Il film: “Raya e l’ultimo drago”, un po’ di magia per riunire un mondo diviso
C’era una volta il regno di Kumandra, in cui uomini e draghi vivevano in armonia. Tutto finisce con l’invasione dei Druun, mostri nati dall’oscurità che alberga nel cuore umano: per sconfiggerli, i draghi si sacrificano, lasciando dietro di sé, come segno di ritrovata armonia, la Gemma Drago… per il cui possesso le popolazioni di Kumandra cominciano una guerra secolare, che divide una terra un tempo unita in cinque nazioni belligeranti. Cinquecento anni dopo, la giovane Raya, figlia del custode della Gemma, per errore provoca il ritorno dei Druun, e si imbarca in una solitaria missione per risvegliare Sisu, l’ultimo drago della leggenda, nella speranza che possa salvare nuovamente il mondo.
Pescando a piene mani dal taoismo e dalle tradizioni animiste di Cambogia, Laos, Filippine, Birmania, Tailandia, Vietnam e Indonesia, Raya accompagna il pubblico in un mondo fantastico, portato in vita da un’animazione praticamente fotorealistica nelle ambientazioni e nel rendering dell’acqua, un curioso amalgama di suggestioni dalla fantascienza distopica in stile Mad Max e da serie animate come Avatar – La leggenda di Aang di DiMartino e Konietzko. L’immaginaria terra di Kumandra, a forma di drago, è divisa in cinque regni che portano il nome di altrettante parti anatomiche (Cuore, Zanna, Coda, Artiglio, Dorso), una scissione politica che rende l’idea bene della lacerazione anche fisica di un’unità originaria.
Ricomporre il mondo e salvarlo da se stesso è proprio la missione della nuova principessa Disney, la Raya del titolo, personaggio attivo, vitale, profondamente umano nelle sue fragilità e nei suoi errori, accompagnata da una compagnia che riflette la diversità di etnie, culture e stili di vita della sua terra: un ragazzino imprenditore, una (esilarante) ladra in fasce, un mastodontico signore della guerra, una amica/rivale forgiata nella diffidenza e nel campanilismo più smaccato. Proprio quest’ultimo punto è il nodo focale del film, che punta il dito contro campanilismi e revanscismi nazionalisti, e invoca un vero e proprio intervento divino per toccare il cuore dei combattenti e ricreare l’originale famiglia umana, oltre i confini, oltre le diversità, oltre la diffidenza.
Non mancano i soliti buffi animaletti di tradizione disneyana, tra cui spicca il gigantesco armadillo-orso Tuk Tuk, ma il drago Sisu non rientra certo nella categoria: incarnando una spiritualità orientale che cerca armonia ed equilibrio, la buffa e simpatica Sisu non è spalla ma personaggio centrale, e ricompone pezzo per pezzo i cuori dei protagonisti, non risolvendo magicamente i problemi, ma insegnando, prima di tutto con l’esempio, la fiducia, il rispetto, la cooperazione, in una teofania che abbraccia una visione quasi neotestamentaria.
Se i più piccoli non mancheranno di divertirsi con le immancabili gag, con scene d’azione adrenaliniche e con un’ambientazione fantasy elaboratissima e curata nel dettaglio, ai grandi resta la provocazione, a tratti commovente, di un mondo che impara a risanare le proprie ferite non in seguito a eventi sensazionali e interventi eroici, ma a partire dai piccoli gesti, da quel rinunciare a un po’ di sé per fare spazio all’altro che è alla base di ogni rapporto umano. Raya e l’ultimo drago, in esclusiva su Disney+, usa il linguaggio della fiaba, e come ogni fiaba, cerca di consegnare una morale che sopravviva al di là del racconto, piantando un seme nel cuore dello spettatore.
RAYA E L’ULTIMO DRAGO
di Don Hall, Carlos López Estrada.
Visibile su Disney+
Con (voci) Kelly Marie Tran, Awkwafina, Gemma Chan, Izaac Wan.
USA, 2021. Animazione