Il film: «Il Male non esiste», magnifica parabola iraniana sulla pena di morte

L’argomento intorno al quale sono imbastite le trame dei quattro episodi di cui si compone il film è la pena di morte che non è affrontata su un piano sociologico, ma etico: i personaggi (e di conseguenza gli spettatori) sono chiamati a operare delle scelte in questo senso, oppure accettare di convivere con la banalità del Male.

In senso provocatorio va letto il titolo del film, precisato ulteriormente dal titolo della prima storia: Il Diavolo non esiste. Viene da pensare a quando Gesù afferma che sono le cose che «escono dall’uomo a contaminarlo», più che ciò che sta fuori di lui. Il regista ci mostra uno spaccato di vita borghese, alla maniera occidentale: siamo alla vigilia di una festa di matrimonio a cui sono invitati i protagonisti, due genitori con la loro bambina. Si fa la spesa, si discute in auto e per telefono, si ritira il vestito dalla sarta, si mangia la pizza: il racconto procede senza farci capire dove vuole andare a parare. C’era stata, sì, una certa inquietudine nella routine di lui che va e viene dal lavoro, con gli stessi gesti, la stessa strada, ma è proprio quando ci sembra che il film giri a vuoto che arriva l’ultima inquadratura dell’episodio a lasciarci sconcertati. Qui si raggiungono le vette dell’arte cinematografica: un linguaggio fatto esclusivamente di immagini, suoni e rumori, strutturato in funzione di un’idea forte, senza bisogno di alcuna spiegazione dialogata o di un commento parlato. Solo a quel punto si comprende il senso della prima scena, quando vediamo l’uomo caricare sul bagagliaio dell’auto un grosso pacco molle che ricorda vagamente un cadavere. Poco dopo scopriamo che si tratta di riso, ottenuto come prebenda aziendale; ma solo alla fine capiamo che quel riso era davvero un cadavere.

Nelle altre storie troviamo un soldato che ricorre a un modo estremo per fare obiezione di coscienza rispetto all’ordine di azionare il funzionamento di un patibolo per dissidenti politici e poi un altro soldato che invece, grazie alla disponibilità a svolgere quello stesso genere di servizio, ottiene una licenza che gli permette di stare qualche giorno con la fidanzata. Ma un conto è togliere lo sgabello da sotto i piedi di un impiccato perché nemico della nazione; un conto è riconoscere in colui che si è contribuito a uccidere un essere umano, qualcuno che magari è stato un maestro di vita, un innocente. E infine il testamento morale di chi sa che gli resta poco da vivere e ha un peso grosso di cui sgravarsi; ma anche il desiderio per chi resta affinché impari a comprendere le difficili scelte altrui. E anche – come insegna la Volpe al Piccolo Principe – cosa significa addomesticarsi.

Sono quattro variazioni su un tema, raccontate con nitore e rispetto di chi crede ancora nell’uomo e nei valori umani e umanistici. Non stupisce, a un dato punto, ascoltare la nostra Milva che canta Bella ciao, non nella versione partigiana, ma in quella operaia, di chi si ribella alle regole di un padrone senza umanità. In questo film, proibito in patria e girato con alcuni escamotages per aggirare la censura, l’accusa contro il regime è chiara, ma è altrettanto chiaro l’invito a combattere il Male dentro noi stessi.

 

Il Male non esiste

Regia e sceneggiatura: Mohammad Rasoulof; interpreti: Baran Rasoulof, Mohammad Seddighimehr, Zilha Shahi; fotografia (colore): Ashkan Ashkani; formato: 2,35:1; origine: Iran 2020; durata: 151min.