Il film: “Soul”, una favola a ritmo di jazz per farsi rapire occhi e cuore
La storia, firmata assieme al drammaturgoKemp Powers, è curiosa come ci si potrebbe aspettare: Joe Gardner insegna musica alle medie, ma sogna di diventare un vero musicista jazz. L’occasione arriva quando passa brillantemente un’audizione per un concerto, ma proprio quando la sua vita dovrebbe cominciare davvero, il poveretto cade in un tombino e muore. Nell’aldilà, Joe non “passa oltre” e fugge nel pre-vita, dove si trovano le anime che devono ancora nascere. Scambiato per un mentore, Joe viene incaricato di educare 22, un’irrequieta anima che non vuole nascere, e che potrebbe essere la sua scappatoia per tornare sulla Terra.
La vicenda si svolge a metà tra un aldilà visionario, tratteggiato con echi in stile Yellow Submarine ed abitato da angeliche creature filiformi e picassiane che paiono partorite dalla fantasia di Bruno Bozzetto, e una New York iper-realistica, realizzata con un’animazione digitale allo stato dell’arte. Il contrasto tra la città quasi fotografica e l’aldilà cartoonesco, che si incrociano e che travalicano l’uno nell’altro con ritmo frenetico e diseguale, dà il giusto ritmo al film, che si impone come una sorta di jazz session in immagini, recuperando il doppio significato del titolo che rimanda sì all’anima in senso stretto, ma anche all’omonimo genere musicale. Minimale e dettagliato, naive e iperrealistico si fondono, si incontrano e creano qualcosa di nuovo, che colpisce e conquista i sensi proprio nella sua discontinuità, offrendo il giusto supporto tecnico a una parabola fantastica ma umanissima nel percorso di auto-realizzazione dei due affiatati protagonisti.
In questa cornice urbana, che ha tutto lo spassionato amore per New York e la sua musica che si potrebbe trovare in Woody Allen, si muove un protagonista frustrato, costantemente in attesa di un singolo momento che, come per magia, possa cambiargli la vita, uno spunto di banale quotidianità che dà il via, nelle mani di Docter, a una favola metafisica dai risvolti fin troppo adulti e filosofici per un pubblico infantile, ma indubbiamente intriganti, positivi, appassionanti.
Joe, adulto che non vuole saperne di morire, si confronta con 22, anima beffarda e splendidamente sfacciata che non vuole saperne di nascere, e sull’incontro tra i due si struttura una riflessione nient’affatto banale sulla vita stessa, che smonta alcuni miti moderni sull’auto-realizzazione che confondono scopo con senso, passione con vocazione, proponendo, in sostituzione all’usurato “sogno americano”, una visione più semplice e più piena del tesoro di relazioni, piccole meraviglie e affetti nascosto nella quotidianità. Il classico “colpo di bacchetta magica” che, specie nel cinema americano, cambia un’esistenza in un secondo dando senso e scopo a tutto, viene ridimensionato, analizzato, e scartato per quel che è: una favola mal raccontata cui si finisce col sacrificare tutto ciò che di bello già c’è, nascosto tra le pieghe dell’oggi, e che non riusciamo a vedere distratti da un “sarà” che non arriva mai.
Può darsi che Soul non tocchi le corde del cuore con la stessa profondità di altri film Disney e Pixar, e che certi elementi ricordino più un manuale psicologico di auto-aiuto che non una seria riflessione spirituale, ma la fantasia e la capacità di appassionare e divertire rimangono le stesse di sempre, e il messaggio, con tutte le sue sfumature e le sue conseguenze appena toccate, non è affatto scontato. Semplicemente, una favola a tempo di musica, da cui è piacevole farsi rapire occhi e cuore per un’ora e mezza o poco più.
SOUL di Pete Docter, Kemp Powers. Con (voci) Jamie Foxx, Tina Fey, Graham Norton, Phylicia Rashad. USA, 2020. Animazione.