MIRCO MENCACCI: Il mago che sa donare ai film il colore dei suoni
di Graziella Teta
Quanti suoni ha il silenzio? Per rispondere bisognerebbe vedere «Lo sguardo di Michelangelo», cortometraggio del 2004 del grande Michelangelo Antonioni. Un unico personaggio (il regista che interpreta se stesso), davanti alla restaurata statua del Mosè, nella basilica romana di San Pietro in Vincoli. Non una parola per 16 minuti filati. In realtà «quel» silenzio ha ben 64 suoni diversi. Parola di Mirco Mencacci, che ha curato il sonoro dell’opera cinematografica. Di professione è sound designer, tra i più importanti e richiesti in Italia, conosciuto anche all’estero. La riduttiva traduzione in italiano recita: «montatore del suono» per il cinema. Ma lui è molto di più: è stilista, architetto, costruttore di suoni. Un mondo specialissimo, in cui è avvolto da tutta la vita, grazie ad un talento uditivo straordinario, affinato fin dall’età di quattro anni quando perse la vista a causa di un incidente. All’epoca la legge non gli consentiva di frequentare la scuola pubblica: fu costretto a studiare in collegio, a Genova, in un istituto speciale per non vedenti. La sua vita da bambino ha ispirato anche un film («Rosso come il cielo» di Cristiano Bortone, 2004): «È portata sullo schermo la storia di una lotta tenace, una sfida eccezionale, dal valore profondamente simbolico», ne scriveva Luca Possati su L’Osservatore Romano.
La sfida di Mirco è stata affrontare la vita senza i colori. «I ricordi che ho dei colori non sono immagini confida ma piuttosto li associo alla materia: il bianco, per esempio, per me è liscio. E per comprendere una persona mi basta ascoltare con attenzione la sua voce che, a differenza dell’immagine, non tradisce: per me la voce è lo specchio dell’anima».
Mirco ha vinto la sua sfida sia nel privato è papà di una bimba di un anno e nella professione. Ha lavorato con grandi registi, come Ferzan Ozpetek (Le fate ignoranti), Marco Tullio Giordana (La meglio gioventù) ed è stato supervisore del montaggio sonoro di Notte prima degli esami di Fausto Brizzi; e ancora, Promised Land, Saimir, Sotto la stessa luna, Tu devi essere il lupo, Puccini e la fanciulla (firmato dal regista pisano Paolo Benvenuti, 2008). È lunga la lista dei film di cui ha curato il suono. Mirco dapprima ha diretto i suoi studi di registrazione in Toscana, poi ha vissuto per anni a Roma lavorando dal ’96 per il cinema e la tv con società di post-produzione audio-video. Appassionato di musica, ha fondato anche un’etichetta discografica, la Samworld, famosa soprattutto nel mondo del jazz, con studio di registrazione a Lari.
È qui, in questo delizioso borgo storico delle colline pisane, orgoglioso del suo bel Castello dei Vicari, cuore della vita culturale cittadina, che Mirco è tornato a vivere da oltre un anno. Lo troviamo al lavoro nel suo studio, dominato da un grande tavolo-regia con mille tasti, cursori e groviglio di misteriose tecnologie.
Cominciamo dall’inizio, da Mirco bambino e dalla sua famiglia. «Da piccolo racconta ero piuttosto meditabondo, amavo giocare da solo. Mia sorella maggiore Resi è biologa, mio fratello minore Ivan, architetto urbanista, con la passione per la politica, è stato per dieci anni sindaco di Lari. Mamma Caterina, di solida cultura contadina, instancabile lavoratrice. Papà Bruno, uomo umile e di carattere riservato, camionista per una vita ma di grande cultura e grande studioso. Con i suoi fratelli, Emilio ed Enrico, formavano un trio imbattibile in quanto a inventiva: sapevano costruire di tutto, spinti dalla necessità certo, ma anche da un vero talento di inventori. Quando gli zii sono scomparsi, ho provato lo stesso dolore di quando è mancato mio padre».
È così che cresce Mirco: tra i viaggi sul camion accanto al padre e le giornate nel garage-laboratorio, dove le cose nascevano e si trasformavano grazie a mani abili e laboriose. Mobili, attrezzi, perfino scarpe e paralumi (che in una «vita» precedente erano lattine di olio di semi). Bruno e fratelli sapevano costruire di tutto, non buttavano via niente, perché tutto poteva tornare utile. Era lo stile parsimonioso e autarchico dei tempi di allora. «Trascorrevo ore con mio padre ad immaginare, ideare, inventare come creare e trasformare oggetti: un allenamento continuo, una vera ginnastica mentale. Lui mi ha insegnato molto: soprattutto a vivere con la convinzione che tutto è possibile, e che la soluzione si trova a ben cercare e ad impegnarsi», dice Mirco. Che ha ben seguito i saggi consigli paterni, soprattutto quando ha dovuto affrontare la dura prova della cecità e del percorso nel collegio genovese dai 7 ai 12 anni. Poi il ritorno in Toscana, dove ha frequentato le scuole medie e il liceo scientifico.
