazioni dei normodotati ha assorbito i corrispondenti settori disabili. «Dobbiamo lavorare – sostiene Focardi – perché le federazioni non hanno grandi conoscenze della disabilità. Non nego che ci siano problemi. Che in ogni federazione arrivino i disabili porta delle difficoltà: pensiamo solo alle barriere; non solo quelle fisiche e architettoniche, ma anche quelle mentali e culturali, le più difficili da superare».