SAMUELE NINCI: Il Billy Elliot dell’Impruneta
di Francesco Giannoni
E’ nato a Fiesole, ha studiato a Firenze e a Milano, vive a Bordeaux dove danza nelle file del Ballet de l’Opéra Nationale
Parla a voce bassa, e risponde quasi a monosillabi; è timido. Mi chiedo, e gli chiedo, come faccia a esibirsi su un palcoscenico, davanti a 2000 persone pronte a giudicarlo, in un’arte che esige la perfezione. «Non lo so; sinceramente, non ho idea. Ma sul palco mi trasformo e la timidezza scompare. All’inizio c’è tensione, ma la volontà di riuscire e di esprimere tutto quello che ho e che posso, e la consapevolezza di avere studiato e di essermi preparato per mesi, mi rendono sicuro».
Quindi, non è una frase da film, anzi «è vero, verissimo» quello che un altro danzatore timido, Billy Elliot, nella pellicola omonima, sussurra alla compassata commissione della Royal Ballet School di Londra: «Quando ballo, è come se sparissi. Sento che tutto cambia, come se dentro avessi un fuoco. Quando ballo, sono elettricità».
La passione per la danza Samuèl (come lo chiamano i francesi) l’ha scoperta da bambino, a 9-10 anni, frequentando per divertimento corsi di funky e hip hop. Ha cominciato a capire che poteva essere la «sua» strada, quando gli insegnanti, vedendolo ballare e notando il suo entusiasmo, lo spronavano, gli dicevano che aveva talento e possibilità.
A 12 anni si è iscritto alla Toscana Ballet School, a 14 all’Opus Ballet. Due anni più tardi, il grande salto: dall’Impruneta a Milano, per cercare di entrare alla Scala, insieme a tanti ragazzi di tutta Italia. Scelto dopo la prima audizione, è stato sottoposto, come da prassi, allo scrupoloso test medico che deve escludere problemi posturali, visivi, uditivi. Quindi un mese di prova, cui è seguito un altro esame. Lo ha superato, ed è entrato nella scuola. Alla Scala, la selezione è durissima: al termine di ogni corso (otto in tutto), c’è un esame di sbarramento e, soprattutto nei primi anni, «fanno strage».
Samuele è orgoglioso della sua esperienza milanese: «il mio primo anno (ho iniziato dal sesto della scuola) è stato duro, anche per i ritmi: la mattina, danza; la sera, studio. Il livello rispetto a Firenze era più alto; mi sono dovuto velocemente mettere in pari per superare l’esame finale. Avevo paura, ma ero determinato, e ho fatto grandi progressi in poco tempo».
L’ambiente inoltre è «abbastanza pesante»: soprattutto il nuovo arrivato si sente puntati addosso gli occhi di tutti, che lo giudicano e lo squadrano dalla testa ai piedi. Però, negli ultimi tempi, Samuele era riuscito a trovare sintonia con alcuni ragazzi e a stringere amicizie.
Con la Scala ha compiuto diverse trasferte in giro per l’Italia, esibendosi anche in Don Quixotte. Diplomatosi nel maggio 2010, sperava di restare a Milano, ma la crisi si è messa di mezzo, sono diminuiti i finanziamenti e Samuele è rimasto fuori.
Ha cominciato a girare per l’Europa. Dopo l’ennesima audizione, al Cork City Ballet nel dicembre 2010, è stato chiamato a Bordeaux come danzatore supplementare per Romeo e Giulietta. Si era infortunato il ballerino interprete di uno dei «saltimbanchi»; in un giorno Samuele ha dovuto imparare la parte per sostituire il collega. Con successo, perché Charles Jude, il direttore, lo ha notato, e ad aprile dell’anno successivo lo ha richiamato per un’audizione. Da quel giorno Samuele è nel corpo di ballo della città aquitana.
È curioso: leggendo i nomi dei ballerini nelle compagnie, non solo in Italia ma in tutto il mondo, si notano molti nomi stranieri; più che una fuga di cervelli, sembra uno scambio di cervelli e di gambe. Secondo Samuele, il motivo è semplice: i posti sono pochi dappertutto; i ballerini provano ovunque e rimangono dove vengono apprezzati; «comunque è vero, siamo mischiatissimi: a Bordeaux, oltre ai francesi, ci sono italiani, russi, inglesi, giapponesi e spagnoli».
In Francia Samuele ha avuto belle soddisfazioni fra cui la partecipazione a una tournée in Cina, dove ha ballato in Schiaccianoci.
Si è esibito anche in Giselle e in un balletto dell’argentino Mauricio Wainrot. Samuele ama sia le coreografie classiche che quelle contemporanee. A parte i gusti personali, gli chiedo se il balletto moderno sia più «facile» di quello classico. In entrambi ci vuole il medesimo rigore nello studio e nell’esibizione. La differenza è che «in una coreografia moderna si può camuffare l’eventuale errore, mentre in quella classica anche il minimo sbaglio è subito riconoscibile».
A tal proposito gli racconto che una volta, al Comunale di Firenze, ho assistito alla scivolata di un mostro sacro come Nureyev; Samuele sdrammatizza: «L’incidente capita anche ai più grandi; non bisogna darci troppo peso».
Oltre a disciplina, sacrificio e fatica, ci sono la gioia e la passione, e all’orizzonte, a ripagare tutto, l’applauso del pubblico; Samuele però gli antepone la consapevolezza di aver ballato bene.
La chiarezza d’idee, e la severità, del giovanissimo ballerino si accompagnano alla coscienza che prima di potersi considerare arrivato ha «bisogno ancora di tanto studio e di tanto palcoscenico» (che bello di questi tempi, in cui per sentirsi chissà chi, basta una comparsata televisiva o un bel paio di chiappe), e alla cognizione dei suoi limiti: alla domanda se è cambiato il modo di ballare da Nureyev a Bolle, mi risponde, con candida franchezza, «per favore, passiamo alla prossima domanda; questa per me è troppo grande».
Però, ci ripensa e si butta: «Una differenza la posso dire: ora si richiede una fisicità molto evidente; prima si vedevano anche ballerini bassi di statura, magari bruttini; adesso fra i requisiti di partenza c’è la presenza bella e atletica». Certo non accade che un aspirante allievo di una scuola venga scartato a priori perché brutto, «ma deve essere un vero talento per compensare il limite di partenza». Sembra quasi che essere ballerino possa diventare un interessante biglietto da visita: faccio il ballerino perché (o quindi) sono bello.
Alla classica domanda sul ruolo dei suoi sogni, si chiude in un lungo silenzio; esita a rispondere; poi mormora «non saprei», e anche ora chiede la domanda successiva. Non c’è. Deluso, dopo un’altra pausa, si lancia: «Schiaccianoci». L’intervista è finita. E, per lui, è la liberazione.
Sin dall’inizio dei suoi studi coreutici, si è arricchito, partecipando a stages e workshops guidati da docenti quali: Giampiero Galeotti, Davide Bombana, Victor Litvinov, Paola Vismara, Andrej Garbuz e John Clifford, ma l’elenco, nel suo curriculum, è ancora più lungo.
Ha preso parte a tutte le performances e tournées della scuola della Scala, a Milano e in Italia. Fra queste Luminare minus di Emanuela Tagliavia, Ipnos di Davide Bombana, Raymonda di Yuri Grigorovich e Who Cares? di George Balanchine. Ha ballato anche nel Lago dei Cigni, con la coreografia di Alan Foley e Yuri Demakov (da Petipa e Ivanov), e in due Don Quixotte, uno con la coreografia di Nureyev, e l’altro con quella di Vladimir Derevianko.