CESARE MORONI: Da fornaio a fotografo, a editore di se stesso
di Francesco Giannoni
Non se lo vuol sentir dire, ma Cesare Moroni è un vero esempio di self made man. Nato cinquantun anni fa nella semplice realtà di Bagnore di Santa Fiora, sul monte Amiata, padre camionista e madre casalinga, ha frequentato l’Istituto tecnico meccanico, senza terminare gli studi. Ha lavorato come fornaio e metalmeccanico. Con i soldi guadagnati, si comprò la sua prima macchina fotografica: una Pentax usata; nel tempo libero diventava fotografo. È cominciata così la bell’avventura di Cesare; che non è ancora finita.
Da come intensamente usata, la Pentax si è da tempo «autodistrutta», ma il parco macchine di Moroni è diventato quello di un fotografo professionista, capace di coprire ogni esigenza: dalle foto d’archivio (più di 100.000 scatti in diapositiva e digitale) ai servizi naturalistici, da quelli in still life ai reportage sull’arte. Il tutto rinnovandosi continuativamente: «Se non sei tecnologico, in questo lavoro non vai avanti». Ecco quindi 3-4 computer, con programmi sempre aggiornati, per ottimizzare il lavoro, oltre alla sala posa con lampade e sipari di vario tipo.
Cesare, però, trova anche i tempi lunghi necessari per studiare (proprio lui, che non ha finito le superiori): «Devo farlo prima di un lavoro, quale che sia: immagini di un paese o di un itinerario, di animali o di piante. Quando consegnai il primo servizio sui fiori, avevo redatto io le didascalie delle foto; per essere in grado di scriverle, mi ero messo sui libri».
Cesare ha un filo conduttore nella sua attività: la passione, il rispetto e il legame verso gli antichi luoghi dove è nato e dove vive, il monte Amiata e la Maremma. Ama entrambi questi mondi, così diversi fra loro; ma se il primo gli ha voltato le spalle, il secondo l’ha adottato. È sempre in giro per il mare e per il monte, a «scattare» per implementare il suo archivio, fondamentale per divulgare il territorio: «Qui, è tutto così bello che è sempre un’emozione fotografare: i paesaggi, la piazza di Sovana, Pitigliano di notte, ma anche l’incontro con il cinghiale in padule, con il lupo nel bosco o con l’orchidea che spunta dietro un sasso».
Instancabile, Moroni non si è accontentato della fotografia: è diventato editore dei suoi prodotti, che distribuisce personalmente. Ha esordito nel 1997, ma l’idea la coltivava da tempo. Quando proponeva i suoi progetti, gli editori si negavano: «Ma che vuole che ci guadagni con un libro su Montelaterone o sul Palio di Castel del Piano?». Gli editori in genere mirano ai grandi numeri, forse è anche per questo che sono in crisi. A Cesare interessano i numeri piccoli, e il suo mercato cresce del 10% ogni anno: «Se vendo 1000 copie di un titolo, è un grande successo». In catalogo, fra i tanti, Gli Etruschi e le Vie Cave, in quattro lingue, Maremma in fiore, in due, Saturnia e le colline dell’Albegna, presto in quattro lingue, Il Duomo di Sovana. Le foto ovviamente sono le sue. Edita inoltre oggetti «più leggeri» (sempre eleganti e gustosi), come magneti, cartoline e calendari, ma anche un cofanetto che comprende Le miniere dell’Amiata fra mutamento sociale e modernizzazione e Il diario dell’Ing. Vincenzo Spirek (1894-1907), un prodotto forse «invendibile» di questi tempi, ma che è segno del coraggio dell’editore Cesare Moroni e della sua attenzione al territorio. Prossimo all’uscita, un libro su papa Gregorio VII.
Cesare affronta non pochi sacrifici, ma per fortuna lavora in Maremma, da tempo una sorta di marchio (infatti, il nome Maremma compare spesso nei suoi titoli). Qua il turismo non ha grandi numeri (ancora loro), però vede l’arrivo di numerosi tedeschi, olandesi, francesi. L’80-90% delle vendite di Moroni va ai turisti, per la maggior parte a quelli stranieri. Secondo Moroni, il tedesco ha molta cultura, quando apre il libro sa già quello che vuole. L’italiano va a cercare prodotti più a buon mercato.
