Il film: “Josep”, quando il “cartone” diventa civile

Nato a Barcellona nel 1910, esule nel 1939 in Francia dove viene recluso in sette diversi campi di concentramento (che non avrebbero sfigurato con i futuri lager tedeschi; ma sarà imprigionato anche a Dachau…), dopo varie peripezie approda prima in Messico, dove diventa amico e amante di Frida Kahlo, poi a New York dove muore, quasi cieco, nel 1995.

Dell’esperienza di reclusione francese sono testimonianza i disegni satirici che riuscì a tracciare, poi pubblicati in volume. Intorno alla figura di Bartolí ruota il film d’animazione Josep, sorprendente spaccato di una storia dimenticata sia personale sia collettiva. È davvero apprezzabile che in Francia si cominci a fare i conti con imbarazzanti pagine di storia patria, segnate paradossalmente dalla famosa triade di valori rivoluzionari che anche in questo film vediamo ripetuti su un manifesto della spietata gendarmerie addetta al controllo dei profughi spagnoli.

La storia di Josep viene raccontata da uno di questi agenti, Martin, ormai sul letto di morte, al nipote Valentin, tipico adolescente disinteressato a tutto ma incuriosito da certi disegni che il nonno conserva. È Valentin il vero protagonista, colui che dalle memorie di Martin trae l’insegnamento del bisogno di fare i conti con il proprio passato, personale e collettivo, quando scopre che il nonno non è stato un coraggioso partigiano ma una guardia che ha dovuto obbedire agli orini dei suoi superiori che lo incitavano alla violenza nei confronti degli “sporchi comunisti repubblicani” o dei nazisti che lo obbligavano a favorire la deportazione degli ebrei. Ma in tutto questo – e qui sta la lezione maggiore – era comunque possibile operare dei piccoli gesti di bene, di altruismo, di boicottaggio. Infatti anche Martin, che ha ascoltato durante la prigionia i racconti di Bartolí e ha imparato ad ammirarne l’arte, si può considerare un eroe. Grazie a qualche stratagemma è riuscito a salvare la vita a Josep permettendogli così di pubblicare, in Messico, i disegni con cui aveva saputo trasfigurare gli orrori cui aveva assistito.

Anche Bartolí fa i conti con il proprio passato, in una guerra civile che ha visto scontrarsi ideologicamente comunisti e anarchici e dove entrambi hanno esercitato violenza gratuita su preti e suore colpevoli solo di appartenere a quella chiesa che, nelle sfere più alte, appoggiava il franchismo. Josep lo ammette: «Prima di tutto questo non credevo in Dio. Ma dopo… Se l’anima esiste è una bella idea». E mentre la macchina da presa si innalza verso un cielo ricco di nuvole, accompagnata da un oratorio di Hendel, aggiunge: «Il comunismo, l’anarchia, la repubblica: se queste belle idee non incontrano una bella persona muoiono». Dette da Josep nel flashback, queste parole terminano sulla bocca di Martin, che nei ricordi si confonde con l’amico prigioniero, anche agli occhi del nipote. Il quale, poi, diventato a sua volta disegnatore (e in cui si riconosce l’autore del film, Aurel, pseudonimo di Aurélien Froment), andrà a comporre il tassello mancante all’arte e alla storia di Josep. E un tassello è anche questo bellissimo film, dove l’arte grafica di Aurel si somma a quella di Bartolí, mentre le varie tecniche di animazione si susseguono sullo schermo, in formato scope, non disdegnando la lezione sul colore offerta da Frida Kahlo: «La vita non è fatta di tratti e di contorni: è un ammasso di colori che si completano come i sapori di un piatto».

 

Josep

Regia: Aurel; sceneggiatura: Jean-Louis Milesi; animazione; voci: Sergi López, Emmanuel Vottero; origine: Francia, Spagna, Belgio, 2020; distribuzione: Lumière & Co.; durata: 74 min.