Il film: “Belle”, le favole ai tempi dei social network

Belle si apre proprio su uno di questi, il social network U che ospita buona parte della popolazione mondiale, rappresentata da fantasiosi e variopinti avatar. La protagonista, Suzu Naito, è una liceale timida e schiva, traumatizzata dalla morte della madre e poco incline alle relazioni sociali; su U, però, lei è Belle, la cantante più ascoltata e apprezzata del momento, superstar che incanta le masse con la sua voce angelica. Sul social si aggira anche il Drago, un avatar mostruoso e violento: Belle pensa di essere capace di placarne la furia, e tenta di contattarlo.

Il modello evidente di Hosoda è La bella e la bestia, la celebre fiaba di Jean Marie Leprince de Beaumont, calata in un contesto che è molto simile, da un lato, al Ready Player One di Steve Spielberg (e, prima ancora, al romanzo originale di Ernest Cline), e dall’altro alla fantasia surreale e senza limiti di Paprika – Sognando un sogno di Satoshi Kon, vero nume tutelare del film.

Il mondo rappresentato da Hosoda si muove su due binari, compenentranti e paralleli a partire dal titolo: Belle è il nome della bella cantante modellata dall’animatore Disney Jin Kim proprio sulle inarrivabili principesse dello studio di Burbank, ma è anche bell, “campana”, traduzione letterale del nome della protagonista Suzu, che pure crede di non essere tutto quello che il suo alter ego invece è. Le due giovani donne, una espansiva l’altra introversa, una splendida l’altra anonima, una colma di gioia, speranza e creatività, l’altra appiattita su un dolore insuperabile, sono in realtà la stessa persona in crescita, nel pieno della difficile costruzione di un’identità propria.

Hosoda non condanna aprioristicamente il mondo virtuale, ma lo inquadra nell’esperienza e nella sensibilità delle nuove generazioni, vedendo cioè in esso uno strumento di relazione, di contatto, di espressione, che per quanto rischi di diventare strumento di fuga patologica, è in sé una estensione del mondo reale, una sua propaggine piuttosto che un suo sostituto. Belle scava nelle dinamiche di (auto)liberazione che l’anonimato online porta con sé, vedendone i lati più positivi e creativi nella protagonista, ma anche quelli più crudeli, come ben evidenzia il lungo e straziante flashback sulla morte della madre con relativi commenti dei vari “troll”.

Pubblico e privato, intimo e collettivo, perfino virtuale e corporale (la tecnologia alla base di U si chiama body sharing) si sovrappongono in un unicum inscindibile che riflette una crescente complessità di relazioni, e si innesta sul racconto giallo del mistero dell’identità del Drago, che si risolve in maniera inaspettata e del tutto differente dalla fiaba originale. Non l’amore in senso romantico, ma quello in senso pedagogico è al centro di Belle, anche e soprattutto nella formazione di Suzu/Belle, che arriverà a riscoprire se stessa in rapporto alla madre, amata/rimpianta/odiata figura di ultima identificazione.

Con una straordinaria presenza visiva e una bella colonna sonora che la fa sempre da padrona, Belle racconta problemi antichi in un mo(n)do nuovo, con una narrazione coinvolgente e commovente e una sapiente costruzione dei personaggi. Due mondi paralleli, raccontati in un’unica, appassionante storia.

 

BELLE di Mamoru Hosoda. Con (voci) Kaho Nakamura, Takeru Satoh, Lilas Ikuta, Ryō Narita. Giappone, 2021. Animazione.