Cesare ha successo, ma non si sente arrivato: «Tutti i giorni ho voglia di fare il fotografo e l’editore. Sono affascinato dal mio lavoro. Vivo di questo in tutti i sensi, economicamente ed emotivamente. Non penso di dovere arricchirmi: con quello che guadagno, realizzo nuovi progetti. Qua c’è da fare tanto. Sono contento di lavorare per la mia terra».
Questa, grata, lo contraccambia. Lo constatiamo passeggiando con lui per Grosseto, dove vive. Tanti lo salutano, sorridendogli affettuosamente, e scambiando due chiacchiere amichevoli, al ristorante, al caffè, per la strada. Andiamo a visitare la nuovissima sede della Banca della Maremma. Dall’usciere ai dirigenti, cordialità e benevolenza appaiono su tutti i volti: Cesare conosce tutti, tutti saluta e con tutti parla. Alle pareti, nei corridoi, nelle stanze, nelle sale riunioni, sono appese centinaia di sue foto, in vario formato e con vari soggetti, tutte in bianco e nero. L’unica parzialmente a colori è quella di una melagrana, simbolo di fertilità e di ricchezza: i chicchi, e solo quelli, sono rossi. Anche questo lavoro, fatto per una piccola banca locale, è segno del legame di Cesare con il territorio.
Fra i suoi tanti amici, alcuni illustri scrittori; per esempio, Giorgio Batini, scomparso nell’aprile di due anni fa, e Andrea Camilleri.
Giorgio Batini l’ha incontrato quando andò a proporgli le foto per «Toscana Qui», la rivista diretta dal giornalista. «Era fatta molto bene, con grande amore per la Toscana. Il rapporto che avevo con lui mi gratificava. Apprezzava le mie foto. Una volta mi disse: Con una foto tua, devo scrivere molto di meno: c’è già tutto. Quando mi incaricava di un servizio, mi insegnava il sentiero da prendere, la scorciatoia, la curiosità anche minima; conosceva la Toscana a menadito». Per esempio grazie a Batini, Moroni ha conosciuto Poggio Strozzoni di cui, «manca poco, nemmeno a Pitigliano sanno l’esistenza».
Con Camilleri, invece, si è incontrato tramite la scrittrice Antonella Sabatini. L’autore siciliano ha casa al Bagnolo. Ha confidato a Cesare che con lui torna giovane, perché gli ricorda la casa editrice Sellerio degli inizi, una piccola realtà, come quella di Moroni, proprietà del fotografo Enzo Sellerio.
Se ha tanti amici, ha anche qualche nemico, o per lo meno qualche persona con cui Cesare non ama avere contatti. Alcuni si trovano nelle file dei grandi editori che gli telefonano e gli chiedono le foto gratis: «Ci mettiamo il tuo nome, così ti facciamo pubblicità». A uno di loro Cesare ha risposto: «La fotografia è vita; quando gli editori le mancano di rispetto, sono solo dei cialtroni». Papale, papale.
Parte degli aiuti andrà anche ai malati di Aids e di lebbra seguiti da padre Vincenzo che da più di 40 anni vive nel Paese africano. Passa 4 giorni con i primi e gli altri 3 con i secondi. Questa è la sua vita.
Il paesaggio del Burkina Faso è molto povero: si è desertificato dopo che i francesi hanno tagliato tutti i boschi. I burkinabè hanno realizzato lunghe dighe, alte pochi metri, dove raccolgono l’acqua piovana; intorno, piccoli orti: sopravvivono così. Mostrandomi le foto dei paesaggi, delle casupole, della gente, Cesare si emoziona: «Noi ci affanniamo dietro ai soldi, e laggiù campano con un euro al giorno. Non hanno niente, e noi siamo capaci di mandargli gli scarti, per esempio medicinali scaduti: Tanto vanno in Africa».
Pur vivendo in uno dei paesi più poveri del mondo, i burkinabè lo amano. Il loro nome significa «uomo libero»; lo sono davvero, anche se privi di tutto; e ci insegnano la voglia di vivere, i bambini specialmente: «All’inizio sono intimiditi; poi ti vengono incontro, e ti prendono per mano; ti chiedono una caramella, ma tanti una penna per scrivere».
Vedendoli in foto, Virginia, la bambina che Cesare ha avuto da Marzia, ha commentato: «Sono poverissimi, ma possiedono quel che noi non abbiamo: il sorriso».