Il film: “Re Granchio”, racconti attorno al fuoco tra Italia e Sudamerica
Se Belva nera e Il solengo erano però documentari, Re Granchio è il primo film di fiction, che usa l’immaginazione per trovare il finale a una storia lasciata monca nelle canzoni e nei racconti orali.
Il film si apre su un gruppo di vecchi cacciatori in una baita che si raccontano storie da focolare, in particolare quella di Luciano, l’ubriacone di un villaggio della Tuscia che, innamorato della pastorella Emma, arrivò per lei a sfidare il principe. Di Luciano si perdono le tracce, finché non lo ritroviamo nella Terra del Fuoco, vestito da prete, sulle tracce del perduto tesoro del Re di Spagna.
Il film di Rigo de Righi e Zoppis trova la propria documentazione storica nei canti e nei racconti popolari, ne segue le simmetrie e le assonanze, indaga melodie identiche con parole diverse ai quattro angoli del mondo, e il modo in cui le storie si interrompano, si riallaccino e si compensino a continenti di distanza. I due capitoli del film segnano non solo la distinzione tra il plausibile e il surreale, ma anche tra il dramma storico-sentimentale e il western fantastico, tra l’ambientazione familiare della Tuscia e quella maestosa ed esotica della Terra del Fuoco.
Il primo capitolo della storia rimanda un po’ all’affetto di Ermanno Olmi per la povera vita delle campagne e la rabbia vibrante di Pier Paolo Pasolini per le diseguaglianze sociali, e segue la storia del cupo Luciano, interpretato da un Gabriele Silli – non attore professionista, come tutti gli altri membri del cast – intensissimo e affascinante, nella sua storia d’amore con la Emma di Maria Alexandra Lungu, una tragedia annunciata che si svolge sulle note dei canti popolari e della Tosca splendidamenteriadattata dall’oste di Ercole Colnago. Nello svolgersi del racconto, il film si muove ancora nel regno del plausibile, per quanto romanzato, storie di un passato non troppo remoto che si affida alla voce e alla memoria per essere tramandato.
Il secondo capitolo si apre invece su una cerca all’oro in puro stile Sergio Leone, con Luciano tallonato da un gruppo di pirati desiderosi quanto lui di mettere le mani sul tesoro. Se Werner Herzog è una presenza imponente in questa seconda parte, le atmosfere rimandano però al realismo magico di Gabriel García Márquez, incarnato dall’improbabile guida che conosce il nascondiglio del tesoro: un granchio, di cui narrano anche le leggende locali.
Qui l’evoluzione del protagonista prende una piega inaspettata: da anarchico allergico all’autorità che cerca di vivere a modo proprio, Luciano sembra essersi piegato al sistema, e di volere il tesoro per diventare re e surclassare il prepotente principe a casa. L’irrompere del fantastico, però, cambia cifra stilistica al racconto, e il tesoro da lui cercato, rivelato in un finale poetico e vagamente ciclico, è l’unico che potrebbe interessare un anti-eroe maledetto dagli uomini e dalla sorte come lui.
Col passo lento e il fascino dei racconti attorno al fuoco, Re Granchio racconta una storia che svela la natura del raccontare storie in sé, trova parallelismi tra tradizioni lontanissime, innesta un giochi di echi e di specchi che riporta a una dimensione universale del narrare, in una avventura piacevolmente surreale e poetica, il tutto diretto con grande sensibilità e delicatezza da due registi che mettono sempre e comunque la narrazione al centro del loro lavoro.
RE GRANCHIO di Alessio Rigo de Righi, Matteo Zoppis. Con Gabriele Silli, Maria Alexandra Lungu, Dario Levy, Enzo Cucchi. Italia, Argentina, Francia, 2021. Fantastico.