Parasite
In effetti cominciare come una parabola sociale per svicolare poi nella commedia, nel thriller, nell’horror e nel catastrofico potrebbe non essere il modo giusto per garantire uniformità di stile, di toni, di tecnica del racconto. Ma è sufficiente porsi la domanda su quali siano effettivamente le intenzioni dell’autore per concludere che uniformità ed equilibrio sono davvero l’ultima delle sue preoccupazioni. Bong Joon-Ho intende scatenare una forte polemica politica e sociale ed è seriamente convinto di non dover risparmiare nessun colpo, neanche i più bassi, per raggiungere il risultato.
La famiglia Kim vive nei bassifondi accontentandosi di quello che riesce a racimolare giorno per giorno. La famiglia Park vive nei quartieri alti, nel lusso e nell’eleganza. Le loro storie si incroceranno quando il figlio dei Kim sarà raccomandato da un amico come insegnante d’inglese per la figlia dei Park. Da questo momento i Kim studieranno un piano molto accurato per infiltrarsi in casa Park come autista, governante e psicoterapeuta. È prevedibile che accadrà qualcosa che farà precipitare la situazione. Non è prevedibile, invece, capire in anticipo a favore di chi si risolverà il conflitto.
Indiscutibilmente Parasite parla di lotta di classe. E lo fa contrapponendo le classi più agiate e quelle più svantaggiate. Ma, già dal momento in cui si capisce che l’intento dei Kim non è quello di parificare le classi sociali ma più semplicemente di farsi ricchi ribaltando lo status, appare chiaro che Bong Joon-Ho non è il solito difensore degli oppressi. Non tutti i Park sono riprovevoli, non tutti i Kim sono giustificabili. In un certo senso l’autore, che ha da dire cose piuttosto serie, non ha alcuna intenzione di salire in cattedra o di rinunciare al piacere del racconto grottesco o semplicemente del gioco.
E d’altronde Bong Joon-Ho sa benissimo che né il gioco, né i toni esasperati, né l’umorismo nero sono di per sé ostacoli a un ragionamento socio-politico. Non sapremmo dire se alla fine a prevalere siano la politica o il gioco. Ma anche semplicemente individuando le fonti del film, che spaziano da Charlie Chaplin alla commedia all’italiana, da Jean Renoir a Kore’eda, si capisce che l’eclettismo dell’autore è inarrestabile ma che nonostante questo fa confluire il film verso una commedia nera molto seria e sotto molti aspetti sorprendente. Sembra quasi che Bong Joon-Ho, stanco di secoli di ingiustizie sociali, abbia adottato questo stile spiazzante per rendere inequivocabile l’assurdità del tutto. D’altro canto, l’autore non vuole rinunciare al proprio stile a favore di una esposizione accademica.
Così Parasite comincia con un andamento composto per trasformarsi progressivamente in una macchina da guerra che procede a folle velocità verso una soluzione che non sarà certamente risolutiva. Come dire: continua. Se non è facile seguire Bong Joon-Ho nelle sue modalità poco tradizionali, non si può fare a meno di apprezzare la sua insaziabile fame di cinema. Converrà a questo punto ricordare che l’altro suo film distribuito in Italia, Snowpiercer, aveva alla base la medesima analisi di una lotta di classe ma era limitato nella sua libertà espressiva dai capitali americani impiegati per realizzarlo. Questa volta, invece, è palese che l’autore ha goduto di tutta la libertà necessaria e che l’ha utilizzata per fare esattamente il film che voleva. Da non trascurare il contributo degli attori: autorizzati a fare i fuochi artificiali quelli della famiglia Kim, costretti a un autocontrollo senza fine quelli della famiglia Park. È evidente che Parasite sia anche un film divertente: ma il retrogusto è tutt’altro che dolce.
PARASITE (Gisaengchung) di Bong Joon-Ho. Con Song Kang-Ho, Lee Sun-Kyun, Cho Yeo-Jeong, Choi Woo-Shik, Park So-Dam, Lee Jung-Eun. SUD COREA 2019;Grottesco; Colore.