Ammette: «Da adolescente studiare mi annoiava parecchio, preferivo andare all’università e seguire corsi di mio interesse: anatomia, lettere, veterinaria, scienze politiche». Praticamente si è «costruito» una cultura universitaria da outsider. Ma come è diventato un grande tecnico del suono? «Quando avevo tre anni mi capitò tra le mani il registratore a bobine di un mio amico: mi affascinava quello strumento da cui uscivano le voci. Quando ne ho avuto uno mio registravo proprio di tutto, tutti i suoni che mi circondavano. Crescendo il dilemma era seguire la passione per la musica ed entrare in conservatorio (suonavo chitarra e batteria) o diventare tecnico del suono. Stare accanto ad un professore della Scuola di Cinema, di via della Vasca Navale a Roma, durante una seduta di registrazione, mi fece capire che forse sarebbe stato meglio proseguire gli studi come autodidatta».
Così quel gioco di bambino (tagliare e riattaccare il nastro del registratore per creare storie fatte di suoni e rumori) è diventato la professione di Mirco. Ma che cosa fa esattamente un sound designer? «Leggo la sceneggiatura di un film e ne creo il progetto sonoro: significa ideare ciò che vogliamo raccontare attraverso il suono del film, fare i sopralluoghi, definire dove sistemare i microfoni, seguire le riprese sul set, poi seguire il montaggio del sonoro e il mixaggio». Chiamarlo fonico è certo riduttivo. «Direi di sì, è più un ruolo di supervisione, che sta diventando sempre più importante anche in Italia, dove per tradizione si doppiavano i film in studio, mentre ora prevale la presa diretta». E Mencacci rivela che ha in serbo una vera innovazione nel settore: «Sto lavorando ad un nuovo sistema di registrazione spiega che offra una sensazione di immersività: vorrei che lo spettatore avesse la sensazione di essere all’interno della scena del film».
Che Mirco sia sempre alla ricerca di innovazione se n’era accorto anche Paolo Benvenuti: «Quando mi parlò del progetto Puccini e la fanciulla mi disse: questa sceneggiatura l’ho scritta per te, così puoi sperimentare di più», confida. Altri progetti recenti che hanno valorizzato il suo ruolo sono stati due «corti», presentati al Festival di Venezia: «Uno era ambientato nel mondo delle cave di marmo, l’altro è stato ancora più sfidante: registrare dentro la camera iperbarica dei sommozzatori che lavorano sulle piattaforme petrolifere».
L’anno scorso nel suo studio di Lari è stato registrato un cd audio particolare: contiene una cinquantina di rumori prodotti dai cani (per esempio, un colpo di tosse, scrollare il capo, muovere la coda), per aiutare i non vedenti a capire se il proprio «assistente» a quattro zampe ha un malessere. I cani «recitanti» sono della Scuola nazionale cani guida per ciechi di Scandicci (struttura della Regione Toscana), la voce narrante è dell’attore Alessandro Benvenuti, amico di Mirco, l’idea è di Carlo Ciceroni veterinario fiorentino. L’audiolibro (30 minuti, tradotto anche in inglese) è il primo strumento del genere al mondo, presentato in Canada al congresso della Federazione internazione scuole cani guida.
E, oltre il professionista, c’è Mirco papà della piccola Safi: significa «puro» in lingua swahili, nome scelto tra 5.000 con la compagna Cecilia. «Appena è nata dice lui ho registrato le sue prime cinque ore di vita. È vivace, curiosa di tutto ciò che la circonda. Parla una lingua misteriosa, ricca di mille suoni. Sto imparando a conoscerla e lei me. È una scoperta reciproca continua». Una nuova, meravigliosa sfida per Mirco Mencacci.
Per avvicinare il pubblico alla conoscenza del mondo del suono, favorire la ricerca e la sperimentazione, promuovere le buone pratiche anti-inquinamento acustico, Mirco Mencacci ha messo a punto un progetto straordinario. «Una sorta di parco tematico del suono e delle energie rinnovabili immerso nel verde. Il mio progetto spiega cui lavoro da dieci anni, è alle battute finali. Ho il supporto di scienziati di sei Paesi europei ed è avviata la collaborazione con l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pontedera.
Il parco avrà una parte ludica sull’educazione al suono e all’ascolto, percorsi dinamici e interattivi, un museo della voce, il tutto abbinato ad un settore dedicato alla ricerca scientifica e tecnologica (per esempio, nell’ambito della sperimentazione avanzata in tema di produzione di energia derivante dalle vibrazioni sonore). Sarà l’equivalente del Cern nel campo del suono, a vocazione internazionale». Il progetto è definito: resta da vedere se si riuscirà a realizzarlo in Italia, in Toscana preferirebbe l’ideatore Mencacci, oppure all’estero dove gli sono giunte manifestazioni di interesse.