Il film: “Ariaferma”, l’eterna ricerca del senso di comunità

Nel carcere di Mortana è la vigilia della grande mobilitazione. Gli ospiti della decrepita struttura ottocentesca saranno destinati ad altri istituti penitenziari. Un contrattempo costringe una dozzina di detenuti, ed un pugno di guardie carcerarie, a rimandare il trasferimento “solo di qualche giorno”.

Senza un direttore, senza il personale della mensa, senza la possibilità di ricevere le visite di familiari e parenti, inizierà una nuova insolita convivenza. Ariaferma, la terza regia di Leonardo Di Costanzo dopo L’intervallo e L’intrusa (presentata fuori concorso a Venezia 2021), è la narrazione per immagini di una vicenda immersa in un’atmosfera rarefatta, sospesa nello spazio e nel tempo. Evitando gli stereotipi di genere (lenzuola annodate alle inferriate, detenuti inclini alla violenza gratuita), la storia si scioglie in un presente narrativo che, per la totale assenza della moderna tecnologia, potrebbe collocarsi ai nostri giorni così come nella seconda metà del secolo scorso. L’epico scontro tra guardie e ladri è affidato dal regista alle maschere di due interpreti giganteschi.

Toni Servillo è Gaetano Gargiulo, il capo della sicurezza, severo, duro, ma allo stesso tempo capace di saper negoziare le legittime richieste dei detenuti. Silvio Orlando è Carmine La Gioia, un boss camorristico, figura esattamente speculare alla precedente. Apprezzati per le tante pellicole interpretate con grande slancio (Servillo è ancora in sala con il funambolico Eduardo Scarpetta di Qui rido io), in Ariaferma si affidano ad un minimalismo recitativo, segnato da gesti lenti e cadenzati, da sguardi fissi e immobili. I loro personaggi, nell’eterna disputa tra buoni e cattivi, si accorgono ben presto di essere dalla stessa parte, perché entrambi reclusi, abbandonati dalle istituzioni, in simbiosi con quella struttura fatiscente e sporca, segnata dalle inferriate arrugginite, dal rumore metallico dei chiavistelli azionati dai secondini, ma anche incredibilmente capace di fornire cibo, attenzione, calore umano. Gargiulo e La Gioia sono aiutati nel reciproco avvicinamento dall’ingresso in scena di Fantaccini (Pietro Giuliano), uno sfortunato giovane delinquente, che entrambi desiderano prendere sotto la propria ala protettiva.

In Ariaferma, Di Costanzo è abile nell’ibridare la sua vena documentaristica sciogliendola all’interno di un film di finzione, nel far convivere silenzi assordanti ad imprevedibili commenti sonori (meraviglioso l’inserto finale di Clapping Music di Steve Reich), nel far recitare attori di grande esperienza con interpreti non professionisti. La mano del regista è ferma, sicura, ed è visibile come Di Costanzo si sia preparato alla realizzazione del film visitando molte carceri del nostro Paese. La prolungata permanenza nella struttura da parte dei suoi inquilini rimane temporalmente indefinita, ma Ariaferma non giudica, semplicemente mostra l’attesa di ciò che non accade. Fino alla sequenza cardine dell’ultima cena collettiva.

Ogni riferimento evangelico non è casuale poiché il regista mette in scena quanto di più mistico si possa immaginare. Tutto intorno si fa buio (la cena sarà preceduta da un blackout) e Gargiulo comprende che perseverare in un atteggiamento diffidente non gli garantirà il controllo della situazione. Non gli rimane che abbandonare temporaneamente il ruolo che la vita gli ha riservato, riunire tutti nella torre centrale del panottico, stringere gli uni accanto agli altri, e sperimentare la creazione di una comunità nuova.

 

ARIAFERMA di Leonardo di Costanzo. Con Toni Servillo, Silvio Orlando, Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano, Roberto De Francesco.

Produzione: Tempesta, Rai Cinema. Distribuzione: Vision Distribution. Italia, Svizzera; 2021.

Drammatico, Colore.

Durata 1h 57 min.